HER: macchine e uomini, un amore possibile
Il rapporto tra l’essere umano e la tecnologia è un tema che spesso e volentieri è stato trattato nell’arte visiva e performativa da decenni. I registi cinematografici, in particolare quelli specializzati nel genere fantascientifico, ne sono stati ossessionati per anni, e all’interno delle loro pellicole hanno anche mostrato una visione critica della questione, che per la maggior parte si rivelava cupa e profetizzante. Ma il regista americano Spike Jonze è riuscito a distaccarsi da questa nube di negatività futuristica. Con il suo film Her (2013) è riuscito a creare un’interpretazione ibrida di questo rapporto tra uomo e tecnologia, portando il pubblico a un’aperta riflessione che si affaccia sulla complessa realtà tecnologica dei giorni nostri, introducendo una lettura sentimentale alla questione.
Il film narra la storia di Theodore Twombly ambientata in un futuro non definito. Theodore è un uomo solo e introverso, che di professione scrive lettere per conto di altri. Dopo essersi separato dalla moglie Catherine si ritrova incapace di rifarsi una vita, si rifiuta di firmare le carte del divorzio e passa il tempo a pensare al suo vecchio rapporto. Nel frattempo, mentre Theodore vive le sue ossessioni, arriva sul mercato una nuova generazione di sistemi operativi, animati da un’intelligenza artificiale sorprendentemente “umana”, ed egli comincia a sviluppare con una di essi, Samantha, una relazione complessa che gli cambierà la vita. Una storia d’amore tra un uomo e un prodotto tecnologico è una cosa talmente surreale che solo un regista anticonformista come Spike Jonze poteva creare. È un qualcosa di impossibile da immaginare per qualsiasi persona, eppure questa contrarietà non si avverte guardando il film. Più ci si addentra nella pellicola, più si riesce a percepire questo legame, questo rapporto come un qualcosa di “vero”, di naturale, proprio come lo stesso protagonista lo vive. Jonze con questo vuole farci credere in un futuro in cui lo spirito umano non è ostacolato dalle nuove tecnologie, bensì aiutato e confortato.
Parte essenziale di questa pellicola, nonché uno dei suoi punti forti, è la fotografia, dove sono spesso protagoniste le magnifiche riprese di una Los Angeles futuristica. Una delle ispirazioni di Jonze per l’estetica del film è stata infatti la fotografia di Rinko Kawauchi, immagini quasi sbiadite, con pochi colori a fare da contrasto in ambientazioni fredde (c’è una predominanza particolare del colore rosso, soprattutto nelle prime scene).
Interessante è anche la scelta dei costumi: Casey Storm, il costumista, costruisce un’ambientazione confortevole, ricca di richiami al passato e densa di palette di colori caldi che si contrappongono delicatamente alle scene, quelle metalliche, piene di vetro, grigie, e artificiali. Si parla, in questo caso, di retrofuturismo, uno schema stilistico spesso impiegato dai registi per rendere il proprio mondo futuristico più convincente, tecnica che già era stata usata in film come Gattaca, o Ritorno al Futuro.
Jonze, senza alcuna forma di pudore e per dare più risalto al rapporto uomo software, inserisce nella pellicola anche il cyber-sex, ossia un rapporto sessuale virtuale tra due o più persone che anche oggi è molto praticato attraverso siti internet, chat e MI (Messaggistica Istantanea, come Whatsapp o Snapchat). In Her il cyber-sex ha un risvolto particolare: all’inizio viene visto come una pratica abbastanza triste e deludente, ai limiti del ridicolo. Ma successivamente, quando il protagonista lo pratica con Samantha, si rivela essere un atto molto dolce, quasi toccante agli occhi dello spettatore. Quella infatti si rivela l’unica possibilità che l’umano e il software hanno per creare un certo tipo di “contatto”.
A tal proposito non si può non lodare la straordinaria interpretazione dei due protagonisti: Joaquin Phoenix, attore dal talento strabiliante, ha dimostrato di nuovo la sua versatilità, donando un’incredibile profondità al personaggio di Theodore, rivelando il suo lato tenero e commovente. Phoenix è riuscito a rendere credibile una conversazione a due, nonostante fosse il solo ad essere inquadrato. Un altro ruolo decisamente complesso è toccato a Scarlett Johansson, che interpreta il sistema operativo Samantha. Ironico il fatto che il regista abbia scelto proprio lei per quel ruolo, una delle attrici più attraenti e sexy di Hollywood, considerando che di Samantha si conosce solo la voce, essendo “solo” un programma computerizzato. Eppure Scarlett, esclusivamente con la sua voce, riesce a donare a Samantha carisma, dolcezza, sensualità, carattere e umanità: questa suprema abilità nella caratterizzazione di un personaggio solamente nel doppiaggio ha portato l’attrice a vincere il riconoscimento di “Miglior Interpretazione femminile” al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2013.
Altra attrice particolarmente degna di nota nel film è Amy Adams, che, interpretando un’amica di vecchia data del protagonista, ha dato una grande profondità al suo personaggio nonostante poche e brevi scene.
In generale, Her è un film che è stato accolto calorosamente dalla critica internazionale, elogiato particolarmente per la sua regia, sceneggiatura, scenografia e colonna sonora (composta dagli Arcade Fire e Owen Pallett), tanto che è stato candidato a cinque premi Oscar, di cui ha vinto “Migliore sceneggiatura originale”.
È un opera dal sapore agrodolce, in cui vagheggia un’aria soavemente malinconica, e in cui si affrontano le grandi dicotomie tra filosofia e scienza, materia e spirito, in un tempo in cui lo stesso concetto di amore di evolve e riesce ad andare oltre gli schermi, in un mondo di uomini sensibilmente meccanizzati e macchine umanamente sensibili.
Giuseppe D’Agata
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