Dopo Stephen Sondheim, riprende il viaggio nella storia del mondo del musical con Hair e l’avvento del rock musical a Broadway.

La seconda metà degli anni Sessanta è segnata dalla nascita di quello che viene definito rock musical, di cui Hair è considerato il primo esempio del genere. Come dice il termine stesso, il rock musical fa uso di musica rock ma è un termine che abbraccia molteplici categorie: dai musical nati come concept album, a musical che fanno uso di strumenti amplificati, a musical jukebox come We will Rock You.
Nonostante l’uso casuale e spesso contraddittorio del termine rock musical, è possibile identificare un numero di produzioni newyorkesi generalmente associate ad esso.
All’inizio degli anni Sessanta, attraverso scioperi che alzano il costo del lavoro, i costi di produzione aumentano e questo porta a un periodo in cui Broadway si trova ad avere pochi nuovi musical in cartellone. I produttori scelgono spettacoli dal gusto conservatore con tematiche che non riflettono l’audience giovanile, il quale si allontana sempre più dal genere.
Ciononostante nella comunità teatrale newyorkese del periodo in molti tentano di rivitalizzare la forma del musical per renderla più rilevante agli occhi di un pubblico moderno. Uno dei gruppi più innovativi è l’Elen Stewart’s La Mama Experimental Theatre Club, la compagnia che porta alla luce Hair.
LA GENESI DI HAIR
Hair, sottotitolato An American Tribal Rock Musical, è frutto del lavoro dei due attori James Rado e Gerome Ragni. I due si incontrano nel 1964, nello spettacolo Off-Broadway Hang Down Your Head and Die e sul finire dello stesso anno iniziano a scrivere il musical. Ispirandosi a persone che conoscono o che incontrano per strada, nei due anni successivi, utilizzano i workshop al La Mama per trasformare le loro osservazioni in un copione ancora acerbo che inizia a girare per le mani dei produttori della città, tra cui Eric Blau. È proprio Blau che, attraverso Nat Shapiro, connette i due con il compositore canadese Galt MacDermot. Mac Dermot è un compositore di brani pop e jazz di successo e nel 1961 aveva vinto un Grammy per la sua composizione African Waltz. Condivide anche lo stesso entusiasmo di Rado e Ragni nel creare uno show rock and roll.
HAIR OFF-BROADWAY
Joseph Papp, che gestisce il New York Shakespeare Festival, decide di volere Hair per inaugurare il Public Theatre nell’East Village. Il musical è il primo lavoro prodotto da Papp con autori viventi. McDermot compone la prima versione della partitura di Hair in due settimane. Gerald Freedman, il direttore artistico del Public Theatre, rielabora il materiale dando vita alla storia di Claude, un giovane che riceve la chiamata alle armi durante la guerra in Vietnam e la sua indecisione a riguardo. Il protagonista è affiancato da Berger, un hippie che ha abbandonato le superiori ed è a capo di una tribù di figli dei fiori. Invece di una narrazione logica, Hair è un’accesa polemica contro le autorità e una glorificazione delle droghe, dell’amore libero, della tolleranza, del rispetto dell’individuo e dell’ambiente.
Hair debutta al Public Theatre il 17 ottobre 1967 dove resta in cartellone per sei settimane. La produzione, nonostante l’accoglienza tiepida della critica, ha successo con il pubblico.
Michael Butler, un uomo d’affari simpatizzante per i movimenti pacifisti e che ha intenzione di candidarsi al senato degli Stati Uniti, dopo aver visto Hair, è convinto che lo spettacolo debba essere visto da un pubblico più ampio e subentra come produttore. Unendo le forze con Papp, sposta Hair al The Cheetah, una discoteca sulla 53esima strada, dove resta per 45 performance addizionali. Successivamente riescono a piazzare il musical al Biltmore Theatre a Broadway.
LA STRADA VERSO BROADWAY
Hair viene sottoposto ad una revisione approfondita prima di aprire a Broadway. Il plot del libretto off-broadway, è alleggerito ulteriormente e reso più realistico. Vengono inoltre aggiunte tredici canzoni, tra cui Let the Sun Shine In, per dare una sferzata più lieta al finale.
Il team creativo assume il regista Tom O’Horgan, forte di una reputazione legata al dirigere spettacoli di teatro sperimentale presso il La Mama.

Usando le tecniche del teatro d’avanguardia, O’Horgan cerca di coinvolgere l’audience il più possibile nell’azione drammatica, eliminando la quarta parete. Il palco non ha un sipario e i membri del cast si muovono continuamente tra il pubblico. La band, originariamente composta da cinque musicisti, a cui si aggiungono quattro strumenti a fiato, si trova in scena. I cantanti, per essere uditi sopra gli strumenti amplificati, tengono in mano dei microfoni che si passano l’uno con l’altro. Inoltre, per mantenere la naturalezza, i membri del cast vengono incoraggiati a improvvisare.
Per enfatizzare lo stile di vita degli hippies, si utilizzano liberamente il linguaggio quotidiano e le parolacce. Adesso il primo atto termina con la famosa scena di nudo, a cui a volte si unisce anche il pubblico. In breve, per O’Horgan, Hair si avvicina a uno spontaneo happening che rinuncia alla artificialità teatrale di uno spettacolo standard.
La partitura di Hair fa uso di strumenti amplificati in pieno stile rock, come ad esempio nelle prominenti linee di basso, ma al tempo stesso utilizza il format strofa-ritornello tanto amato dagli spettacoli di Broadway. MacDermott, in contrasto con le armonie complesse e sofisticate caratteristiche dei musical, sfrutta un linguaggio armonico tipico del rock della metà degli anni Sessanta.
Papp rifiuta di dedicarsi alla produzione del musical a Brodway e così Butler lo produce da solo. Hair apre a Broadway al Biltmore Theatre il 29 aprile 1968 dove rimane fino al 1 luglio 1972 per un totale di 1750 repliche. Diretto da Tom O’Horgan con coreografie di Julie Arenal, vede inoltre nel suo cast Meat Loaf e una giovane Diane Keaton.
Nel 1969 Hair è nominato ai Tony per Miglior Musical e Miglior Regia ma entrambi vanno al musical 1776. Nello stesso anno però vince il Grammy come miglior partitura originale di un cast album.
IL PACIFISMO IN HAIR
Il pacifismo e l’opposizione alla guerra, temi indubbiamente centrali di Hair, si rispecchiano innanzitutto nel dilemma morale del protagonista Claude che lo porta a domandarsi se bruciare o no la sua draft card, una cartolina spedita dal governo che indica di essere stati scelti per il servizio di leva.
In Three-Five-Zero-Zero il testo è un montaggio di parole per descrivere la violenza del combattimento e la sofferenza nella guerra in Vietnam. Il brano inizia con violente immagini di morte, come ad esempio la frase iniziale “ripped open by metal explosion (dilaniato da un esplosione metallica)”. Three-Five-Zero-Zero si sposta poi su una satira dell’esercito Americano che utilizza i media per ottenere supporto nella guerra in Vietnam sottolineando il numero di vietcong catturati.
Let The Sun Shine In rappresenta, nel contesto pacifista che pervade Hair, la richiesta dal gruppo di hippie di rifiutare l’oscurità della guerra e cambiare il mondo per il meglio.

HAIR TRA AMBIENTALISMO E SPIRITUALITÀ
Tra i temi legati al musical Hair troviamo anche l’ambientalismo. Nel brano Air infatti, il personaggio di Jeanie entra in scena indossando una maschera antigas e inizia a cantare. Già nella prime frasi del testo si parla di gas tossici e nell’aria come l’anidride solforosa; ma è più avanti che la canzone addirittura fa riferimento alla ricaduta radioattiva di un esplosione nucleare. Sempre secondo Air sarà l’inquinamento che porterà Jeanie alla morte.
La spiritualità è vista sotto molteplici aspetti. Da un lato troviamo un confronto con la religione, in particolare cattolica, che attraverso la rivisitazione della sua simbologia arriva ad assumere note di satira, come ad esempio in Sodomy, dove il cast evoca posizioni religiose come la pietà e il Cristo sulla croce. Dall’altro, con brani come Aquarius o Good Morning, Starshine, Hair rispecchia l’interesse culturale nell’astrologia e nella cosmologia degli anni Sessanta.
NON SOLO PEACE: HAIR, L’AMORE INTERRAZZIALE E LA SESSUALITÀ LIBERA
Sulla strada tracciata da Show Boat (1927) e Porgy and Bess (1935), Hair fa spazio sulle assi di Broadway all’integrazione razziale con un terzo del cast di origine afroamericana. Inoltre i loro ruoli sono sullo stesso piano di quelli ritratti da attori bianchi, allontanandosi perciò dalla tradizione che vede attori afroamericani interpretare schiavi o servitori. Molti numeri musicali e scene fanno riferimento alle problematiche razziali, come Dead End, cantata dai membri neri del cast, che è una lista di segnali stradali che simboleggiano la frustrazione e l’alienazione della comunità afroamericana. Black Boys/White Boys è in aggiunta un esuberante riconoscimento dell’attrazione sessuale su un piano interrazziale.
L’attrazione sessuale interrazziale non è l’unica maniera in cui Hair celebra la libertà sessuale. Ad esempio in Sodomy si accenna a quanto possa essere divertente la masturbazione. Ma ancora di più, lo show rispecchia la pansessualità legata alla scena hippie del periodo: la tribe infatti è composta da persone che hanno rapporti sessuali tra di loro e questo è declinato anche nelle sfaccettature queer.
Inoltre al centro di Hair c’è il triangolo amoroso bisessuale tra Berger, Claude e Sheila. Ed è lo stesso Berger che, prendendo il posto di Claude su un aereo dell’aviazione che parte per la guerra in Vietnam, esegue il più grande atto d’amore, il sacrificio. E in The Flesh Failures, lo fa accompagnato dal controcanto della tribe che usa versi shakespeariani tratti dal finale del V atto di Romeo e Giulietta: “arms, take your last embrace! And, lips, the doors of breath, seal with a righteous kiss”.
LE CITAZIONI LETTERARIE CONTENUTE IN HAIR
Come i già citati versi di Romeo e Giulietta, Hair è ricco di riferimenti letterari, in particolare alle opere di Shakespeare. Tra questi ad esempio il testo di What a Piece of Work is Man è preso dall’Amleto mentre in The Flesh Failures, “the rest is silence” sono le ultime parole di Amleto.
Un’altra citazione letteraria è la canzone Three-Five-Zero-Zero, analizzata alcuni paragrafi più in alto. Essa si basa su Whichita Vortex Sutra, scritto da Allen Ginsberg nel 1966. Nel poema, il generale Macwell Taylor riporta alla stampa i numeri dei soldati nemici uccisi in un mese, ripetendoli cifra per cifra, come appunto il titolo della canzone nel musical.
LA TRIBE E L’USO DI DROGHE
In Hair ci sono anche referenze ai nativi americani che fanno parte del focus anti-consumistico ed ecologico del movimento hippie. A questo si aggiunge il concetto di Tribe preso in prestito dalle comunità di nativi americani: la comunità hippie, la tribù di cui Berger fa parte e che durante lo show spesso agisce come un singolo organismo.
I personaggi di Hair fanno uso di droghe, specialmente sostanze allucinogene che servono ad espandere la mente come la marijuana e l’LSD. La terza canzone del primo atto, intitolata Hashish e cantata dalla tribe, è praticamente una lista di droghe ed elenca, tra le altre, eroina, oppio e cocaina.
HAIR UN MUSICAL CONTROVERSO
Tutte queste tematiche esaminate fanno ben capire quanto Hair sia un musical controverso, soprattutto se si dà uno sguardo ai titoli in cartellone a Broadway durante la settimana della sua apertura. Infatti troviamo musical più tradizionali come Hello, Dolly!, Man of La Mancha, Funny Girl e Fiddler on the Roof.
I testi di Rado e Ragni, come i già citati Sodomy, Hashish o Three-Five-Zero-Zero, spesso sono più simili a slogan o a striscioni che agli show-tunes a cui il pubblico di Broadway è abituato. La partitura oltretutto contiene molte più canzoni di un tipico musical del periodo.

Hair è considerato un prototipo di Concept Musical in quanto l’enfasi è sul suo messaggio, sui temi e le metafore trattate piuttosto che sulla trama.
Lo show causa molte controversie e viene accusato di dissacrare la bandiera Americana. Inoltre l’uso di un linguaggio osceno e il messaggio contro la guerra in Vietnam causano nei suoi primi anni occasionali minacce e atti di violenza. Addirittura, quando Hair apre in altre città, vengono intraprese cause legali contro di esso.
CONCLUSIONI
L’importanza di Hair va vista non solo nell’ottica del sottogenere dei rock musical. È infatti grazie al suo linguaggio ricco di volgarità e ai suoi contenuti che il musical fa un balzo in avanti. L’omosessualità non è più celata nei testi di Cole Porter e sono finiti i tempi dell’amore interrazziale proibito di The King and I. La tribe è viva e si mostra nuda nei suoi colori e nella sua sessualità. È grazie a Hair che si apre la strada per musical più recenti come Rent e Hedwig and the Angry Inch.
Photocredits: 1. http://www.orlok.com/hair/holding/photographs/hair/HairPoster.html 2-3. da wikipedia, autore GisleHaa 4. Eric Koch for Anefo – http://proxy.handle.net/10648/ab85d546-d0b4-102d-bcf8-003048976d84
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