Manon Lescaut, La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, dopo tanti fremiti d’amore e di morte Giacomo Puccini aveva voglia di leggerezza. Nel marzo del 1905 scrive infatti al suo librettista Luigi Illica: “… stasera ho voglia di scrivere un’opera buffa, ma buffa nel vero senso, buffa italiana… buffa, lieta, allegra, spensierata, non mordace, ma da fare sbellicare dalle risa il mondo…” Pochi giorni dopo scrive anche al suo editore Giulio Ricordi: “Ho voglia di fare un’opera buffa, e la farei in poco tempo. Facciamo ridere, se si può, questo musone di pubblico e ce ne sarà grato eternamente.” Nessuno dei due prenderà in considerazione questo suo desiderio, e Puccini dovrà aspettare fino al 1917, quando su libretto di Giovacchino Forzano comporrà la musica per Gianni Schicchi, una delle opere che compongono il Trittico (il Tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi).
La fonte del libretto è il XXX canto dell’Inferno di Dante, dove nella Decima Bolgia dell’Ottavo Cerchio, quella dei falsari, si trova Gianni Schicchi, condannato come “falsatore di persona”. Al tempo di Dante la storia era ben nota: Gianni Schicchi della famiglia dei Cavalcanti si sostituì a un morto e dettò un falso testamento a favore del figlio dello scomparso, che era stato diseredato. Nell’opera non si trova traccia della condanna morale scritta da Dante, ma della storia si coglie solo il lato popolare e arguto. Il testo è pieno di riferimenti al parlar toscano (si pensi alla famosa aria “O mio babbino caro”), e si mette in scena una storia divertente, in cui la figura di Gianni Schicchi, uomo nuovo, scaltro e audace, cattura subito la simpatia del pubblico.
Composta la musica, scritta quasi interamente a Viareggio nel 1917 in un villino che Puccini affittava durante la stagione invernale, si inizia a cercare lo scenografo che con la sua fantasia riesca a rendere l’atmosfera dell’opera nel miglior modo possibile. Puccini aveva ben chiaro che cosa voleva, e pensò immediatamente a Galileo Chini.
Fiorentino, pittore, grande ceramista, decoratore, scenografo, illustratore, sicuramente il maggior artista del Liberty italiano, Chini era amico del compositore, i due si frequentavano e si stimavano. Per l’amata villa che Puccini si era costruita a Torre del Lago Chini aveva eseguito un bellissimo pannello ceramico con putti, rose e nastri, dal sinuoso andamento art nouveau .
Chini, che aveva iniziato la sua carriera artistica giovanissimo come restauratore, amava e conosceva ogni monumento della sua città, e fu così in grado di interpretare perfettamente la Firenze duecentesca in cui è ambientata la storia, tanto che Puccini nell’agosto del 1918 scrisse entusiasta all’editore Ricordi: “… Il bozzetto per Schicchi per me è bellissimo, è vero 1200, nudo e crudo coi muri a calcina e poco affresco.”
Il bozzetto dell’interno della casa di Buoso Donati, dove si svolge tutta la scena, ci riporta alla classica sobrietà di un ricco interno duecentesco: un letto col baldacchino, una sobria decorazione muraria, il tipico incavo nelle mura dove si esponevano le brocche più belle, un dipinto devozionale dalla bella cornice gotica, tutto è chiaro, colmo di luce. Sullo sfondo una grande finestra, da cui si intravede una veduta di Firenze con le colline di Settignano e la torre di Palazzo Vecchio, immersi in una luce perlacea. Forzano fece notare a Chini che all’epoca di Gianni Schicchi la torre non poteva essere ultimata, ma Chini non ne tenne conto e fece bene, perché la prima, tenutasi il 14 dicembre 1918 a New York al Metropolitan con la direzione di Roberto Moranzoni e la regia di Richard Ordynski, fu un
grande successo. Delle tre opere che compongono il trittico, fu proprio Gianni Schicchi la più applaudita. Così scrisse il critico Henry Krehbiel della New York Tribune: “La commedia è così tumultuosamente allegra, la musica è così ricca di vita, di umorismo, di ingegnose trovate, che nonostante la minor cantabilità rispetto a opere precedenti di Puccini, Gianni Schicchi è stato ascoltato con un gusto matto e con segni di approvazione che non hanno aspettato davvero la calata del sipario.” E così il New York Times: “… Ma c’è poi Gianni Schicchi. Qui l’allegria è irresistibile, la musica spumeggiante ed esilarante come champagne (champagne di prima della guerra, naturalmente)…” Fu proprio per problemi legati all’ultimo anno di guerra che il Trittico debuttò a New York, per tornare in Italia nel 1919 a Roma al Teatro Costanzi, dove ebbe altrettanto successo, merito soprattutto del Gianni Schicchi.
Quest’anno Il Trittico sarà presente a Pisa il 19 e il 20 novembre, ma non al completo. Infatti al posto del Tabarro andrà in scena la Sancta Susanna di Hindemith, opera del 1922 in odore di eresia. Molte furono all’epoca le critiche, tanto che Hindemith alcuni anni dopo la disconobbe. Per la scabrosità dell’argomento e per l’accostamento alle altre due opere pucciniane sarà interessante assistere a questa rappresentazione, (che fa parte del ciclo Demoni e Angeli, il mito del Faust) a cura della Fondazione Teatro di Pisa con la regia di Lorenzo Maria Mucci.
Claudia Menichini
Credits: Archivio Chini e Imagiarium Creative Studio
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