Quando si parla di mare in cucina vengono subito in mente sontuosi gamberoni, sparnocchi e aragoste, le sinapsi si accendono al ricordo di profumi inebrianti di ostriche e ricci: l’essenza del mare in bocca. I ricordi tornano a deliziosi ristoranti sulla riva del mare di qualche isola mediterranea, a cene romantiche sotto le stelle, occhi negli occhi e quasi ignorando il meraviglioso piatto di spaghetti alle vongole e bottarga che non osavate inforchettare troppo presi da Cupido, o a divertenti cacciuccate sulla costa tirrenica, insaporite dalle continue diatribe sul vero cacciucco: è quello livornese o quello viareggino, e soprattutto, dove è stato inventato? Non si saprà mai, e se allo stesso tavolo si trovano un viareggino e un livornese se ne potrà discutere per ore, fino allo sfinimento o alla cacciata da tavola di uno dei due commensali, o tutt’e due.
Ma quella di mare è stata anche cucina di povertà estrema, di sussistenza e invenzioni quasi al limite dell’assurdo, e di raccolte di molluschi e granchi dopo le mareggiate: quando si spargeva la voce che il mare aveva “straccato” si correva verso le spiagge con vecchi secchi per raccogliere i cannolicchi (o “coltellacci” come si chiamano in Versilia), e per qualche giorno sarebbe stata festa anche sulle tavole più povere.
Ora i cannolicchi sono una rarità, ma la pasta condita con il loro sugo ha dei profumi meravigliosi. Ma la ricetta povera di mare più incredibile è quella del brodo di sassi; sì, avete letto bene, il brodo fatto con i sassi. Pare che questa ricetta risalga addirittura ai tempi dell’antica Grecia, e i sassi sono pezzi di scoglio, con le loro alghe attaccate, le patelle, insomma con tutto quel meraviglioso microcosmo che uno s’incanta a osservare quando, dopo una bella nuotata, si riposa per qualche minuto su uno scoglio piatto. I pezzi di scoglio andavano presi dove l’acqua era pulita (e anticamente questo non era certo un problema), e portati via con l’acqua di mare in un secchio, perché dovevano restare bagnati per conservarne tutti i profumi. A casa si bollivano in una pentola con un po’ di acqua dolce e un po’ di mare, aggiungendo erbe aromatiche, sedano e prezzemolo, quindi si filtrava con un setaccio fine fine. Nel brodo così ottenuto si poteva cuocere un po’ di pasta, condendola con un filo d’olio, oppure immergerci delle fette di pane raffermo, sempre con un filino d’olio sopra.
Non l’ho mai provata, e forse oggi è impossibile farla, ma è una ricetta semplice e poetica, che parla dell’incredibile capacità degli uomini di arrangiarsi quando i tempi sono difficili.
Anche andare a raccogliere le arselle era un modo per variare la povera dieta delle classi più umili, e si potevano anche vendere, perché con le arselle si fa un sugo buonissimo.
Quindi, visto che è difficile fare il brodo con i sassi, vi do la ricetta del sugo con le arselle.
Un kg di arselle, olio evo, prezzemolo, 200 g di pomodori, peperoncino, aglio, un bicchiere di vino bianco secco, spaghetti.
Mettete le arselle in una ciotola capiente sul cui fondo avrete messo un piattino rovesciato, e copritele di acqua fredda salata. Lasciatele riposare per alcune ore (alcuni le lasciano tutta una notte), cambiando ogni tanto l’acqua con attenzione, così da far uscire tutta la sabbia dalle arselle. Tiratele su con cautela e fatele aprire in una padella ben calda. Appena si aprono mettetele da parte, e raccogliete e filtrate l’acqua che avranno rilasciato. In un’altra padella fate soffriggere l’aglio tritato con il peperoncino, poi aggiungete i pomodori tagliati a piccoli tocchi, e quindi le arselle. Sfumate con il vino bianco e un cucchiaio o più dell’acqua delle arselle, e fate andare per pochi minuti. Intanto avrete cotto gli spaghetti, che salterete nel sugo, aggiungendo pepe e abbondante prezzemolo tritato, e buon appetito!
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