Galileo Galilei, 74 anni, pisano, matematico, astronomo, astrologo, inventore, scrittore ha dato alle stampe saggi che hanno contribuito a cambiare radicalmente il pensiero occidentale. In aperta polemica con la cultura dominante del suo tempo, è stato costretto dal Sant’Uffizio ad abiurare le idee pitagorico-copernicane subendo una condanna agli arresti domiciliari a tempo indeterminato, poi tramutata in confino.
Tuttomondo lo ha raggiunto nella sua dimora di Arcetri, nei pressi di Firenze, in occasione dell’uscita della sua ultima fatica dal titolo Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali.
Antefatto
Nell’anno 1543 vide la luce il saggio Le rivoluzioni degli astri celesti con il quale l’ormai moribondo astronomo polacco Niccolò Copernico (1473–1543) riportò in auge uno schema dell’Universo, cosiddetto eliocentrico, già proposto da Aristarco di Samo (310 a.C. – 230 a.C.). Il testo, nell’immediato, si rivelò un formidabile insuccesso editoriale. Tuttavia, qualche decennio più tardi, condusse i pensatori di fine secolo a una contesa senza precedenti destinata a mutare il corso della storia. La revisione dell’astronomo inaugurò la cosiddetta “Rivoluzione copernicana” che trovò compimento con la pubblicazione de I princìpi matematici di filosofia naturale (Londra, 1687) di Isaac Newton (1642–1727).
All’epoca della pubblicazione del Le rivoluzioni, in Occidente, l’Universo era descritto secondo uno schema rigidamente gerarchico, immutabile, che rifletteva l’ordinamento sociale. In quella cosmologia – resa popolare, nel medioevo, dalla Divina Commedia di Dante Alighieri – l’Essere Umano era creduto il fine della creazione divina, come descritto nella Bibbia, e l’idea di un Universo antropocentrico si accordava al geocentrismo aristotelico-tolemaico.
I tempi, tuttavia, erano maturi per il cambiamento. Nuovi bisogni sociali e maggiori esigenze tecniche sorsero nella civiltà urbana e mercantile che la formazione degli stati cittadini e nazionali aveva reso più complessa e dinamica.
La sete di conoscenza, la semplice curiosità disinteressata, l’intuizione fortuita, che da sempre avevano accompagnato i pensatori di tutti i tempi, trovarono nel progresso tecnico e nelle conseguenti applicazioni, collettivamente utili, una potente leva di sviluppo economico. Così, l’alleanza tra scienza e tecnica trovò, a sua volta, una ragion d’essere nella società emergente che iniziava la propria corsa alla crescita.
Intervista a Galilei
Signor Galilei, innanzitutto grazie per averci accolti.
«Grazie a Voi di Tuttomondo per l’ospitalità sulla vostra rivista».
Non poteva essere altrimenti, uno dei principali meriti del suo lavoro risiede nella sua opera di divulgazione che ha reso accessibile, a tutti, la conoscenza.
«Questo perché la scienza deve essere un sapere intersoggettivo, le sue scoperte, affinché siano valide, devono poter essere verificate e controllate da ognuno, quindi conosciute il più possibile».
Come affermava Francesco Bacone (1561-1626), suo contemporaneo, “sapere è potere”. Lei si è battuto per tutta la vita contro il “principio di autorità”. Quale rapporto ha con il potere?
«Bacone si riferiva a un potere che deriva dalla conoscenza della natura, dei fenomeni e delle leggi che la governano al fine di trarne utilità per l’Essere Umano. La mia polemica è sempre stata rivolta a coloro che accettano acriticamente il pensiero tradizionale. È rivolta a quegli eruditi che sostengono l’infallibilità delle proprie fonti guardandosi bene dal sottoporle ad una qualsiasi verifica. Il loro potere si fonda sul rendere inaccessibili le informazioni di cui dispongono per trarne un profitto personale. Per conoscere la verità occorre interrogare la natura, porle direttamente le nostre domande».
Senza gli strumenti che la tecnica riesce a mettere a punto per “leggere il libro della natura”, come ha dimostrato la sua ricerca, la scienza moderna non sarebbe nata e la conoscenza, che abbiamo del mondo, non avrebbe potuto progredire così rapidamente. A sua volta la tecnica può realizzare, grazie alla scienza, strumenti che non sempre si rivelano utili a migliorare la condizione umana.
«Il progresso tecnico scientifico non genera da sé sviluppo e, talvolta, può mettere l’Essere Umano in grave pericolo: è accaduto e accadrà ancora purtroppo. Ciò dipende da come sfruttiamo le nostre scoperte e le opportunità che esse ci offrono. Anche per questo le nostre conoscenze devono essere il più possibile condivise».
Leonardo da Vinci è considerato un precursore della rivoluzione scientifica avendo basato la propria ricerca tecnica e artistica sull’osservazione della natura, ritenendo l’esperienza più affidabile della mera speculazione. Che cosa c’è di nuovo nel metodo che Lei ha adottato?
«Leonardo appartiene al novero dei geni solitari. Egli non ha dato sistematicità al proprio lavoro, pur operando con metodo. Il metodo scientifico è un procedimento razionale che, attraverso passi successivi, ci guida nella verifica delle nostre congetture sui fenomeni naturali. Il primo passo è l’osservazione, quella che chiamo “sensata esperienza” e che avviene mediante l’utilizzo degli strumenti tecnici. Segue la formulazione delle ipotesi che tentano di dare una spiegazione dei fenomeni, cercando di individuare le leggi, le regole, a cui obbediscono: le “necessarie dimostrazioni” che ci consentono di prevederne l’evoluzione. Esse devono essere descritte in forma chiara e inequivocabile, come è possibile fare con il (meta)linguaggio matematico. Grazie alla matematica possiamo osservare i fenomeni con gli occhi della nostra mente. Infine, è la volta dell’esperimento, ciò che chiamo “il cimento”. Esso serve a verificare la correttezza delle leggi che abbiamo dedotto attraverso l’osservazione e la speculazione. L’esperimento riproduce il fenomeno in forma semplificata, isolandolo dagli aspetti secondari che lo accompagnano, quegli “accidenti” da cui dobbiamo depurarlo per renderlo intelligibile. L’esperimento deve essere ripetibile, primo perché le verifiche che cerchiamo non devono essere frutto di un caso, secondo perché tutti possano vedere con i propri occhi, e credere».
Quindi se il metodo risultasse insufficiente o fallibile, dovrebbe essere corretto se non addirittura, in caso estremo, abbandonato?
«Certamente! Ogni volta che il metodo scientifico ci dà delle risposte dimostra, al tempo stesso, la propria validità. In sostanza, ogni volta è messo alla prova».
L’idea di Copernico nasceva dalla considerazione che il sistema tolemaico descrive il moto dei corpi celesti in maniera troppo complicata. Al contrario, il sistema eliocentrico descrive il loro moto in un modo assai più semplice. Il suo ragionamento si ispirava, evidentemente, al principio metodologico noto come “Rasoio di Occam” sintetizzato dalla famosa massima:–“A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. L’ha enunciata il frate francescano inglese William of Ockham (1285–1347). La spiegazione più semplice è anche la più bella?
«La bellezza è armonia e autenticità che non necessita né di aggiunte né di sottrazioni».
Per l’arte vale lo stesso?
«L’arte punta a esprimere passioni, sentimenti ed emozioni. Occorre attenersi a un principio di integrità anche nell’arte. La potenza espressiva di un’opera d’arte si rivela quando i suoi mezzi sono nettamente distinti dalla realtà che rappresenta, cosicché sia evitato ai sensi, alla vista, all’udito, al tatto l’inganno di una banale imitazione.»
Mi pare di capire che Lei propenda verso un’arte di genere astratto. La nostra rivista, Tuttomondo, prende nome da un’opera di un autore a noi contemporaneo, Keith Haring, che ha lasciato a Pisa un suo testamento artistico. Che ne pensa di quel lavoro?
«Tuttomondo è un’opera in cui sono sfruttate tutte le potenzialità della pittura senza ricorrere ad artifici. Le figure rappresentate da Haring, infatti, non hanno bisogno di imitare le forme volumetriche per essere più evidenti. La spessa linea che le contorna, al tempo stesso le isola e le pone in relazione le une alle altre comunicando un senso di movimento, di incessante mutazione che non ha un centro, né un principio, né una fine. Lo sfondo privo di profondità, su cui sono sospese, è uno spazio neutro, lieve, essenziale, immateriale. Ciò nonostante ne siamo attratti con forza grazie ai colori squillanti e gioiosi che vi si stagliano. Tuttomondo è un’opera che racchiude in sé l’arte primitiva, il medioevo, l’umanesimo, il barocco, il futurismo, l’astrattismo, la pop art».
Grazie Maestro, vorrei chiudere questo nostro breve incontro con il ricordo di un personaggio dall’intelletto altrettanto vivace e immaginifico, verso il quale, sono certo, Lei abbia nutrito profonda ammirazione. Il 17 febbraio 1600 il cielo di piazza Campo dei Fiori a Roma si oscurò per il denso fumo che si levava da una pira ardente. A bruciare vivo, condannato per eresia, era Giordano Bruno (1548-1600), reo di aver congetturato l’infinità dell’Universo e l’esistenza di un’infinità di mondi abitati. Con ebbrezza filosofica aveva aperto la concezione copernicana ad una visione universale. Espresse in questo modo la propria fede in un Creatore che si manifesta in tutta la sua potenza attraverso la propria opera, il Creato, che a sua volta ne è sostanza e forma. Le visioni di Bruno, oggi, sembrano riconciliare scienza e fede. Lei quale mondo sogna?
«Un mondo libero dal pregiudizio».
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