Tra gli esecutori del ‘900 pochi hanno lasciato un’impronta tanto indelebile e profonda come Glenn Gould. Amato da molti, osteggiato da altri e ancor oggi oggetto di discussione in sede estetica e filologica. A contribuire alla grande popolarità del pianista canadese ha certamente concorso l’aura di “artista”, col suo carattere estroso, schivo, coi suoi atteggiamenti insoliti e colle sue piccole fissazioni (una delle più note riguarda la sedia che usava al posto dello sgabello del pianoforte: costruita da suo padre, Gould suonava solo stando seduto su quella sedia, anche quando ormai cadeva letteralmente a pezzi a causa dell’età).
Vista la personalità eccentrica, la grande considerazione che è ancor viva presso il pubblico e – non per ultima – la straordinaria bravura, è quasi scontato che ci siano molti motivi, uno più valido dell’altro, per leggere L’ala del turbine intelligente, un interessante volumetto edito da Adelphi. Non si tratta di un libro scritto materialmente da Glenn Gould ma di una raccolta di suoi scritti sulla musica ripresi da articoli, recensioni, addirittura copertine di dischi. Tuttavia di certo questo non li rende meno interessanti, meno validi, meno veri. Anzi. Forse è anche proprio grazie a questa destinazione fortemente “pratica” a renderli tanto efficaci anche per il lettore moderno per il quale questi scritti costituiscono un autentico spaccato sul pensiero e sull’opera di Glenn Gould; un po’ come se potessimo ascoltare ancora la sua voce che ci spiega, con quel suo tono in equilibrio tra il compassato e l’entusiasta, le sue scelte, gli studi che l’hanno portato a quella considerazione.
Questi brevi saggi vanno quindi a costituire una sorta di panoramica della sua complessa personalità culturale, poliedrica e acuta, ma anche un breve excursus sul suo carattere, molto meno serioso di quanto ci si potrebbe attendere e decisamente pungente. È il caso delle surreali (quasi fino al grottesco) interviste con se stesso: Glenn Gould parla di Beethoven con Glenn Gould e, soprattutto, Glenn Gould parla di Glenn Gould con Glenn Gould (!) in cui nonostante vengano affrontati argomenti dotati di un certo peso, artisticamente e culturalmente parlando, l’autore ricorre spesso all’efficace strumento dell’ironia. Tuttavia, proprio a causa di questa continua mescolanza di toni dal serio al faceto talvolta può causare un singolare effetto e cioè che chi legge non sappia come inquadrare una frase particolarmente forte, rimanendone quindi spiazzato. Effetto precisamente voluto (e ottenuto) da Gould, che a quanto pare si divertiva molto a catturare il lettore con le proprie reti, o a confonderlo, ma sempre con l’obiettivo finale di innescare in questo una riflessione, magari anche di argomento extramusicale.
L’elemento che comunque riecheggia in ogni scritto, in ogni pagina, e che rappresenta il dato più interessante dell’intera antologia, è la paziente, metodica, e profonda analisi che Glenn Gould opera su ogni autore, su ogni composizione, smontando pazientemente ogni brano, ogni accordo, arrivando a soppesare ogni singolo grappolo di note. Questi scritti hanno anche, a questo proposito, una grande importanza per ricostruire il lavoro che stava dietro a specifiche incisioni discografiche: ad esempio, l’articolo dedicato alle Variazioni Goldberg era abbinato alla prima incisione di Gould di queste, datata 1956, che però è arcinoto quanto sia differente dalla seconda e “definitiva” incisione del 1981; pertanto è molto interessante da un punto di vista filologico e musicale sapere come Glenn Gould ha affrontato quella prima impresa e sulla base di quali convinzioni. Poi si può non essere d’accordo con le conclusioni cui Gould giunge, così come si può – anzi, si deve! – discutere delle sue interpretazioni, ma non si può negare l’opera mirabile di attenta analisi che Glenn Gould pone nello studio di un compositore.
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