Dopo Davide Accossato, è la volta di Elisabetta Ventura, dei suoi progetti che uniscono, oltre al tip tap, più sfaccettature della sua carriera.
1. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Elisabetta Ventura è un’attrice, ballerina e coreografa italiana. Figlia di Tony Ventura, attore, tap dancer e coreografo dei più importanti varietà televisivi della Rai per circa cinquant’anni, nasce a Catania e si forma in danza classica, jazz e tip tap. Studia, nel 2015, alla prestigiosa Escola Luthier di Barcellona diretta da Guillem Alonso.
Con Monia Schietroma fonda Roma Tap Jam, che oltre alle tap jam vanta persino workshop con ballerini di tip tap di fama internazionale.
Nel 2021 e nel 2022 è in due spettacoli a tema tap dance: Variazioni di Tap e Tacco Punta, quest’ultimo anche nelle vesti di autrice.
Affianca alla sua carriera di tap dancer quella di attrice, sia a teatro che al cinema e in televisione. Tra i titoli troviamo La grande bellezza, Blanca, Che Dio ci aiuti 6, Sogno ma forse no e La Tempesta. Con lo spettacolo Il Paese degli Idioti, per la regia di Alvaro Piccardi, vince il Premio Girulà come migliore attrice giovane nella stagione 2008-2009.
Elisabetta Ventura è inoltre docente di tap ed è legata ad importanti centri e scuole, tra cui Ials a Roma, ICMT (International College of Musical Theatre), Musical Passion, Brancaccio Musical Academy e BSMT di Bologna.
Salve Elisabetta Ventura, grazie infinite per questa intervista, una grossa opportunità per Tutto Mondo News.
Cosa significa per lei tip tap e che cosa ama di questo stile di danza?
«Per me il tip tap è prima di tutto ritmo, possibilità di comporre musica attraverso i nostri piedi che sono il nostro strumento, allo stesso tempo è un corpo che danza, che si muove nello spazio. Battiamo i piedi per dire qualcosa e tanto più il suono ci connette alla nostra parte più profonda e inconscia, tanto più quello che riusciamo a tirar fuori a livello emotivo-interpretativo è potente. Il tip tap, in questo senso, è un vero e proprio linguaggio, è la possibilità di raccontare storie ed è l’aspetto che amo di più di questa forma d’arte così completa.
2. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Se penso alle volte che ci chiudiamo in sala per ore a lavorare quasi in maniera ossessiva su un singolo passo per pulirlo o lavorare sulla velocità, sulla chiarezza, sul senso; perché è come quando parli, in base al tuo vocabolario di passi, componi frasi che abbiano un senso e questo senso è strettamente legato alla musicalità e poi ti trovi a improvvisare con gli altri, a dialogare, a stare in ascolto, nel groove: da questo punto di vista è una ricerca inesauribile e impone un costante lavoro su noi stessi.
Il tip tap è stare all’altro, essere un’unica voce come quando un’orchestra suona. È condivisione, non essere mai soli. È comunità.
Trovo tantissime affinità con il lavoro dell’attore, a mio avviso tutti gli attori dovrebbero studiare tip tap, dovrebbe essere una disciplina inserita nelle accademie di teatro, non solo in quelle di musical, proprio per questa ricerca sul ritmo, che ha a che fare con il battito cardiaco. Noi tutti abbiamo un ritmo interno che ci accompagna nel movimento della vita e un modo soggettivo di stare nel tempo. Studiare tip tap prima di tutto significa imparare ad andare a tempo e dunque quando ci approcciamo a un testo che è uno spartito, sarà più facile individuare i silenzi, le pause o che tipo di ritmo avrà quella battuta se abbiamo già un lavoro di questo tipo alle spalle».
Ha un ricordo a cui è particolarmente legata nella sua carriera di docente e performer, che vorrebbe condividere con Tutto Mondo?
«Gli ultimi anni sono stati senza dubbio quelli più creativi, quelli del fare, del trovare il modo nonostante le difficoltà, dell’insistere, dell’osare e del sorprendersi. In tal senso, grazie alla pandemia, ho scoperto una reattività che pensavo non mi appartenesse.
3. Elisabetta in Variazioni di Tap. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Da docente non posso dimenticare la bellezza dell’esperienza vissuta con i miei allievi al parco. È stata una scoperta unica: il tip tap era arrivato alla gente. Le persone che passeggiavano si fermavano tutte a guardare – tra sorpresa e incredulità – esclamando “ma quello è il tip tap!” e prendevano informazioni; i bambini rimanevano incantati e iniziavano a muovere i piedi, la municipale passava e ci sorrideva. La partecipazione attiva dei miei allievi è stata straordinaria. Ognuno si è costruito la propria pedana di legno e per oltre un anno, ogni fine settimana, ci ritrovavamo a Villa Celimontana a fare lezione, stando alla giusta distanza di sicurezza. Quello che si è creato a livello umano in quel periodo lo porterò con me tutta la vita.
Come performer, invece, ne ho diversi. Non potrò mai dimenticare la grandissima emozione due anni fa quando debuttammo con Variazioni di Tap a Narni città teatro. Avevo il pubblico a un metro di distanza, vicinissimo, la sala era gremita.
In questo spettacolo ripercorrevo la storia dei vari generi musicali con il file rouge della tap dance accompagnata da Riccardo Biseo al piano, Claudio Campadello al contrabbasso e Lucio Turco alla batteria e dalla voce narrante di Alessio Rizzitiello che ne firma anche la regia.
La soddisfazione più grande è stata quella di essere riuscita a emozionare, a trasmettere ciò che sentivo, ballando il tip tap. Non te lo so spiegare a parole, ma è stata una sensazione incredibile perché il pubblico era lì con me e non mi ha mollato mai.
4. Elisabetta in The Shoes. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Oppure l’estate scorsa, lavorando con Laurie Schwartz in The Shoes. Durante le prove, lei mi disse “io so che sei un’attrice emotiva, ma, fidati di me, non mettere nessuna emozione nei passi che fai, guarda dritto un punto e non mollarlo, vedrai che già quello che fai con i piedi inserito in questa partitura risulterà comico per chi ti guarda”. Mi sono fidata al cento per cento e aveva ragione: il pubblico, inaspettatamente per me, è scoppiato a un certo punto a ridere! C’è stata una bellissima partecipazione anche lì».
Parliamo di musical, genere cinematografico in cui il tip tap è stato per anni al centro dell’obiettivo della macchina da presa. Qual è o quali sono i suoi musical preferiti?
«Io sono una grandissima fan di Bob Fosse. Adoro il suo stile, unico. Questi corpi che, mentre danzano, parlano ed esprimono una fortissima sessualità. Mi sono laureata con una tesi sulle sue coreografie nel cinema. Rimasi impressionata dal modo in cui aveva rivoluzionato il genere, introducendo un uso attivo della macchina da presa che andava sui particolari, sulle espressioni degli interpreti e quindi non si limitava a riprendere in maniera statica con un totale la coreografia, bensì attraverso il montaggio diventava essa stessa parte del racconto.
All the Jazz, Cabaret, Sweet Charity, Chicago, Kiss me Kate dove c’è un Ann Miller stratosferica in Too Darn Hot, sono i miei musical preferiti, ma anche, 42nd Street, Billy Elliot e West Side Story».
5. Elisabetta insieme agli allievi di Musical Passion. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Ha qualche tap dancer preferito di ieri e/o di oggi?
«Ovviamente mio padre Tony Ventura, Bill Robinson, Gene Kelly, Ann Miller, Gregory Hines, Michelle Dorrance e Sarah Reich, per cui nutro un grandissimo affetto e stima».
Elisabetta Ventura, insieme a Monia Schietroma, ha fondato Roma Tap Jam, un punto di riferimento per i ballerini di tap non solo della capitale ma di tutta Italia. Un progetto che ha all’attivo jam sessions e workshop con importanti nomi del settore, tra cui Ruben Sanchez e Davide Accossato. Com’è nata l’idea che ha dato via al tutto?
«Monia ed io ci conosciamo dall’età di tredici anni, studiavamo allo Ials con mio padre, si può dire siamo cresciute insieme. Dopo la sua scomparsa, diciotto anni fa, ci siamo perse di vista per un lungo periodo (non ballavo più né insegnavo, ero totalmente dedicata al lavoro dell’attore). Poi nel 2016, di ritorno dalla formazione intensiva a Barcellona alla scuola di Guillem Alonso, ci siamo ritrovate con gli stessi obiettivi, gli stessi interessi e il nostro rapporto, sia personale che lavorativo, si è rafforzato.
6. Elisabetta insieme a Monia Schietroma. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Volevamo creare una comunità, portare a Roma i maestri della tap dance di rilievo internazionale per dare la possibilità agli allievi e ai docenti di studiare, avere degli aggiornamenti e poi mettere a frutto il lavoro in sala durante le Jam. Far sì che anche a Roma ci fosse un posto per i tap dancers in cui allenare il rapporto con la musica dal vivo, in cui divertirsi, condividere, ritrovarsi insieme per la stessa passione: Jam, inserite nelle serate swing, a cui nessuno era abituato e che nell’arco di tre anni, fino a prima che arrivasse la pandemia, abbiamo visto con nostra grande soddisfazione crescere prima al Cotton Club di Roma e poi al Teatro Lo Spazio. Così è nata Roma Tap Jam!
Non ci siamo fermate nemmeno con la pandemia. Il Quarantap, uscito in occasione del 25 maggio in cui si festeggia la festa del tip tap omaggiando quel mostro sacro di Bill Robinson, ne è stata la conferma: riuscire a mettere insieme la realtà italiana della tap dance, realizzando prima un tutorial per tutti i partecipanti, poi un video in cui ognuno, da casa, ballava il famoso standard Doin’ the New Low Down di Bill Robinson abilmente montato da Monia. Eravamo più di quaranta, molti dei quali non conoscevamo. Abbiamo ricevuto i complimenti dai nostri maestri d’oltralpe ed è stato il punto di partenza per fare rete. Subito dopo l’idea di realizzare Tapping at Home».
7. Roma Tap Jam, workshop con Rubén Sanchez. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Durante la pandemia, grazie a Tapping at Home, avete portato dentro le case di molti ballerini e studenti di tap una boccata di ossigeno: piccole video lezioni con insegnanti di tutta Italia. Inoltre, inframezzandole con interviste e articoli dedicati ai film a tema tap dance, avete integrato anche il contesto storico e culturale del genere. A conti fatti, cosa di questa esperienza, le è rimasto nel cuore?
«La rete, la connessione che si è creata tra di noi. Nessuno si è tirato indietro, quello che mi è rimasto nel cuore è stato proprio lo spirito di collaborazione che si è creato. Sentirsi parte di una comunità. È stato un bellissimo lavoro di squadra».
Vista la sua esperienza come docente in materia, cosa suggerisce a chi si approccia al tip tap qui in Italia? Qualche consiglio per sviluppare la musicalità e il senso del ritmo?
«Di avere la curiosità di cercare, informarsi, guardare video – in questo senso Instagram e Youtube sono di grande aiuto – seguendo pagine come quella di operationtap o tapdancearchiveproductions, che postano video dei master come Jimmy Slide, Buster Brown, Chuck Green, Gregory Hines, Brenda Bufalino, Dianne Walker, per citarne alcuni.
È importante andare alle origini e poi seguire i tap dancers contemporanei, le stelle di oggi, vedere le evoluzioni di un genere che per anni è stato spaccato tra chi faceva Theatre Tap e il Rhythm Tap degli Hoofer, mentre oggi sembra assistere ad una fusione. Basti pensare al remake di Funny Girl a Broadway, le cui coreografie sono firmate da Ayodele Casel e tra i protagonisti troviamo quel genio di Jared Grimes, in cui la tap dance ha quella potenza espressiva legata alla percussione, la batteria appunto, unita all’interpretazione del performer. Oppure vedere le contaminazioni, penso al lavoro interessantissimo che sta facendo Sebastian Weber con la sua compagnia a Lipsia.
Per sviluppare la musicalità serve cantare o contare i ritmi. Fondamentale! Associare la parola alle battute. Questo procedimento permette di stare dentro la musica e ascoltare tanti brani, sopratutto di repertorio jazz, iniziando a distinguere i vari strumenti, come dialogano l’uno con l’altro».
8. Elisabetta in La grande bellezza. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Lei è figlia di Tony Ventura, attore, coreografo, maestro e figura chiave del tip tap italiano. Quanto ciò ha influenzato la sua carriera e il suo amore per il tip tap?
«Direi tantissimo, ma, come a parecchi figli d’arte accade, c’è un’urgenza che è quella di trovare la propria identità per stare bene con sé stessi e per non sentirsi il peso addosso del “se si lavora, è perché si è figlio di”. Tony è stato un grande da tutti i punti di vista: come uomo, come artista, come padre. Era di una generosità unica. Mi ha insegnato a mettere il cuore in ciò che si fa. Fare le cose per niente. È stato un pilastro a casa ed un riferimento per tutti, colleghi, ballerini e allievi. Diciotto anni fa, quando ci ha lasciati, si è creato un vuoto indicibile ed io sono partita proprio da lì per lavorare su me stessa e capire realmente cosa volessi fare da grande, tra inciampi, cadute, resistenze e rialzi. Ho impiegato quasi vent’anni a delineare una strada che fosse la mia.
Non smetterò mai di ringraziare la mia insegnante Gisella Burinato, è stata lei a farmi scoprire la mia originalità e vocazione di coach: la ricerca sulla connessione sul suono è nata dagli anni di formazione e allenamento come attrice e la volontà di unire il lavoro dell’attore con la tap dance. La mia ricerca, appunto, ha visto la luce il maggio scorso a Superficie andando in scena con il monologo Tacco Punta, in cui racconto perché mi piace parlare con i piedi: il rapporto con mio padre.
9. Elisabetta con la sua famiglia. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Questo non sarebbe potuto accadere se non avessi avuto al mio fianco amici molto cari: Marco Iermanò, a cui mi lega un’amicizia di quasi vent’anni dai tempi della nostra formazione con la Burinato, che mi ha seguito passo passo fino a pochi minuti prima di andare in scena firmandone la regia, Angela Ciaburri, attrice straordinaria e Matteo Santilli, direttore artistico di Superficie, che mi hanno spronata affinché scrivessi questa storia e la portassi in scena».
Elisabetta, ha qualche ricordo legato a suo padre Tony Ventura che vorrebbe condividere con noi?
«Diciamo che mio padre prospettava per me un futuro diverso da quello dell’artista, perché già alla fine degli anni Novanta, quando gli dissi che avrei voluto fare l’attrice mi rispose “non sono più i tempi miei in cui si imparava facendo la gavetta perché questo è un mestiere artigianale e non sono più le paghe di un tempo”. Poi mi vide in scena in un progetto universitario di Giovanni Pampiglione, Il ballo dei manichini di Jasiensky, in cui interpretavo Alice d’Or, una statua vivente. Io, che ero cresciuta a pane e musical, mi cimentavo per la prima volta in un testo di prosa. Aveva le lacrime agli occhi, mi abbracciò e mi disse “sei figlia mia, ma devi studiare”… purtroppo per pochi mesi non mi vide laureata».
Non solo danza, ma anche cinema, teatro e televisione. Tra i titoli in cui ha recitato annovera film come La Grande Bellezza e la serie tv Blanca. C’è, fra tutti, un film, uno spettacolo o una serie a cui è particolarmente affezionata?
«Ce n’è più di uno. La scelta è dura. L’esperienza sul set de La grande bellezza in veste di ballerina-attrice è stata unica. Essere diretta da Paolo Sorrentino che ti dice “tu fai, poi in caso ti fermo io” non lo dimenticherò mai. Mi ha concesso la libertà di poter fare un lavoro creativo. Si è fidato di me ed io mi sono affidata completamente a lui.
10. Elisabetta in La grande bellezza. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
In Blanca invece è stato stupendo riuscire a raccontare in pochi minuti il dramma di una madre straziata dal dolore per la perdita di suo figlio. Diretta da Jan Maria Michelini e circondata da attori bravissimi con cui interagivo, questa è la dimensione del nostro mestiere che non fa della quantità di battute l’importanza di un personaggio, ma la vita che riesci a rappresentare.
Porto nel cuore l’incontro nel 2018 con Riccardo Camilli che mi ha dato la possibilità nella pellicola indipendente Peggio Per Me di dar vita a Elisa, un personaggio romano che ho amato fin da subito.
In teatro sono affezionata particolarmente a due spettacoli: Il Paese degli Idioti, per la regia di Alvaro Piccardi in cui interpretavo il ruolo di Sasha che viveva un rapporto di amore e odio super conflittuale con il padre per cui ho ricevuto il premio Girulà nel 2019 come miglior interprete giovane e Sogno Ma Forse No per la regia di Vittoria Faro, un noir in cui la cameriera muta raccontava con i piedi le emozioni e le proiezioni mentali della protagonista. Quest’ultimo è stato l’input per avviare la mia ricerca».
11. Elisabetta in Sogno ma Forse No. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Ultimo, ma non meno importante, quali sono i suoi piani per il futuro?
«A giugno, insieme alla compositrice Laurie Schwartz, sarò a Stromboli per il festival delle arti performative Marosi – back to the roof, per iniziare la ricerca di un progetto di performance nato quest’inverno e sviluppato a livello drammaturgico insieme a Rubén Sanchez, che lega la tap dance a “Iddu” il vulcano. È un lavoro collettivo che vede coinvolti oltre me, Laurie e Rubén per la parte creativa, anche Monia Schietroma.
Una borsa di studio appena ricevuta da Sarah Reich per il Music Tap Project, che quando me l’ha detto non smettevo più di piangere dalla gioia!
Continuare il lavoro con il collettivo ADA capitanato da Pasquale Passaretti, Loredana Antonelli e Lady Maru con Forse una Città. Lo spettacolo ci ha già visto in scena lo scorso dicembre al Teatro India e ha vinto da poco il bando del progetto di internazionalizzazione dello spettacolo dal vivo Crossing The Sea.
12. Elisabetta in Forse una Città. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura, photographer Sabrina Cirillo.
Continuare il lavoro su Tacco Punta, ampliarlo fino a farlo diventare uno spettacolo di un’ora.
Lavorare per la comunità di Tap – in collaborazione con Roma Tap Jam – continuando a organizzare workshop di formazione con grandi professionisti del settore.
In ultimo, non meno importante anzi, un film di prossima lavorazione, ma non posso dire di più.».
13. Elisabetta in Tacco Punta. Photo by courtesy of Elisabetta Ventura.
Ringraziamo Elisabetta Ventura per il tempo che ci ha dedicato.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti potete trovare Elisabetta Ventura su YouTube, Instagram e Facebook.
Per restare in contatto con Roma Tap Jam ed essere al corrente delle loro nuove iniziative: YouTube, Instagram e Facebook.
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