È disponibile online il primo romanzo di Aldo Picchi
Non ricordo precisamente quando ho conosciuto Aldo, direi, più o meno, nel gennaio del 1990, in quelle giornate, a Pisa, una Pantera si aggirava in via Filippo Serafini. Pochi giorni prima i giornali e le TV dettero notizia di una pantera avvistata sulla via Nomentana a Roma: si scatenò una vera e propria caccia alla belva, un vano inseguimento che coinvolse persino i domatori del Circo Orfei.
Il muro di Berlino era appena caduto, le facoltà erano occupate contro la riforma Ruberti, c’erano le assemblee, le manifestazioni, i murales, le chitarre, c’era l’Aula R e lo slogan era “La pantera siamo noi!”.
Poi ho ritrovato Aldo, tra le stanze e per le strade della politica pisana e da anni passiamo delle mezz’ore al telefono a parlare di tutto e di niente, di noi, di voi e di una politica sempre più lontana da noi e da voi.
Con Aldo e Duccio, così come fanno milioni di persone, ci scambiamo messaggi su un gruppo waths’app, l’appuntamento di rito è all’Ortaccio: loro bicicletta (non il velocipede), io vino bianco (ma non quello della casa).
Aldo Picchi, per i vicaresi Picchialdo, in una particolare fase della sua vita ha maturato l’idea di completare un progetto già avviato: ha scritto e pubblicato un romanzo, spero il primo di una lunga serie.

Sono stato tra coloro che per primi hanno letto “Il mondo di Barbara” – questo il titolo del romanzo di Aldo – e ho scoperto un amico dotato di una penna molto scorrevole e ben educata, qualcuno dirà che non è una novità, il nostro, infatti, aveva già dato segno di questa dote nei tanti post pubblicati sul suo profilo Facebook.
Chi conosce Aldo lo ritroverà scomposto nel suo romanzo, come in un quadro cubista. Le sue parole e i suoi pensieri si porgono di volta in volta sul labbro dei protagonisti, che li fanno loro e li alzano a bandiera, a idealità. E’ un testo carico di umanità e di speranza, con poco passato e tanto futuro. Sono le storie dei personaggi che si perdono nei bassifondi della nostra società che ci danno la dimensione del disagio e dei bisogni. Aldo tiene sul proscenio della sua narrazione la vita di coloro che un tempo venivano chiamati i diseredati, gli ultimi, i senza volto, per i quali oggi – in una società dove il profitto e l’individualismo rappresentano l’unico valore – i moti di attenzione diminuiscono, così come i luoghi di protezione e di riscatto sociale. Se è pur vero che dopo la pandemia la vecchia classe media sta vivendo un processo di impoverimento, la povertà continua ad essere principalmente un problema dei migranti, ai quali invece la politica ritiene più utile dedicare un’altra narrazione. L’analisi Istat 2024 ci ricorda che l’incidenza della “povertà assoluta” (l’impossibilità a soddisfare i bisogni primari) fra le famiglie con almeno uno straniero supera il 30%. Su questo tema, di estrema attualità, si sviluppa il libro di Aldo.
Ai propri affetti, più facilmente rintracciabili nella narrazione, Aldo affida invece il compito più bello, quello del riscatto e della dignità.

Bello questo compito, e bello il romanzo di Aldo.
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