L’Heavy Metal degli anni ’80 e le storie horror
È noto a tutti come l’immaginario orrifico sia stato uno dei pilastri tematici della scena Heavy Metal mondiale. Non è una notizia inedita il fatto che i Black Sabbath scelsero il loro monicker vedendo in un cinema di Birmingham la locandina del film di Mario Bava I tre volti della paura (titolo inglese Black Sabbath, per l’appunto), non si fanno rivelazioni sconvolgenti affermando che la stragrande maggioranza delle band che si formarono alla fine degli anni ’60 (Blue Oyster Cult, Judas Priest su tutti) cercarono in tutti i modi di allontanarsi dai retaggi culturali dell’appena conclusasi “summer of love” per orientarsi su binari che portavano la musica e lo stile visivo verso qualcosa di diverso.
Molti sociologi, tra cui la pioniera dei cultural studies sul rock Deena Weinstein, hanno fatto coincidere la nascita dell’Heavy Metal con il tracollo della rivoluzione giovanile: tra il 1968 e il 1972 ci furono azioni di polizia contro gli studenti delle Università di Chicago, Parigi, Città del Messico, a cui si aggiunsero l’omicidio di Martin Luther King, il fallimento della candidatura a presidente degli Stati Uniti del laburista Eugene McCarthy in chiave anti-Vietnam e i conseguenti scontri antibellici in moltissime università statunitensi.
C’è da dire che molti ascoltatori, critici, docenti e sociologi che hanno trattato il tema Heavy Metal, sicuramente in maniera astratta e poco attenta, hanno bollato questa nuova fase del rock con il termine dell’irrazionalità. Sono tante e diverse le occasioni in cui personalità di spicco hanno affermato che nell’era delle grandi band del rock, adesso chiamato classico, come Pink Floyd, Rolling Stones e The Beatles c’era un vero interesse sociale nelle loro liriche, mentre con l’arrivo dell’Heavy Metal tutto andò a finire nel calderone dell’irrazionalità e della fantasia.
Sarebbe interessante sapere cosa ci trovassero di “socialmente utile” in canzoni che erano inni ai viaggi di LSD (Astronomy Domine) o rielaborazioni mistico-ermetiche di Lewis Carroll (I Am The Walrus). Il vero e fondamentale aspetto sociale di queste band è invece – tassello fondamentale per capire le origine del rock per le masse – quello di essere state importanti per l’unione di molte persone, un mezzo di coesione sociale più che un megafono di allarmi sociali.
Con questa semplificazione non vogliamo denigrare quel pezzo di storia della musica, bensì quel tipo di critica che ha legato lo studio della musica alla propria esperienza giovanilistica, arrivando dunque alla manipolazione di verità oggettive (sempre difficili da individuare quando si parla di arte) che a mio parere dovrebbero porre l’Heavy Metal in continuità e allo stesso tempo in rottura con l’esperienza del ’68.
Questo cappello introduttivo, lungo e forse fazioso, era obbligatorio per l’articolo in questione, nel quale saranno analizzati alcuni album di Heavy Metal dalle tematiche horror usciti negli anni ’80, sia dal lato prettamente musicale sia da quello delle liriche. I prescelti per l’occasione saranno i lavori dei Mercyful Fate, King Diamond e Lizzy Borden.
Partiamo dall’Europa, precisamente dalla fredda Danimarca, ed andiamo ad analizzare qualche brano dei Mercyful Fate. Una band da una genesi lunga e travagliata nella quale confluiscono musicisti di Brat (i chitarristi Shermann e Denner) e Black Roses (il cantante King Diamond). Tra il 1982 e il 1984, in un panorama Heavy Metal in cui le punte di diamante del metal orrifico avevano già fatto parlare di loro (Slayer, Bathory, Venom, W.A.S.P., spaziando tra i vari stili di metal), i Mercyful Fate realizzano un Ep e due Lp destinati a cambiare la storia del metal europeo. Le tematiche satanic-horror occupano la quasi totalità delle canzoni, suscitano polemiche a non finire, classici dibattiti tra libertari, bacchettoni e perbenisti; nel frattempo la band si scioglie nel 1985 (per poi tornare insieme dal 1993 al 1999). Ma di cosa parlavano le canzoni dei Mercyful Fate? La blasfemia era l’arma preferita da King Diamond, autore di tutti i testi, mentre la band era dedita a suonare un Heavy Metal sempre potente, abile ad utilizzare strutture classicamente britanniche, mescolarle con il falsetto malefico del frontman, non nascondendo una passione per la ricerca melodica nei momenti solistici e/o atmosferici. Nel primo Ep, composto da quattro brani, ci sono episodi che guardano alla tradizione zombiesca (Doomed By The Living Dead), a possessioni demoniache che svuotano le anime delle persone (A Corpse Without Soul) ed a leggende blasfeme (Nuns Have No Fun). Il primo album del gruppo, ovvero quel Melissa che è rimasto tra i capolavori di tutta l’annata 1983, si apre con Evil, manifesto programmatico di tutta la follia luciferina che la band danese si portava sulle spalle. «I was born on the cemetary, under the sign of the moon»: questi sono i primi due versi dell’opener che ben potrebbero tradursi sia in immagini sul grande schermo che sullo storyboard di un disegnatore di fumetti, mentre Curse Of The Pharaohs affronta la tematica dell’horror in chiave mitico-mistica attraverso la leggenda della maledizione dei faraoni. Melissa è un disco che non concede pace all’ascoltatore neanche nei momenti di stacco dall’acceleratore come in Into The Coven o la stessa Melissa. L’album trova il suo zenith più crudele e blasfemo in quell’inno nero al sacrificio che risponde al nome di Satan’s Fall. L’anno successivo è la volta di Don’t Break The Oath, album che riprende ed aumenta lo spettro d’indagine del mondo dell’oscurità grazie anche ad un’operazione che riporta a galla alcune canzoni demo che erano soltanto in fase di lavorazione durante gli early-years del gruppo. Invocazioni demoniache, inviti a presenziare ad ambigui sabba, celebrazioni della notte del mai nato: questi ed altri erano gli argomenti di Don’t Break The Oath.
Dopo lo split dei Mercyful Fate, vediamo Shermann formare i Fate, mentre il Re Diamante forma l’omonima band che tutt’oggi esiste. I King Diamond nascono nel 1985 e nel luglio del medesimo anno si rinchiudono nei Sound Track Studios di Copenhagen per dar vita a Fatal Portrait. Diamond capisce, o gli viene fatto capire, che il satanismo blasfemo dei due album presentato nelle liriche dei Mercyful Fate è poco adatto a tutta una nuova fetta di pubblico che stava cominciando a comprare dischi ed affollare i concerti Heavy Metal. Il nuovo pubblico che frequentava i concerti in Europa ma soprattutto negli USA era il medesimo che andava pazzo per Freddy Krueger e per le saghe cinematografiche del new-horror e quindi i King Diamond costruiscono album dopo album delle storie horror che non sarebbero sfigurate sul grande schermo. Fatal Portrait racconta di un incantesimo raccolto nelle pagine del libro di Giona, mentre è nel disco successivo, Abigail, che l’horror tout-court prende il sopravvento.
Abigail racconta una ghost-story ambientata su due livelli temporali: il 1777 e il 1845. In quell’anno due novelli sposini, Miriam (in dolce attesa) ed il conte Jonathan LaFey, ereditano una magione sperduta nei boschi che al suo interno nasconde la maledizione della piccola Abigail. L’abilità di King Diamond nel descrivere dettagli oscuri, trame e sotto-trame e nel mantenere una credibilità narrativa non macchiettistica è molto elevata, così come è grande l’apporto musicale dato dai chitarristi LaRocque e Denner e dalla sezione ritmica formata da Timi Hansen e Mikkey Dee. Il cantante raccontò alla stampa di aver
composto gran parte della storia di Abigail in una sola notte di tempesta, con una montagna di idee che non aspettavano altro che essere scritte. La combinazione di ispirazione e caffè può fare miracoli e all’alba ne avevo praticamente completato la prima stesura.
Una storia certamente affascinante ma di cui non abbiamo le prove per stabilire la veridicità. Resta il fatto che Abigail rimane uno dei migliori dischi Heavy Metal a raccontare una storia di paura dall’inizio alla fine. Più che un concept-album, potremo ribattezzarlo book-album. Anche altri lavori successivi di King Diamond hanno avuto questa caratteristica: basti pensare al poco successivo Them, o alle storie più recenti narrate in Voodoo (con una trama più o meno assimilabile al film Poltergeist, per il fatto di parlare di una casa costruita su di un cimitero: nel film si raccontava di un cimitero indiano mentre nell’album di un cimitero voodoo), The House of God (storia metaforica sul valore di Dio) o The Puppet Master (storia grandguignolesca con burattini ambientata in quel di Budapest).
Cambiamo band e continente.
Gli Stati Uniti avevano già dato tantissimo al genere del shock-rock: Alice Cooper aveva debuttato nel 1969, i Kiss nel 1974, i Twisted Sister mettevano a ferro e fuoco i locali della East Coast dalla metà degli anni ’70, gli W.A.S.P. (nelle varie incarnazioni e formazioni pre-debutto) erano già conosciuti ad inizio anni ’80 per i loro show sanguinosi e sessualmente ammiccanti, ma una band come i Lizzy Borden era quello che mancava all’America influenzata dall’ideologia bifronte reaganiana. Non ci volle molto tempo per far balzare il nome della band dei fratelli Harges (Lizzy il cantante e Joey il batterista) all’onore della cronaca. Già la scelta del monicker era un biglietto da visita ben chiaro: Lizzie Borden fu infatti un’assassina psicopatica che nel XIX secolo uccise con un’ascia i suoi “cari”. Da questo fatto sanguinoso di cronaca la band prese spunto per il primo Ep Give’em The Axe e per l’iconografia live da presentare durante il The Murderess Metal Road Show, tour di supporto al disco di debutto Love You To Pieces. L’album presenta al suo interno dieci tracce che possono anche essere assunte come dieci piccoli racconti del terrore: dalla stregoneria di Council For The Cauldron al cannibalismo di Flasheater, dalla citazione kinghiana/kubrickiana di RedRum alla leggenda di (Lady)Godiva, finendo per arrivare allo slasher puro di Psychopath. Love You To Pieces è un album che ben si innesta nel panorama del metal americano di metà anni ’80, ancora debitore di tutta la scuola inglese (Iron Maiden in primis) ma con forti dosi di melodia americana data anche dalla timbrica pulita del cantante.
Nel mondo dell’Heavy Metal degli anni ’80, tuttavia, l’horror non era un affare per pochi. In questo articolo ho fatto luce su due delle tante realtà che nei solchi dei loro album hanno portato pezzi di oscurità: c’era chi traeva spunto da fatti di cronaca, altri facevano riferimento solo alla loro fantasia, mentre altri si rivolgevano ai mostri sacri della letteratura gotica ed horror. Facciamo un esempio: molti gruppi Hard ‘n’ Heavy hanno attinto a piene mani dalla letteratura di Stephen King e dunque ad un contemporaneo della grande maggioranza di queste band. I tedeschi Carrie e Salem’s Lot scelsero come nome gli omonimi romanzi dello scrittore nativo di Portland, i tedeschi Blind Guardian scrissero la canzone Tommyknockers ispirandosi all’omonimo romanzo del 1987, mentre Guardian Of The Blind, sempre del medesimo gruppo, si ispira ad It. Gli Anthrax per la loro Among The Living, che parla delle avventure ambientate in un futuro post-pandemia di Randall Flag, si ispirarono al romanzo L’ombra dello scorpione, mentre le canzoni Skeleton In The Closet e Misery Loves Company avevano le proprie radici in Apt Pupil e Misery. Un legame con il mondo dell’Heavy Metal è possibile anche rintracciarlo in certi romanzi di King stesso: in un certo punto del libro It ci imbattiamo in una descrizione di una locandina che sponsorizza un evento: «14 Giugno Heavy Metal Mania! Judas Priest – Iron Maiden – Acquistate i biglietti qui o in qualunque rivendita». Inoltre, nel momento in cui Stephen King fece il suo debutto dietro la macchina da presa per il film Brivido, scelse proprio un gruppo Hard Rock, gli AC/DC, per la realizzazione della colonna sonora.
Come vedete i legami tra horror e musica metal sono infiniti, e meriterebbero un largo spazio di analisi: ci sarebbe da parlare di altri autori (Lovecraft, Poe) che sono stati fondamentali per la creazione di un immaginario, ci sarebbe da discutere sui collegamenti tematici con i film, le colonne sonore, i camei dei musicisti in varie pellicole o molti altri aspetti che hanno fatto sì che l’abbraccio letale tra horror e Heavy Metal sia (quasi) inscindibile.
Tomas Ticciati
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