Con gli occhi immersi in un rutilìo di forme e colori, non si riesce a catturare subito l’insieme del Trionfo della Morte di Buffalmacco: è troppa la bellezza di questo imponente affresco e anche il timore che ne emana. Vengono i brividi a osservare questa grande rappresentazione della morte che su tutto trionfa, sulla bellezza e sulla sofferenza, sulla povertà e sulla ricchezza, unica vera e sola padrona del mondo.
Il Trionfo della Morte è stato un soggetto iconografico molto diffuso nel XIII e nel XIV secolo. In quei secoli nacque il senso del macabro che avrebbe accompagnato molte delle raffigurazioni medioevali e tardomedievali: trionfi e danze macabre formarono una sorta di iconografia della morte. Il grande affresco di Bonamico Buffalmacco, di ben quindici metri di lunghezza per otto di altezza, ora finemente restaurato e riportato a nuova vita dal team dell’Opera Primaziale Pisana, è uno dei più grandi che si conoscano, e uno dei più notevoli e inquietanti.
Come non rabbrividire anche noi, come i bei cavalieri che, durante una caccia con dame, falconieri e cani al seguito, si imbattono in tre bare scoperchiate che contengono tre cadaveri, ciascuno (e questo è il particolare più raccapricciante) in un diverso stadio di decomposizione. I giovani li osservano spaesati turandosi il naso, certo non si aspettavano quest’incontro da una battuta di caccia cortese. Persino i cavalli dalle belle criniere inanellate ne sono turbati, scartano: uno nitrisce con il collo allungato e gli occhi spalancati dallo spavento, un altro si volta verso di noi, sembra quasi non voler vedere. Solo una dama dal velo bianco e dal cappello a cono ci guarda severa e sembra ammonirci: questo è il destino di tutti, la sola certezza.
Intanto l’occhio viene attratto sul lato opposto del grande racconto di Buffalmacco, dove un’ampia figura sinistra dai capelli bianchi vola al centro dell’affresco. L’orrore non è finito: la morte con la sua falce si sta avvicinando a un boschetto di aranci dove si trovano dame e cavalieri dagli stupendi abiti decorati, che, sapientemente riportati a luce dal restauro, denotano la grande maestria pittorica di Buffalmacco. I giovani suonano e amoreggiano, ignari che anche per loro sta arrivando la fine: è tale la dolcezza di sguardi e gesti, la bellezza del tappeto vegetale su cui le vesti si adagiano e che i morbidi calzari sembrano carezzare, che sembra impossibile che la morte stia per sopraggiungere.
Questo immenso mememto mori, che sembrava quasi perso dopo il grande incendio del Camposanto Monumentale avvenuto nel 1944, è ora meravigliosamente visibile in ogni suo particolare, grazie all’impegno dei restauratori della Opera Primaziale Pisana, guidati da Carlo Giantomassi e Gianluigi Colalucci sotto la direzione di Antonio Paolucci.
Con l’impiego di nuove tecniche scientifiche è stata riportata a nuova vita la luminosità caratteristica della pittura a calce, e confrontando la visione attuale con le immagini prese prima del restauro capirete l’incredibile lavoro fatto. Si sono perse solo le lamine di stagno argentato, le prime a sciogliersi al calore dell’incendio, che ricoprivano i morsi dei cavalli, le corone, le spade e illuminavano le vesti.
Il prossimo 17 giugno, festa del patrono della città, l’affresco sarà riposizionato sulle pareti del Camposanto Monumentale, opportunamente preparate per accoglierlo, e tutti potranno ammirarlo nella sua rinata bellezza, insieme agli altri affreschi già restaurati e riposizionati, stupiti di fronte a quella che Antonio Paolucci definisce “la Cappella Sistina dei Pisani”.
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