Teatri di confine, la rassegna pisana ideata dalla Fondazione Teatro Toscana, sta per giungere al termine. Ne avevamo già parlato sul numero di ottobre, e questo mese andiamo a darle un’occhiata più da vicino. L’ultimo appuntamento è previsto per il 18 dicembre, al Teatro Sant’Andrea, con lo spettacolo di danza OOOOOOO(IT) del coreografo italo-olandese Giulio D’Anna, opera che cerca di raccontare la situazione sentimentale dei giovani italiani attraverso il musical postmoderno.
Giunta alla sua ottava edizione, la rassegna ha ampliato il proprio sguardo sul territorio, varcando i confini della città della torre pendente, estendendosi alla provincia collinare. Il primo sipario si è alzato al Sant’Andrea il 17 ottobre con Un Bès – Antonio Ligabue di Mario Perrotta, una piéce che delinea un ritratto sull’inquietudine del pittore italiano. Ma ciò che più ci interessava si è svolto nella splendida cornice del Teatro di Buti – meraviglioso esempio di palco all’italiana, costruito nella prima metà dell’800 – dove è andato in scena, martedì 25 novembre, il secondo studio di Renata Palminiello sull’opera di Jean-Luc Lagarce Ero in casa e aspettavo che arrivasse la pioggia. La stanza là in alto (questo il titolo dello studio) ha portato in scena l’esperienza della Palminiello e di Maria Grazia Mandruzzato, insieme a tre giovani attrici: Camilla Bonacchi, Carolina Cangini e Petra Valentini. Lo spettacolo era già stato presentato quest’estate, in versione di primo studio, al Castello Pasquini di Castiglioncello (Li), all’interno del Festival Inequilibrio 2014.
Il tema del lavoro è l’attesa, declinata al femminile: cinque donne aspettano la morte dell’uomo, figliol prodigo, che riposa nella stanza là in alto. Il giovane figlio/fratello non si vede mai: il racconto della furia del padre, ormai morto, quando lo cacciò da casa, il suo mirabolante viaggio durato anni, tutto un mondo di assenza si manifesta solo nelle parole delle donne che ancora, dopo tutta questa attesa, non sanno far altro se non aspettare.
La prima versione dello studio è stata costruita sfruttando la scalinata interna del Castello Pasquini, una scelta che rendeva ancora più incisivo il tempo dell’attesa, con il continuo scalpiccio delle attrici su e giù per gli scalini. Al Teatro di Buti invece è stata utilizzata l’intera sala, platea compresa, con l’ausilio di una scenografia minimale: tre intelaiature di porte bianche sul palco, attraverso le quali i personaggi entrano ed escono di scena. Non è ancora uno spettacolo compiuto, ma ha in germe una lucida potenza, uno spiraglio onesto e profondo sul mondo femminile e sul suo sentire.
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