Indomit3 e fier3 sempre

Lucca – Sabato scorso ho partecipato, con le compagne e i compagni della CGIL di Pisa, al Toscana Pride che, quest’anno, nel suo itinerare tra le città della nostra regione, è approdato a Lucca.

Ancora Pride? Si, ancora Pride e quest’anno più che mai era importante partecipare per più di un motivo. Prima di tutto perché l’attuale Governo sta colpendo in maniera esplicita molti dei diritti della comunità Lgbtqr+, favorendo in questo modo l’accentuarsi di episodi di violenza omolesbotransfobica che non si erano mai manifestati in maniera così esplicita, quasi che oggi chi li compie percepisca una sorta di impunità garantita da chi dovrebbe tutelare e difendere tutti i cittadini, indistintamente, come previsto dalla nostra Costituzione. Non a caso, del resto, un altro motivo, era legato al fatto che, non appena annunciate da parte del Comitato Organizzatore luogo e data della manifestazione, sui muri della città erano comparsi minacciosi manifesti di “Forza Nuova” con l’intimidazione “No Pride, Lucca non vi vuole”.

Ecco perché, ancora più convintamente, ho deciso di esserci, a ventiquattro anni di distanza dal mio primo Gay Pride (all’epoca si chiamava ancora così) quando partecipai per reazione all’atteggiamento del Vaticano che riteneva oltraggiosa quella sfilata nella capitale in occasione del Grande Giubileo del 2000.

È anche vero che, a differenza di oggi, rispondendo allora a una domanda di mia nipote sul perché andassi, un po’ pilatescamente risposi “perché è una manifestazione in difesa dei diritti di tutti”, come in effetti nel tempo è diventata, mentre all’epoca era veramente una dimostrazione dell’orgoglio omosessuale e la rivendicazione di un minimo di diritti per una minoranza che non ne aveva assolutamente e a cui, nel tempo, si sono unite altre minoranze della minoranza testimoniate dall’acronimo Lgbtqir+.

A Lucca, tra le ventimila persone che sono sfilate, in maniera gioiosa, allegra e rumorosa (mi suonavano nella testa, mentre camminavo, le parole di una vecchia canzone di protesta: “Oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti..”) per rivendicare “stessi doveri, stessi diritti” c’erano sì tanti gay, lesbiche, transessuali e i molti che amano nei modi richiamati dall’acronimo di cui sopra (dalle foto ho visto, e mi dispiace non averli potuti salutare di persona, “i tre mariti”) ma la stragrande maggioranza erano uomini, donne e bambin3 di ogni età, in un’allegra babele, giovane nello spirito e per energia, persone che non si sono fatte intimidire dalle minacce agli organizzatori e si sono ritrovate a sostegno delle rivendicazioni del Pride come il riconoscimento dei figli delle famiglie omogenitoriali, richiesta di leggi contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere, contro le teorie riparative e a favore delle adozioni per single e coppie dello stesso genere.

E inoltre perché, nonostante tutto, ogni anno quando inizia il mese dei Pride (solitamente in giugno per ricordare quel 28 giugno che a Stonewall dette l’avvio alla rivolta contro i ricorrenti pestaggi gay) si sentono ancora frasi come “è solo una carnevalata”, “siete voi che vi ghettizzate”, “allora facciamo anche l’etero Pride”, “avete tutto”. O viene espresso il disappunto per le modalità dei Pride, che si sono evoluti in spettacoli, anche con importanti sponsorizzazioni commerciali.

La prima e più banale risposta sull’opportunità di organizzare oggi il Pride è che: un diritto non è mai conquistato per sempre e che comunque non riguarda solo diritti e libertà legislative, ma anche libertà sociali e culturali che spesso non vanno di pari passo con la legge. Il Pride può funzionare dunque come leva per ottenere visibilità e influenza dove i pari diritti non ci sono, e per il riconoscimento sociale dove i diritti sono previsti. Una celebrazione annuale non risolve le cose, ma è per moltissimi un’occasione di ispirazione e di motivazione.

C’è da sottolineare che il Pride è una manifestazione inclusiva. Per le persone eterosessuali che vi partecipano è spesso l’unica vera esposizione pubblica alla cultura Lgbtqir+: molte persone etero sostengono pienamente il diritto all’uguaglianza, ma per tutto l’anno il loro è un supporto per lo più silenzioso. Avere un sostegno pubblico molto ampio e trasversale è dunque fondamentale: non bisogna essere lesbiche o gay per volere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, come non bisogna essere donne per volere una legge contro la violenza sulle donne.

Quando si accusa la comunità Lgbtqir+ di “mettersi in mostra” durante il Pride bisognerebbe tener conto che le persone eterosessuali mettono in mostra la loro eterosessualità tutto il giorno, ogni giorno, in ogni parte del mondo, e non si sentono mai minacciate per la loro identità. L’eterosessualità è la norma sulla quale tutto il resto si misura. Che non esista l’“Etero Pride”, invocato da qualche “simpatico” politico di destra  è, non solo scontato, ma anche una fortuna.

Vorrei concludere ricordando ancora quella prima volta che ho partecipato al Pride, dopo aver fatto coming out. Per me fu un’esperienza profondamente significativa. Camminare in quel corteo non significava solo divertirmi; era una dichiarazione di auto-accettazione personale. Era una dichiarazione che facevo davvero parte della comunità LGBT e che non volevo più nasconderlo.

E partecipando al Toscana Pride 2024 si è rinnovata quella stessa emozione.

Da ultimo il mio pensiero va al giovane palermitano di 33 anni che oggi si è tolto la vita, facendo coming out nella sua lettera d’addio, perché sopraffatto dalla paura di essere giudicato e discriminato per la sua omosessualità.

Ecco, quando ragazze e ragazzi non avranno più paura di vivere serenamente quel che sentono di essere senza la paura del giudizio della società solo allora, forse, non ci sarà più bisogno dei Pride.

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