“Io non ho bisogno di stima, di gloria o di altre cose simili. Io ho bisogno di amore, di entusiasmo, di fuoco…di vita”.
Leopardi, nome che evoca affascinante grandezza, croce e delizia di intere generazioni di studenti che, sotto le note dell’ “Infinito”, di “A Silvia”, “Alla luna” o “La Ginestra“, si sono sicuramente lasciati andare a qualche facile battuta sul pessimismo cosmico di un poeta che, sui banchi di scuola, ci hanno sovente presentato come uomo brutto, deforme e irrimediabilmente infelice.
Spesso ci raccontano che certe cose si apprezzano meglio quando non si è costretti a studiarle e di certo Leopardi è uno di quei nomi che in molti dovremmo rileggere lontani dalla febbrile impazienza che ha caratterizzato l’infanzia e l’adolescenza di molti di noi.
Bene, finalmente è arrivato nelle sale un film coraggioso: il Giovane Favoloso.
Il Giovane favoloso è un film biografico (137′), scritto e diretto dal regista Mario Martone, film che vuole raccontare la vita del grande poeta di Recanati con l’intento di gettare nuova e rinnovata luce su uno dei nomi che hanno reso immortale la nostra letteratura.
Giacomo Leopardi è stato un poeta, forse il Poeta, ma è stato ancor prima uomo, amico, fratello, figlio, ragazzo alla ricerca di sé, talento precoce, a tratti incompreso.
Ed è il Leopardi uomo in carne ed ossa e l’intero universo leopardiano, a cavallo tra sogno e realtà, che questo lavoro cinematografico vuole restituirci nelle sue molteplici sfaccettature.
Il Giovane favoloso diventa così davvero un titolo azzeccatissimo, nome parlante, adatto a narrare la vicenda biografica di un giovane davvero favoloso come è stato Giacomo Leopardi, figlio di un tempo, forse meno favoloso, non ancora pronto per accoglierlo a braccia aperte.
IL giovane favoloso, prodotto in collaborazione con Rai cinema, è stato presentato in concorso alla 71 edizione del Festival di Venezia e oggi, a due settimane dalla sua uscita nelle sale, è in assoluto il film più visto di questa stagione cinematografica.
Mario Martone torna sul grande schermo con successo, cimentandosi ancora una volta in una prova molto impegnativa. Quando si ha che fare con i grandi è facile cadere nel banale, dedicarsi al già sentito, senza aggiungere nulla a qualcuno che non ha certo bisogno che si spendano parole per consacrarlo sugli altari dell’arte.
In questo caso Martone, con il suo Leopardi, non corre questo rischio. Il regista ci propone un lavoro attento, filologicamente meticoloso e sono certa che il pubblico uscirà dalla sala pensando di conoscere Leopardi ma forse di non averlo ancora conosciuto abbastanza.
Non è un caso che il film sia stato accolto a Venezia dal plauso del pubblico del lido, complice, non si può negarlo, l’interpretazione di un altro giovane favoloso, Elio Germano, nei panni di un credibilissimo Leopardi, qui in una, se non nella sua migliore interpretazione.
In sala stampa lo stesso attore ha confessato che il film è stato in assoluto il lavoro più impegnativo con il quale si sia misurato, lavoro che ha richiesto mesi di studio e la conoscenza di tutto ciò che il poeta di Recanati ha scritto o altri hanno scritto su di lui.
Lo stesso vale per gli altri validissimi attori che hanno dato vita, con vivido realismo, al mondo familiare ed intellettuale ruotante intorno al favoloso Leopardi: Michele Riondino nel ruolo dell’amico fraterno Antonio Ranieri, Massimo Popolizio nelle vesti di Monaldo Leopardi, padre odiato ed ammirato, Isabella Ragonese l’amatissima sorella Paolina o Valerio Binasco interprete dello scrittore e amico di Leopardi, Pietro Giordani.
Un ruolo importante nella riuscita del film, giocano anche la scelta di una scenografia e di una fotografia pregna di colori e capace di restituire quelle atmosfere che immaginiamo aver animato la fantasia del nostro giovane favoloso: dal borgo di Recanati, arroccato sulla cima di un colle, alla vivace realtà intellettuale fiorentina, agli ultimi travagliati anni che Leopardi trascorse nella Napoli così amata da Martone.
I paesaggi con le loro asperità e le loro dolci colline, la luna che rischiara le notti del giovane poeta, il Vesuvio con le sue ceneri e lapilli diventano tante immagini che danno potenza visiva a quella natura matrigna alla quale Leopardi si rivolge dicendo:“ O natura, o natura | perché non rendi poi | quel che prometti allor? Perché di tanto | inganni i figli tuoi?
Questa natura che, ora si colora della parole recitate dal poeta e ora ci sussurra, silenziosa, parole taciute, sembra animarsi anche grazie alla scelta di una bellissima colonna sonora, musicata da Sasha Ring, con la sua contaminazione e mescolanza di elettronica e musica classica.
Il tutto, orchestrato seguendo un fraseggio che si accorda alla complessità umana e intellettuale che fu propria del giovane Leopardi.
Un uomo che è stato bambino spensierato, poi ragazzo cresciuto tra gli angusti confini della biblioteca di un padre che non sa lasciarlo andare, ancora figlio che sfida una famiglia angosciosamente oppressiva. Ma Leopardi è stato anche amico devoto, uomo sofferente che non sa amare e non riesce a farsi amare e infine l’intellettuale incompreso che, in un mondo votato ad un fiducioso progresso, riflette sulla fragilità di noi uomini gettati nel mondo.
Elio Germano sembra davvero catturare, nel corpo e nello spirito, l’animo profondo di questo uomo e poeta, allo stesso tempo fragile e coraggioso, ironico e riflessivo, togliendolo dalla sua dimensione strettamente letteraria e restituendoci quel Leopardi che ha saputo guardare oltre il confine che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Il giovane favoloso è un film che fa bene perché arricchisce, invita ad una pensosa riflessione e ci ricorda che il nostro oggi sta nel nostro ieri, nella grande poesia come nell’esempio di chi è vissuto alla ricerca della verità… ma che cosa è la verità ci chiederemo? Beh il giovane Leopardi risponderebbe che sta nel dubbio.
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