I Monito-r e la new wave

Come sono nati i Monito-r: intervista esclusiva al frontman del trio new wave modenese

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9 gennanio, Alchemica music club di Bologna. In occasione della serata Obscura, dedicata alla cultura gothic in tutte le sue forme, hanno aperto i Monito-r, protagonisti di questo articolo. Si sono in seguito esibiti i Caron Dimonio, duo bolognese post punk formato da Giuseppe Lo Bue, (cantante e chitarrista) che si occupa dei synth, della drum machine e della voce, e da Filippo Scalzo, bassista; per concludere con gli Hidden Place, electro wave band nata nel 2004 che è riuscita a mescolare le gelide sonorità dei Frozen Autumn con la delicatezza sensuale della voce femminile di Sara Lux. Formazioni particolari, fuori dai limiti della musica rock e delle band canoniche che siamo abituati a conoscere: la batteria diventa un pad elettronico, una drum machine o una groove box, mentre sovrani regnano i synth e il basso. Strano? No, questa è la wave, o meglio la Neo wave che andiamo ora a conoscere in particolare attraverso i Monito-r che, con un piglio più rock e con tanto di batteria acustica, ci hanno mostrato come fare wave, alla vecchia maniera e nel 2015, sia ancora possibile.

Ho avuto l’occasione e la fortuna di inserirmi nell’atmosfera privata pre concerto e di scambiare due chiacchere con i Monito-r, in particolare con il frontman, Paolo Neri, un mio carissimo amico. Paolo – vestito con una giacca con enormi spalline alla Brian Ferry, pantaloni neri in pvc, rossetto nero, e occhiali da sole, mise che ricordava un misto tra il giovane David Sylvian nel video di Adolescent Sex e il carnevalesco Klaus Nomi, androgino, effemminato, glam e indefinito come Bowie – ha portato sul palco dell’Alchemica, insieme ai suoi compagni, una nuova vena wave, rivisitando il passato con estrema schiettezza.

Portatore di uno spirito per la musica home made, elettronica vintage e per quell’allure demodè che fa tanto neo romantico e dandy decadente anni 80, Paolo mi ha rilasciato un’interessante intervista che mi ha permesso di addentrarmi ancora di più nella musica del trio. Vi lascio modo di scoprire questa originalissima formazione che non si stanca mai di stupire, disorientare e affascinare silenziosamente il suo pubblico, portando di nuovo in vita tutti quei suoni che oggi siamo difficilmente abituati ad ascoltare. Tra la passione per l’analogico e il rock suonato alla vecchia maniera, la freddezza della new wave riesce improvvisamente a scaldarsi di note glam e prog, pur mantenendo i suoi toni tragici e severi.

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Dunque Paolo…Raccontami come è iniziata la tua avventura con i Monito-r.

Il nome innanzi tutto è nato dal gruppo proto-punk Television, perché io sono molto appassionato di questo gruppo e quindi ho deciso di prendere il nome da lì. Mi sono detto: “Perché non ci chiamiamo Monito-r invece di Television?” Tanto il concetto del televisore era già contenuto nel nome Monitor e quindi… Giusto per evitare il plagio abbiamo optato per questa scelta. Prima di dare via al progetto già conoscevo Paolo Luppi, il batterista, e all’inizio abbiamo cominciato a suonare in due. Siccome in quel periodo, circa a metà del 2011, ascoltavo molto i Section 25 (gruppo cold wave belga n.d.a) ho proposto a Paolo di provare a suonare qualcosa di loro, dato che erano uno di quei pochi gruppi new wave che avevano la batteria “vera”, cioè acustica e non drum machines o batterie elettroniche. Così abbiamo iniziato a suonare insieme con l’obiettivo di fare qualcosa dei Section 25 però in versione più moderna. Ci siamo trovati in sala prove e abbiamo buttato giù i nostri primi due pezzi: Gas Liquido e Vicious. Il risultato non era male, un misto tra post punk e minimal wave, con una voce molto tragica… La mia voce tragica, che ancora devo migliorare (ride). Allora decisamente esaltati abbiamo continuato a suonare, abbiamo provato alcune cover molto punk, tipo i CCCP, poi ci siamo dedicati alla cold wave dei Trisomie 21, a Gary Newman e poi abbiamo seriamente iniziato a produrre pezzi nostri e ci siamo inseriti gradualmente nelle serate dark dell’area di Modena. Dato che spesso andavamo alle serate Grotesque di Gianfranco, lui in seguito ci ha proposto di aprire il concerto di un gruppo death rock spagnolo, i Los carniceros del norte.

Ecco questi mi mancavano…

Eh si, sarebbero “i macellai del nord”… (ridiamo e commentiamo che il nome è adatto per un gruppo death rock). Insomma questa è stata la nostra prima esperienza e abbiamo portato quella sera una cover di Gary Newman e dei Tubeway Army: Me! I Disconnect From You. Poi piano piano abbiamo ingranato, abbiamo fatto pezzi nuovi, io mi sono comprato synth nuovi, soprattutto degli anni 70, quelli usati dai gruppi progressive che amo e ascolto moltissimo, e in seguito abbiamo anche migliorato la nostra tecnica, abbiamo reso le canzoni più asciutte e precise, con meno fronzoli e con meno pad elettronici per dedicarci alla tecnica dell’analogico, fino ad arrivare al 2012 dove abbiamo aperto il concerto al gruppo storico della wave: i Chameleons. Lì è stato fantastico, abbiamo portato nuovamente una cover di Gary Newman, e il cantante, Mike Bourges, è rimasto molto colpito!

E come siete arrivati alla formazione attuale?

Beh ci sono stati vari cambiamenti… Dopo il concerto con i Chameleons abbiamo chiamato un chitarrista che è stato con noi per circa un mese… Poi abbiamo deciso che forse era meglio restare come duo, poi abbiamo chiesto ad un nostro vecchio amico di suonare il basso, che però è in seguito uscito dalla formazione per divergenze musicali (a lui piacevano i Muse e sinceramente con la musica che avevamo intenzione di fare i Muse c’entravano proprio poco). Insomma abbiamo continuato a suonare in due e abbiamo fatto il nostro primo album, La Degenerazione Dell’Anima. In tre mesi abbiamo registrato undici pezzi. Abbiamo fatto tutto da soli, non abbiamo nessuna produzione, nessuna casa discografica, non abbiamo nessuno che ci spinge. Ora collaboriamo con Filippo Ferretti, Dj Mask, e siamo diventati un trio.

Per quanto riguarda il disco… Il nostro album è un concept-album. La copertina fuori è neutra e si apre come una stella a quattro punte, con dentro l’elenco dei titoli che corre lungo il bordo. L’album è un involucro che racchiude tutto il contenuto, mentre fuori non c’è niente. Questo è l’immagine della nostra musica, del nostro modo di fare musica e della nostra personalità: fuori sembriamo chiusi e silenziosi, come Paolo, il nostro batterista (ride), ma dentro abbiamo un mondo, proprio come lui!

Fuori il nulla, dentro l’idea, il mondo.

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Qual è il significato del titolo? Cosa sono le cose che si nascondono dentro il vostro album?

Il titolo La Degenerazione Dell’Anima deriva dal fatto che la nostra anima e il nostro modo di essere sono strettamente correlati alla società in cui viviamo che molto ci influenza e ci distorce. La vita non è fatta solo di guadagni, lavoro, relazioni sociali prestabilite… La vita è fatta anche di una crescita interiore della nostra anima e del nostro essere. Ma la nostra anima è come se fosse strettamente controllata, plagiata, monitorata da mondo esterno in cui siamo costretti a vivere; spesso alcune scelte che facciamo, a mio giudizio, non sono sempre le nostre, cioè non sono connesse veramente a quello che vogliamo, perché siamo condizionati dalla pubblicità, dalla televisione, dai canoni proposti, dal fatto di essere “politically correct”, costretti a praticare il binario dualismo dei generi con tutte le sue costrizioni, essere sempre ben vestiti, oppure sposati con la persona perfetta, con una vita perfetta, con una forma perfetta. La vita che facciamo a volte non è quella che vogliamo.

La cover che ho proposto questa sera infatti, In Every Dream Home A Heartache dei Roxy Music, ovvero “in ogni casa da sogno, un’angoscia”, rispecchia secondo me quella vita standardizzata (la moglie perfetta, la casa splendida, il lavoro perfetto) che dentro ha i suoi pericoli e le sue ansie. Casa sicura, amore sicuro… Esaurimento sicuro! Questa, lo devo dire, è una citazione degli Afrodisia città libera, un gruppo new wave italiano di Sassuolo (MO) di cui personalmente conosco il cantante, Sergio Giacomini, fantastico! Abbiamo anche fatto una collaborazione con lui. E dal loro album Stati D’Ansia ho ripreso molto delle mie tematiche. Anche dal secondo, Il Veleno Della Sottomissione, ho ripreso molti temi.

Tipo?

Dunque…Oltre al pericolo della standardizzazione della vita molto mi ha colpito il tema della sottomissione dell’uomo alla donna, di cui nessuno parla apertamente. Le donne spesso sono delle manipolatrici e alcuni uomini ne restano vittima.

Come direbbe Elio… Servi della Gleba a testa alta!

Schiavi della ghiandola mammaria! (ride). In quel disco si parla di donne che si sentono dee e dive e sono talvolta pericolose ma estremamente invitanti, come le femmes fatales ottocentesche. Attraenti, sensuali ma estremamente ingannevoli.

Bene, volevo chiederti un’ultima cosa. Avete in programma un nuovo disco?

Beh le idee sono tante. Io faccio anche musica da solo, collaboro con Nevruz, suoniamo insieme, lui sta facendo un album con dentro alcuni dei miei pezzi. Con i Monito-r ho intenzione di inoltrarmi in un genere più minimal. Stiamo lavorando con Filippo Ferretti, tastierista autodidatta ma dalla grande musicalità e dall’ottimo orecchio, non il solito musicista accademico. Lui è molto bravo secondo me, suona con il sentimento, una cosa fondamentale, è viscerale come la nostra musica, musica che nasce dall’istinto, dalla pancia. E se un pezzo è di pancia secondo me vince sempre. Comunque stiamo programmando di fare un singolo con due canzoni, mi piacerebbe molto fare un vinile ma chissà se è possibile, e i titoli saranno Mind Control, che parla appunto di controllo mentale della società, delle standardizzazioni della vita, delle vite mediocri (Paolo commenta che sarebbe molto bello fare gli hippies sull’erba n.d.a.) e White Sphere.

White Sphere è la sfera bianca, il luogo immaginario della nostra mente, l’interno di noi stessi in cui pensiamo veramente quello che vogliamo, il luogo in cui ci sono i nostri veri pensieri, il nostro io profondo.

Una specie di Es freudiano?

Si esatto qualcosa che sta dentro e che noi sopprimiamo ma che in realtà è parte di noi. Noi viviamo una vita duale: all’esterno del nostro corpo abbiamo una vita, all’interno un’altra. Ed io credo che molti vivano così, anche se non lo ammettono.

Ti ringrazio, adesso possiamo andare a goderci il Dj set.

 

E ascoltate anche qualche loro pezzo.

Plastic: https://www.reverbnation.com/artist/signup?utm_campaign=FacebookSharing_v3&utm_source=facebook&utm_medium=signup&utm_content=artist_2090688

Berlin East 80’s: https://www.youtube.com/watch?v=WuYf4boE9Z8

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Virginia Villo Monteverdi
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