“È lecito pensare che la nostra esistenza sia decisa da pochi? Dai buoni o dai cattivi sogni di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi che col potere o la lotta al potere cambiano il corso delle cose e il destino dei più? Ma allora come sono quei pochi? Più intelligenti di noi, più forti di noi, più illuminati di noi? Oppure identici a noi, né meglio né peggio di noi, creature qualsiasi che non meritano nemmeno la nostra collera, la nostra ammirazione, la nostra invidia?”.
È il 1974 e Oriana Fallaci pubblica per Rizzoli editore Intervista con la Storia, in cui è insito questo interrogativo. Un quesito che rispecchia l’avversione della scrittrice nei confronti del potere, quel potere che ha tentato di combattere sino alla fine dei suoi giorni. Quesito che precede quanto scritto poi in La Rabbia e l’Orgoglio, pubblicato nel 2011 per BUR editore, e la cui forza rende la Fallaci una delle autrici più controverse e criticate anche a causa delle sue affermazioni nei confronti del mondo islamico.
La corrispondente di guerra risponde a questa sua domanda in Intervista con la Storia attraverso un saggio che si compone di Ventisette interviste nelle quali la scrittrice sfoggia il suo inconfondibile stile a tratti accusatorio, a tratti umano e solidale, a tratti confermatorio.
Tra le tante voci, l’intervista a Henry Kissinger, braccio destro di Nixon e definito la sua “Balia mentale”, sulla guerra in Vietnam. Da fervente attivista di genere, la Fallaci intervista Golda Meir e Indira Ghandi, riconoscendone e apprezzandone il ruolo di donne che si sono spese in prima persone per le loro personali propensioni di governo. Segue l’Intervista a Arafat e allo Scià di Persia, focalizzandosi sulle politiche nazionali e sulle restrizioni alle quali, in quei contesti, le donne erano sottoposte.
L’impegno che la Fallaci si prende con questa opera è quello di mettere a nudo i personaggi intervistati, anche se quest’affermazione non è propriamente esatta, perché sarebbe più corretto dire che li “costringe” a mettersi a nudo di propria volontà.
In questo resoconto dettagliatissimo e ricco di particolari, la scrittrice utilizza tutto il suo talento.È insidiosa, irriverente, insinuante, a tratti irrispettosa (come quando si toglie il Chador dinnanzi allo Scià di Persia che insinua l’inferiorità delle donne).
Intervista con la Storia è un saggio dissacrante, coraggioso e attualissimo, capace di “far paura” ai potenti e, al contempo, di riflettere ognuno di noi. E’ un libro che vuol essere una condanna all’autocrazia, allo stato militarizzato, alle forme dittatoriali, una richiesta d’ attenzione rispetto alle vicende del mondo, verso uomini che muoiono per il volere di pochi potenti, verso donne che, per volontà degli uomini, vengono private persino del diritto di ricevere cure mediche, o che per una sentenza di adulterio vengono private della vita.
Aveva rischiato la morte, la Fallaci, raggiunta da una raffica di mitraglie durante una repressione militare su di un collettivo studentesco in Sudamerica. Da allora, la sua avversione nei confronti del potere subisce un’ ulteriore irrigidimento, tanto che in alcune delle interviste si può notare un odio sottile verso dittatori e uomini di potere, i cosiddetti “pezzi da novanta” dello scacchiere mondiale.
La Fallaci ci invita a disubbidire, a trasgredire quelle leggi che ci impongono il silenzio e l’accondiscendenza a priori, senza razionalità. Non fomenta l’anarchia, ma pone al centro della Storia l’importanza dell’uomo e della sua ragione, unica arma per combattere la prepotenza delle oligarchie. Dopo anni di silenzio, a seguito dell’attentato al World Trade Center di New York l’11 settembre 2001, Oriana Fallaci diviene una donna progressivamente inasprita dalle proprie esperienze, dalla consuetudine all’ingiustizia e alla morte. E torna a parlare, per l’ultima volta, ma in un modo tremendamente sincero, “senza peli sulla lingua”, come se avesse perso definitivamente la speranza, ma nel 1974 era ancora tutto era diverso, tutto era da scriversi per Oriana e Intervista con la Storia ne era la prova, quale inno di speranza e libertà universale.
Nicola Di Nardo
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