Il termine icona, il cui senso principale è quello di effige sacra, di immagine permeata di un significato culturale profondo, può essere traslato e arricchito di una ulteriore accezione: quella di una figura o personaggio caratteristico di un’epoca, di un genere e di un ambiente.
Il termine icona pop si riferisce dunque a un personaggio che nella cultura popolare è riuscito a diventare un simbolo e un punto di riferimento per un vasto pubblico, e la sua figura diviene un’effige visivamente rappresentativa di uno stile, di una cultura, di un periodo e di un luogo.
L’icona pop non è solo icona della musica, ma si ritrova anche nelle altre discipline come il cinema, teatro, televisione, arte, politica, erotismo e moda. La prima menzione del termine icona pop nasce dopo la diffusione e la storicizzazione della pop culture a partire dagli anni ’60, precisamente in una recensione sul “New York Times” del 1968, per poi diffondersi in maniera più vasta negli anni ’80 anche in Italia.
Definire icona un personaggio significa collocarlo in uno stadio socializzato e legato a fenomeni interpretativi compiuti che lo portano a caratterizzarsi come figura immediatamente riconoscibile e rassicurante. Si diventa icone attraverso un processo mediatico che coinvolge il pubblico, attraverso un processo che porta a una distruzione del sé interiore a cui si sovrappone un sé esteriore. Quest’ultimo è un sé nato da procedimenti mediatici e assorbe l’identità dell’artista diventando una maschera che parla al pubblico riunendolo sotto la sua effige. Il lato oscuro dell’icona pop è infatti questa diffusa scissione dell’identità: ciò che si è, e ciò che si appare, (ovvero l’identità pubblica formata da identità sonora e identità visiva), nel tempo tendono spesso a non combaciare più. Ci si trasforma così in quello che il pubblico desidera e brama affettivamente e intellettualmente. Elvis, Audrey Hepburn, Madonna, Mina, Lady GaGa, Marilyn, Sophia Loren, Bob Marley, Cicciolina, John Travolta, John Lennon, e altri, sono tutti esempi di questa definizione di icona pop, stampati nell’immaginario collettivo e che oggi hanno assunto statuto leggendario e allo stesso tempo commerciale.
Nella musica questo procedimento di creazione e scissione è ancora più evidente e porta l’artista a trasformarsi con il pubblico e per il pubblico, raggiungendo spesso lo status di portavoce generazionale. Pensando ad artisti come David Bowie, Beatles, Elvis, Freddie Mercury, Madonna, Jovanotti, Nirvana, Jim Morrison, Kiss e altri, la questione sarà più chiara. In tutti questi casi citati il processo di iconizzazione storica ha seguito un percorso simile, che porta dentro di sé diverse variabili: le icone pop musicali nascono in primo luogo da una dimensione sonora e da una dimensione estetica. A queste si affiancano i mezzi comunicativi tipici della musica, concerti, case discografiche, supporti di diffusione, stampa audio visiva e web, che sono tutti elementi funzionali alla diffusione delle immagini dell’artista. L’icona pop musicale assume col tempo lo statuto di legittimazione culturale, crea attorno a sé immaginari che durano nel tempo, e genera in chi la segue un forte valore empatico di riconoscimento e sicurezza identitaria.
Tuttavia non tutte le icone pop musicali (dove pop in questo caso non si riferisce al genere musicale ma alla portata comunicativa della cultura popolare) sono uguali nel loro processo di creazione e durata. Ci sono icone che si rivolgono prevalentemente ai giovani (Elvis, Michael Jackson, Jovanotti, Madonna e Lady GaGa), icone che mutano in maniera controversa (Mina, Bono Vox), icone antidivistiche e politiche (Bob Dylan, Beatles, Bob Marley), icone creatrici di immaginari (David Bowie, Kraftwerk, Bauhaus, Soiuxise and the Banshees), icone che celano totalmente l’identità privata (Daft Punk, Bloody Beetroots) e la lista potrebbe continuare.
Per capire come nascono e come si differenziano le icone musicali saranno presi alcuni esempi che sono ampiamente trattati da Lucio Spaziante nel suo testo Icone pop-identità e apparenze tra semiotica e musica. Spaziante, riferendosi all’integrità tra sé privato e sé pubblico prende come esempio più importante l’icona di Bob Dylan, che ha inquadrato come un anti divo stridente col concetto di estetizzazione pop.
Questo artista, insieme alla generazione dei cantanti italiani degli anni ’70, è stato un esempio di questo genere, emblema di un processo anti estetico che spesso si ritrova anche nelle band rock della musica indipendente italiana odierna e in alcuni dei suoi cantautori emergenti. Portavoce spirituale e politico vicino alla sinistra americana dei lavoratori, Dylan portò nella musica pop testi profondi e letterari, e creò attorno a sé un mondo che era coerente con quello da cui lui proveniva (stesso procedimento, sebbene meno politicizzato, ha caratterizzato Bruce Springsteen, grande ammiratore della musica di Dylan). Anche l’estetizzazione però pesò su quell’immagine nuda e cruda di Dylan: sebbene folksinger, anche lui doveva mantenere uno status di apparenza, quello da chic trasandato ante-litteram che all’epoca era sinonimo di rivoluzione e non mera coreografia.
All’opposto di Dylan si colloca invece l’icona più conosciuta di sempre, Elvis Presley. Come in ogni icona che si rispetti, l’identità sonora e quella visiva trovavano qui un’unione perfetta: Elvis era un bianco che vestiva e suonava come un nero e riuniva nella sua figura stili ed elementi della cultura black e del folk rurale bianco. L’icona di Elvis nacque da una volontà di riscatto personale, il cantante si vestiva e atteggiava come colui che era riuscito a elevarsi nella scala sociale, era un vero arbitrer elegantiae e amava stupire e far emergere un’immagine eclettica, priva però di intenti politici e provocatori. La sua figura, quasi ai limiti del buongusto, diventò un’icona in cui tutta una generazione giovane incominciò a riconoscersi (esibire il lusso e l’eleganza a quell’epoca era un elemento scenico fondamentale per i musicisti). Anche Elvis però non rimase immune dalla scissione dell’io, provocata dalla pesantezza mediatica politicizzata, e si vide nel tempo riflesso in due figure contrastanti: una che lo ritraeva come manifesto di ribellione e degrado morale, l’altra come mito americano e patriottico del sud rurale. Elvis subì così una massiccia manipolazione che lo portò infine a dover rappresentare un’altra maschera, quella del bravo ragazzo e servitore della Patria, mentre il suo sé privato iniziò ad andare incontro a un grave declino.
Anche Springsteen subì uno slittamento mediatico simile, ma sicuramente più consapevole e meno traumatico: un esempio è il disco Born in the USA del 1984, e in particolare la sua copertina che diventò manifesto patriottico dell’America reaganiana. Springsteen però non fu mai una figura scomoda e “scandalosa” come Elvis: diciamo che in quel periodo si trasformò da giovane ribelle folk a ideale galantuomo amato dalle donne, e soldato/padre che infondeva virilità e patriottismo nel pubblico maschile.
L’icona pop ha nel tempo acquisito, tramite il riconoscimento del pubblico, la legittimità di comunicare istanze al di fuori dell’ambiente musicale, e si è fatta spesso carico di sensibilizzare le folle su problemi e necessità sociali: i casi più famosi sono quelli di Madonna e Lady GaGa che nel corso della loro carriera sono arrivate a difendere e promuovere i diritti della comunità LGBT e sono state definite dalla critica “icone gay”. Anche Bono Vox degli U2 può rientrare in questa categoria di comunicatori: da giovane ribelle amante del punk si è trasformato in breve nel buon samaritano cattolico moderno che ha portato avanti campagne per annullare il debito del terzo mondo, fino a trasformare gli U2 in testimonial della Apple, e arrivando così a creare una sua immagine pubblica mutante che ha divorato il suo io privato.
Un’icona pop più semplificata dove l’io privato e l’io pubblico non hanno subito un grossa frattura è Lorenzo Cherubini, Jovanotti. Egli ha sempre dato un’immagine di sé stesso coerente con il suo io privato (in particolare agli inizi quando alla fine degli anni ’80 ha saputo cavalcare l’onda della cultura hip-hop e rap, farla sua e affascinare milioni di adolescenti). Si può dire che Jovanotti è sempre stato se stesso, mediatico sin da subito e oggi ancora di più, avendo sviluppato – quasi al livello di Fedez e J-Ax – un io ipertrofico da social network.
Esistono anche icone più controverse, dove l’identità sonora è venuta a cristallizzarsi poco prima di quella visiva, e che hanno raggiunto l’iconizzazione post mortem. Questi esempi fanno parte del Club 27, perché morti tutti a 27 anni (Kurt Kobain, Amy Winehouse, Jim Morrison e Janis Joplin). Anche Freddy Mercury e Ian Curtis, hanno raggiunto l’iconizzazione totale solo dopo la morte, e in particolare la copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division di Curtis ha subito negli ultimi anni una commercializzazione oltre la soglia della decenza, trasformandosi in immagine replicata in serie da catene di moda, perdendo così potenziale culturale e verità dell’io privato di Curtis.
Nell’era dei social network il processo di creazione di icone risulta forse più difficile e meno duraturo, anche se un gruppo rap-rave come i Die Antwoord stanno riuscendo in questo intento, poiché sono riusciti a creare la loro identità visiva partendo da revival che fa parte della loro identità sonora, riunendo nella loro musica e nelle loro esibizioni pubblici nostalgici e desiderosi di nuove sperimentazioni contemporanee.
Virginia Villo Monteverdi
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