PISA – Sabato 11 Giugno, presso la scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa, nell’ambito della conferenza Sguardi sul Medio Oriente, sono intervenuti il fumettista romano Zerocalcare che ha presentato il suo lavoro Kobane Calling e il giornalista e video maker padovano Ivan Grozny Compasso, entrambi testimoni diretti di viaggi-reportage fatti in Rojava.
L’iniziativa è stata organizzata da Un ponte per, associazione attiva in Medio Oriente da ben 25 anni (dai tempi della guerra del Kosovo), e che attualmente partecipa in maniera costante nel veicolare aiuti umanitari in Siria.
Hanno partecipato altre associazioni umanitarie impegnate nella guerra in Siria: la Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus, il Coordinamento Toscano per il Kurdistan, Progetto Rebeldia e l’Associazione Culturale Kurdistan, tutte unite per sostenere il popolo curdo rivoluzionario e tutti coloro che in Siria stanno facendo un esperimento di rivoluzione democratica.
A moderare il dibattito Martina Pignatti Morano, presidente di Un ponte per, che ha tessuto le fila della narrazione dei due ospiti che hanno voluto raccontare con le loro parole e nei loro libri l’esperienza vissuta in Rojava.
Il libro presentato da Zerocalcare, Kobane Calling, è un libro reportage dei due viaggi che il fumettista italiano ha compiuto in Rojava (in parte già pubblicati su due numeri della rivista Internazionale), testimonianza diretta della situazione in Siria prima e dopo la liberazione di Kobane.
La questione curda è un argomento sempre più ricorrente, grazie a un’informazione che si sta formando dal basso, una comunicazione che parte dalle associazioni volontarie, e di cui Tuttomondo si è già occupato trattando di Kobane, diario di una resistenza e con l’intervista a Marco Sandi, esperto di antropologia in Medio Oriente.
Durante la conferenza Sguardi sul Medio Oriente, Zerocalcare ha approfondito i temi trattati nel suo libro, ponendo l’attenzione su come la vera comunicazione può avvenire soltanto cercando il contatto diretto con ciò che si vuole trasmettere, da cui la necessità di effettuare questo duplice viaggio per diventare un diretto testimone della situazione reale che c’è in Rojava, della tipologia di guerriglia che c’è fra curdi e daesh.
Kobane Calling non si presenta ai suoi lettori come espressione di voyeurismo bellico. E’ piuttosto un tentativo di cercare di capire cosa si può fare per sostenere e comprendere il popolo curdo. Zerocalcare ha affermato, infatti, che i due viaggi in Rojava gli hanno tolto lo scetticismo e l’indifferenza che prima provava verso queste tematiche, perché filtrate dai media; la comune informazione agisce come spettro amplificatore della realtà. Toccare con mano la vita di coloro che sono impegnati nella guerra in Siria, ha contribuito a ridurre il cinismo e ad aumentare la fiducia, e questo è un po’ anche l’obiettivo che si pone il libro nei confronti dei suoi lettori.
I curdi non vogliono costruire una nazione, non vogliono stabilire dei confini, ma autogovernarsi autonomamente, sperimentano coraggiosamente il confederalismo democratico, una forma di governo gestita dal popolo, in cui uno degli aspetti più rivoluzionari è proprio la parità di diritti fra uomini e donne. Sulla questione femminile Zerocalcare ha affermato: «Tutte le cariche istituzionali sono doppie, non esiste lo stereotipo della donna mussulmana col velo, ogni donna è libera. C’è una determinazione forte nel difendere i pilastri di questo confederalismo democratico da parte delle donne proprio perché sono coloro che perdono di più se questo esperimento fallisce. Inizialmente le donne curde sono state osteggiate dai loro stessi compagni, e poi piano piano sono riuscite a consolidare la propria posizione».
Lo stesso Ivan Grozny Compasso, anche lui ospite della conferenza, ha più volte sottolineato il concetto che non sono le donne che si sono emancipate, ma i maschi ad essere diventati uomini. Questa forma di governo ha consentito a uomini e donne di prendere coscienza della propria dignità di persone, e di fondare su di essa la propria nazionalità.
I curdi vivono nella guerriglia ormai da molti anni, eppure è esemplare il loro tentativo di salvare la vita, di non fare della guerra lo sfondo alla loro esistenza; nel loro statuto, infatti, compare anche il diritto all’obiezione di coscienza, che in tempo di guerra è senz’altro un concetto rivoluzionario. Zerocalcare ha raccontato la propria esperienza a riguardo, di come in un popolo che è in guerra da anni abbia trovato pochissima fascinazione per il mondo militarista e bellico. C’è un grosso impegno per ricordare i caduti che però non vengono mai raffigurati con armi, e questo vale anche per i combattenti, mai ritratti in divisa o con armi in mano. Nella stessa Kobane, che è stata sotto assedio dell’Isis per 134 giorni, nei quartieri non bombardati la vita è proseguita nella maniera più naturale possibile, anche i bambini hanno continuato ad andare a scuola fin quando è stato loro consentito. Le persone impegnate nella resistenza sono persone normali, non soldati, ed è proprio questo contatto umano ad emergere dalle pagine di Kobane Calling. La comunicazione che i curdi hanno scelto di dare su questa guerra non è di sottolineare le proprie vincite, ma di porre l’attenzione su quanto sia fantastico il loro esperimento.
L’idea è quella di costruire una società migliore, in cui i confini sono gli unici limiti dei popoli.
Kobane Calling è un reportage di due viaggi non solo fisici in un mondo completamente lontano e diverso dal nostro, ma anche interiori; due percorsi di conoscenza di se stessi e di amplificazione del proprio spettro di comprensione del mondo, da cui scaturisce una rivalutazione del sistema dei valori alla base della vita. Zerocalcare e Ivan Grozny si sono recati lì di persona, a differenza dei giornalisti delle grandi testate, per non avere altro filtro che i propri occhi sulla situazione medio orientale. La comunicazione che sta nascendo dal basso è funzionale, ma occorre sempre una forte onestà intellettuale. La distinzione da fare non è quindi quella tra comunicazione ufficiale e sotterranea, ma fra cattiva e buona comunicazione. E di quest’ultima Kobane Calling è diretta esponente; grazie all’approccio non convenzionale a un tema così cruciale che vede nella forma del fumetto il suo strumento, riesce a raggiungere migliaia di persone e a penetrare nelle loro vite.
Il messaggio che si vuole veicolare non è solo quello di porre attenzione alla reale situazione curda, alla guerra che sta minando e dividendo un’intera popolazione. Kobane Calling si pone anche come faro su un sistema di governo davvero rivoluzionario, il confederalismo democratico, da cui l’occidente potrebbe prendere spunto per migliorare. E’ in quest’ottica, infatti, che il tema della guerra passa quasi in secondo piano, ma rimane forte la componente umana che sta mettendo in atto questa vera e sorprendente rivoluzione, che ha bisogno di ogni strumento informativo possibile per poter attecchire e diffondersi.
Maria Cristina Impagnatiello
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