Donne etrusche e romane a confronto
“Non sono più i tempi in cui Berta filava!” dice il detto per riferirsi ai tempi lontanissimi.
Oggi parliamo però di tempi ancora più lontani di quando la regina Berta dal gran piede filava la lana, ovvero quando davanti al telaio sedevano le donne etrusche. Oltre ai “fornelli” e la cura della prole, il loro vero posto d’onore era davanti al telaio. Rocchetti, fusaiole, conocchie, pesi da telaio e tutti gli utensili connessi conservati nelle sepolture del VII sec. a.C. ci parlano per l’appunto di un intero ciclo di lavorazione della lana gestito da donne di elevata condizione sociale; filare era cioè una prerogativa assoluta delle dominae, delle donne di rango.
La stessa attenzione per la casa e i lavori domestici era molto apprezzata dall’uomo romano che nelle iscrizioni funebri lodava la defunta moglie, con la romanticissima, poetica, calda e stereotipa frase :“domum servavit, lanam fecit” (Rimase in casa. Filò la lana.).
Ma cosa facevano nel resto della giornata le donne etrusche oltre ad accudire i figli e fare la calzetta? La vita sociale, seppur in posizione subalterna all’uomo, sappiamo che era loro aperta. Spettacoli, cerimonie pubbliche e private erano loro permesse e dunque anche i banchetti. Questo fatto provocò da sempre grande scandalo nei greci e nei romani (che alle feste e agli aperitivi le mogli non ce le volevano portare), e probabilmente grandi attese per gli uomini etruschi costretti ad aspettare le loro mogli a trastullarsi con le nuove tecniche di cosmesi greca ed egizia. E’ forse in questa fase storica che nacque la famosa frase per illudere il proprio partner “ Cinque minuti e sono pronta”?
Scherzi a parte. I tempi stavano cambiando. Per Roma risuonava squillante fra le tante, la voce innervosita di Cornelio Nepote:“C’è forse un Romano che esiti a portare a un convito la propria moglie? c‘è forse una matrona che non si trattenga nell’atrio di casa e non si faccia vedere in pubblico?
Stava lentamente venendo meno la virilità dell’uomo romano che non aveva più accanto, come ai tempi d’oro, una vera donna ignorante e “più irsuta, spesso, dello stesso marito, ruttatore di ghiande” come ricorda nostalgicamente Giovenale. Una splendida coppia andata d’altri tempi insomma!
Giunsero infatti tremendi i moderni tempi del bikini e della depilazione, come ci ricordano i fantastici mosaici (IV sec. d.C.) di Piazza Armerina nella Villa del Casale (Enna), dove le fanciulle in “due pezzi” scorrazzano in qua e in là facendo ginnastica. Altro che donna pudica, lanifica e domi seda ed i romani non le sopportavano proprio più queste donne, sempre più presenti, più colte, con troppo diritto di parola e di bikini, come deduciamo dallo sfogo di Marziale (Epigrammi, III, 53):
“Del tuo volto potevo farne a meno,
del collo, delle mani e delle gambe,
delle cosce, delle tette, del sedere.
Per farle breve… di tutta te potevo farne a meno.”
“Uomini che odiano le donne” duemila anni prima. Sebbene qualcuno, come Catullo, resti un altro po’ in dubbio scrivendo “Odi et amo” (Ti odio e ti amo). Non capisce che gli stia succedendo. Si cruccia amaramente. Sogna di baciare ardentemente Lesbia e talvolta di tirarle ferocemente il collo come si fa con le galline, anticipando gli stessi sentimenti di Totò nei versi “Femmena, te voglio bene e t’odio, nun te pozzo scurdà”.
Marziale invece appare ironicamente più sicuro nelle sue posizioni, rivolgendosi ai suoi pari con lucida chiarezza: “Hai seppellito la settima moglie nel tuo campo, Fileno. Non c’è campo che abbia reso a qualcuno come a te.” (Marziale, Epigrammi X, 43).
E riguardo alla vita sentimentale? Nel cuore di un uomo etrusco c’era stampato il nome di una e una sola donna. Etruschi romanticoni? E’quello che a noi donne piace pensare, ma ad onor del vero, va ricordato che la monogamia era qualcosa di inviolabile perché la moglie era il vero motore della mobilità sociale, della ricchezza e quindi della nobiltà e del potere per un uomo. Numerose sono le raffigurazioni di coniugi teneramente uniti come, per esempio, nell’affresco tarquiniese della Tomba degli Scudi (seconda metà del IV sec.a.C.) In quest’ultimo, Larth Velcha e la moglie Velia Seithi si scambiano emblematicamente un uovo. Con questo gesto gli etruschi non volevano comunicarci certo il fatto che fossero ovipari, ma che concepivano l’unione matrimoniale come la forza e la garanzia del futuro della gens, cioè della loro stirpe, tramite la forza feconda della fertilità.
Le donne romane a livello sentimentale invece, seppure lodate (se votate al lanifiucium), se la passarono un po’ peggio fino alla fine della Repubblica e gli inizi dell’Impero, ovvero fino a quando entrò in vigore l’istituzione del matrimonium sine manu e cessò quello cum manu. Non si tratta di casi di amputazione di uno degli arti superiori, ma del nome di un’istituzione secondo la quale fu finalmente possibile vivere sotto la patria potestas del padre e non più del marito, acquisendo la parità di diritti col coniuge ed avendo la possibilità di divorziarne senza rischiare più la perdita dei beni e della casa tornando in quella natia,ovvero d’origine.
Storie di libertà miste a quelle fatte di grandi difficoltà e pregiudizi da superare. Quale modello di donna prevalse alla fine della storia?
I costumi greci che poco a poco vennero assorbiti dalla civiltà etrusca avviarono un nuovo processo di percezione della donna subalterna, e l’ingerenza romana, sempre più forte, fece il resto finendo coll’imporre anche i propri modi di vivere e di pensare, relegando la donna etrusca nel ruolo di secondo piano. La loro eredità sarà in qualche modo trasmessa alla donne romane che lotteranno con sempre più vigore contro la dura mentalità del vir romanus (l’uomo/cittadino romano) raggiungendo, già in età augustea, livelli molto buoni di emancipazione dimostrando le proprie capacità, non solo di buona moglie e madre, ma anche di donna in quanto tale e parte inestricabile della famiglia.
Daniela Farina
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