PISA – Anche in questa Stagione Lirica, il Teatro Verdi di Pisa ha incluso due rappresentazioni dell’LTL Opera Studio, un progetto che il neo-direttore artistico Stefano Vizioli ha definito fondamentale nell’ottica del teatro; la proposta per la stagione odierna riguarda l’opera Il cappello di paglia di Firenze, composta nel 1945 da Nino Rota, e andrà in scena sabato 11 e domenica 12 febbraio, rispettivamente alle ore 20:30 e allre 16:00; questo particolare allestimento vede la consueta partecipazione dell’Orchestra Giovanile Italiana diretta dal M° Francesco Pasqualetti e si avvale della regia di Lorenzo Maria Mucci.
È lo stesso Mucci che, assieme al M° Vizioli, ha incontrato il pubblico nell’ormai tradizionale presentazione-aperitivo nel foyer del teatro sabato 4 febbraio per introdurre l’opera in cartellone. «Il Cappello di paglia – ha spiegato Vizioli – è un titolo molto legato a Pisa perché è stata la prima opera affrontata dal progetto LTL Opera Studio, nel 2001, ed è un titolo perfetto per questi giovani cantanti perché si tratta di un’opera corale, con tanti personaggi principali che quasi mai si trovano a cantare da soli, quindi si presta molto a questo lavoro di equipe».
La partitura di Nino Rota è stata inoltre scelta per la sua pregevole fattura, difatti il M° Vizioli ha sottolineato la grande ricchezza di citazioni operistiche contenute all’interno del Cappello di paglia: «Nino Rota era uno straordinario falsario musicale (basti pensare al valzer del Gattopardo, per anni creduto un inedito valzer di Verdi), sapeva imitare qualsiasi stile e nel corso degli anni ha dovuto subire il particolare disprezzo dell’estabilshment non solo perché secondo alcuni faceva una musica troppo semplice, troppo riconoscibile, ma anche per il continuo ricorso a tutte queste citazioni». Citazioni che vanno da Rossini (emblematico il tema degli archi che accompagnano la celebre aria Una voce poco fa, riutilizzato da Nino Rota in più occasioni e in modi sempre diversi), a Donizetti, a Verdi, a Wagner, persino a Cilea; tuttavia queste citazioni non sono solo piccoli episodi musicali “riciclati” dal compositore, a volte la citazione consiste nell’imitare un determinato stile oppure nell’utilizzo di certi registri vocali tipici dell’opera dei secoli scorsi, come il basso buffo, così caro ai compositori del XVIII secolo. «Si può ben dire – ha continuato il M° Vizioli – che i tre atti dell’opera siano un po’ come tre tappe di un viaggio attraverso la storia dell’opera e quindi la ripresa di tutte queste citazioni e di queste convenzioni diventa per il pubblico un po’ come ritrovare vecchi amici, tra cui va annoverato lo stesso Nino Rota: Rota è un compositore che ha inciso tantissimo nel nostro DNA culturale, con Fellini, Visconti, persino con Gian Burrasca e Viva la pappa col pomodoro».
Il regista Lorenzo Maria Mucci, che ancora una volta ci offre una regia ricca di spunti ma sicuramente fresca e godibile in molti livelli, si è invece soffermato di più sull’aspetto scenico e visivo dell’opera. «All’inizio avevo deciso di fare l’intellettuale – ha esordito – decidendo che, siccome tutti associano Nino Rota al cinema, non avrei assolutamente toccato la questione cinema con l’allestimento. Tuttavia, ascoltando la musica dell’opera (che è poi tratta da un vaudeville del 1851), avevo continuamente dei flash di Oggi le comiche, in cui i ritmi musicali si sovrapponevano a quelli visivi. Andando poi a vedere la versione cinematografica di René Clair, un film muto del 1928, ho notato che il regista aveva ambientato la sceneggiatura nel 1895 e aveva girato la pellicola secondo lo stile della fine dell’Ottocento e ho avuto l’idea che poi è diventata l’allestimento: l’azione si svolge negli anni ’20 in uno studio cinematografico dove si sta girando un film ambientato nell’Ottocento. La cosa interessante di quest’opera è che i personaggi sono già tutti molto caratterizzati, quindi bisogna far attenzione a non eccedere, e soprattutto a non eccedere nella caratterizzazione anche nel finale che ha un gusto romantico quasi disneyano: la romanticheria va bene, ma non deve essere eccessivamente caricata, altrimenti diventa priva di significato».
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