Politica, società civile e diritti umani in Egitto

Un dibattito all’Ateneo di Pisa,
a un anno dalla scomparsa di Giulio Regeni.

PISA – Si è tenuto martedì 7 febbraio a partire dalle 15.30 nella sala formazione di Palazzo Vitelli, sede dell’amministrazione centrale dell’Università di Pisa, il convegno Politica, società civile e diritti umani in Egitto. Organizzato dal prof. Arturo Marzano, docente di storia delle relazioni internazionali al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, l’evento ha raccolto la numerosa presenza di studiosi, attivisti e cittadini. La conferenza è stata costruita col patrocinio del Comune di Pisa e con la collaborazione operativa di Amnesty International – sede di Pisa e dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani di Pisa. Hanno preso parte in veste di relatori la prof.ssa Lucia Sorbera dell’Università di Sidney, il dott. Lorenzo Zamponi dell’Istituto di Scienze Umane e Sociali della Scuola Normale Superiore, Gianni Rufini direttore generale di Amnesty International in Italia.

Il dibattito è stato introdotto dal prof. Paolo Mancarella, rettore dell’Università di Pisa, che ha denunciato l’atteggiamento omertoso sulla vicenda Regeni da parte del governo egiziano. L’apprezzamento espresso da Mancarella per l’evento è legato all’ambizione per cui l’università sia parte viva e attenta per ciò che ci sta attorno, sia nel campo del diritto alla libertà di ricerca per giovani ricercatori che nel campo dei diritti umani in generale. Le comunità accademiche possono essere «argine per l’egoismo», ha dichiarato il rettore, rifacendosi alla similitudine storica utilizzata di recente da Papa Francesco contro l’ignavia degli indifferenti nella Germania fra le due guerre, pari a quella del panorama accademico italiano durante il fascismo.

Lucia Sorbera, studiosa dell’Egitto contemporaneo e, più in generale, del Vicino Oriente, ha sottolineato la rilevanza del lavoro di Regeni nel ridefinire lo stile delle relazioni internazionali e dell’atteggiamento che l’Italia deve avere verso l’Egitto in termini di libertà accademica.

«A cosa ci riferiamo quando si parla della società civile in Egitto?»

Per Lucia Sorbera le componenti sono plurali e non si può analizzare tale contesto come un blocco omogeneo. Non è un caso che tale ricerca si possa sviluppare sul piano dell’etnografia e della storia orale, specie se si fa riferimento ai complessi anni Novanta egiziani. In quel periodo Hosni Mubarak scelse di rispondere alle sollecitazioni del Fondo Monetario Internazionale con la volontà di precarizzare lo stato sociale per ottenere aiuti finanziari. Lo scoppio delle contraddizioni culturali e sociali si fa risalire a quel periodo, come evidenzia anche una letteratura non scientifica fra cui Sorbera ha annoverato il romanzo Palazzo Yacoubian (2002) dell’autore egiziano Alā al- ʿ ʾ Aswānī . In quegli anni crescono esperienze di autogestione in uno spazio pubblico reso sempre più problematico da alti tassi di disoccupazione e da indici di povertà fuori controllo. Gli studi dei demografi parlano di un Paese molto giovane e fervente, che provoca un atteggiamento contraddittorio di Mubarak: alla repressione del dissenso si unisce l’accettazione delle istanze della società civile sul piano dei diritti delle donne e degli orientamenti di genere. Cosa è stato il 2011 e piazza Tahrir? Cosa ha rappresentato? Per Lucia Sorbera si è trattato di una finestra, di una possibilità per una società civile in ebollizione, poi stroncata dalle repressioni del “nuovo” regime, in cui bisogna collorare il senso della sparizione forzata di Regeni.

Il dott. Lorenzo Zamponi ha illustrato una serie di elementi di riflessione prodotti dal COSMOS Centre on Social Movement Studies, centro di ricerca sui movimenti sociali con la direzione della sociologa Donatella Della Porta. Tale studio evidenzia una tendenza complessiva che non si limita allo studio del caso più tragico: cosa significa la libertà di ricerca rispetto ai movimenti? “Bisogna stimolare una riflessione nella comunità accademica per tutelare la libertà della ricerca, la sua utilità sociale, per tutelare le persone con cui si viene a contatto durante l’attività, ossia soggetti potenzialmente a rischio”, ha dichiarato Zamponi. Lo stesso ha evidenziato il bisogno di una riflessione da parte delle comunità di ricerca, come ha provato a fare l’Istituto di Scienze Umane e Sociali con il convegno tenutosi il 4 novembre 2016: Policing research: surveillance, repression and the academia. Come difendersi e come tutelare le persone con cui si ha a che fare nel corso delle proprie ricerche? Come tutelare i soggetti attivi nella ricerca? Bisogna tener conto, a detta di Zamponi, di un progressivo abituarsi degli accademici al sentimento di identificazione della sofferenza: basti pensare a cosa sta avvenendo in Turchia prima e dopo il tentativo di golpe. Basti pensare alla mobilitazione No Tav, dove un’etnologa è stata condannata dalla magistratura italiana per l’uso del “noi” nell’ambito dei propri scritti: è evidente che tra Turchia ed Italia si parla di un contesto geografico e politico diverso, ma si riscontra una comunanza di problematiche.

Da un lato, l’accademico ha il dovere della denuncia, come nei casi di boicottaggi verso convegni internazionali. Il boicottaggio accademico e culturale, d’altro canto, rischia di favorire l’isolamento. È indispensabile la solidarietà attiva degli atenei con programmi di borse per persone che nei propri Paesi vivono limitazioni oggettive: non è la soluzione ad un problema generale, ma un tentativo concreto, tanto quanto i programmi collettivi di ricercatori e giovani dottorandi che, superando la diffidenza, mettono in comune contatti e relazioni.

Gianni Rufini ha evidenziato la necessità di contestare, nel loro complesso, gli antichi e nuovi regimi illiberali, dal Regno Unito di Theresa May alla Cina passando per Russia. Protagonisti indiscussi gli USA del neo-presidente Donald Trump. «Siamo alla vigilia del medioevo senza il fascino dello stesso» ha dichiarato. La scelta di affiancarsi alla famiglia in una campagna di verità e giustizia è legata allo sviluppo della vicenda: già un mese e mezzo dopo il ritrovamento, la polizia egiziana aveva inscenato la prima delle numerose farse atte a coprire le autentiche responsabilità della morte di Regeni. «La risposta è nella mobilitazione della società civile» secondo il direttore generale della ONG. Una mobilitazione con tratti di autonomia, in cui «non è possibile sperare nell’aiuto di nessuno nelle richieste di verità e giustizia».

Nel corso del dibattito, a nome della sede pisana dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca italiani, ha preso la parola il dott. Stefano Carlesi, post-doc della Scuola Superiore Sant’Anna. L’ADI ha dedicato a Regeni, in accordo con la famiglia, il tesseramento associativo per il 2017: il senso è quello di unire il ricordo di un vero e proprio “martire della ricerca” con una richiesta complessiva di assunzione di responsabilità da parte della comunità accademica. In tal senso, quali sono le responsabilità degli elementi di tutela dei giovani ricercatori? Sul caso Regeni, in particolare, Carlesi ha evidenziato la dubbia consapevolezza del contesto da parte dei tutor inglesi del dottorando: il college, quindi, dovrebbe essere stimolato a collaborare rispetto agli strumenti assenti di tutela del giovane ricercatore. Da qui l’appello ad evitare la consacrazione totalizzante per la ricerca a discapito degli strumenti con cui tale indagine può essere effettuata in modo serio e tutelato: i dottorandi non possono essere mandati allo sbaraglio. «Esistono responsabilità da accertare e produrre, esiste la necessità che le comunità accademiche valutino i rischi» ha concluso Carlesi.

Molti gli interventi di docenti fra cui Laura Savelli, Federico Oliveri e Marilina Betrò, quest’ultima impegnata a raccontare le difficoltà del costruire campagne archeologiche di scavo in Egitto nel corso dell’ultimo anno. Numerosi gli interventi da parte degli attivisti di Amnesty International, che rimarcano la presenza costante di emozione ed attenzione mediatica, tanto quanto il bisogno di riflettere sul senso profondo del fare ricerca. Un dibattito che, indubbiamente, sarà vissuto in futuro anche in una comunità cittadina totalmente permeata dalla presenza dell’accademia come Pisa.

 

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