Anche i burattinai fanno il pane!
Una fragranza familiare a introdurli e uno sguardo pieno di passione a presentarli: ecco i protagonisti del Teatro di figura che non si abbatte, che non demorde, che non si stanca mai. Patrizia Ascione riflette tutto l’entusiasmo di un lavoro creativo, dell’eccellenza “Made in Italy” supportata e sposata dal marito Stefano Cavallini, musicologo, scrittore e scenografo. Una coppia che “fa il botto” nella vita e nel lavoro, dove non ci sono solo un cervello e un braccio, ma forza, passione, creatività e, soprattutto, impegno civico. Questo è lo spirito della compagnia teatrale Habanera, nata dalla necessità di lavorare che tutti ben conosciamo oggi e dalla sapienza del reinventarsi che è la vera maestra di vita da riscoprire ogni giorno: nella forma del teatro di figura con le marionette di gommapiuma, sono rinati dalle proprie ceneri, e dove il mondo ha detto “no”, loro gridano: “Sì che si può fare!”.
Ascione e Cavallini, fondatori e anime di Habanera Teatro, dal 1997 si cimentano con questa mirabolante arte che si sviluppa in luce e buio, parole e silenzi, figure e persone: operano soprattutto in territorio toscano, ma annoverano anche esperienze internazionale e riconoscimenti ufficiali.
Parliamo di questo nome: Habanera.
Cavallini: «Habanera è il nome di una danza cubana in due tempi che verso la fine dell’Ottocento si sviluppò sia verso nord, divenendo prima raggae e poi jazz, che verso sud dando vita al tango. Ci piaceva come nome perché rievoca il concetto di culla, di nascita di altro da un unico bacino; inoltre noi abbiamo sempre avuto l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura popolare in ogni sua forma, e ancora oggi abbiamo degli associati che producono musica popolare, quindi non c’è miglior nome che ci rispecchi».
Quando nasce il progetto Habanera Teatro?
Cavallini: «Habanera Teatro nasce da un’unione fortunata, quella mia e di Patrizia, non solo delle nostre vite ma anche delle nostre professionalità. Partimmo poco prima del 1997 organizzando spettacoli e ci evolvemmo successivamente in Associazione culturale: Patrizia è forse l’unica in Italia ad avere una qualifica del ministero del Lavoro come organizzatrice di spettacoli, e questo ci ha dato un grosso input. Inizialmente eravamo orientati più verso l’ambito musicale e dei concerti poiché abbiamo entrambi retaggi ed esperienze nel campo, io come giornalista e critico musicale, e Patrizia come speaker radiofonica: questo ci permise una buona conoscenza del settore, e fino alla fine degli anni Novanta non avviamo la carriera di marionettisti. L’ispirazione delle marionette in gommapiuma la traemmo infatti dal Teatro di Figura Umbro (Tfu) di Perugia.
Le cose sono poi cresciute e noi con loro, anche se il mercato si è contratto nel tempo e oggi purtroppo non abbiamo più la stessa portata dei finanziamenti precedenti, come potevano essere i progetti della Provincia o della Comunità Europea: è stata una sfida sin da subito, perché è un lavoro che non ti arricchisce economicamente, ma ad altri livelli.
E’ un mestiere che ti deve piacere, perché c’è da saper far tutto e contemporaneamente e unisce tante professionalità, tutte artigianali a ben vedere: costruzione con vari materiali, sartorialità, scrittura. Anche gli aspetti tecnici sono artigianali, nel senso che provvediamo noi stessi ai montaggi delle musiche delle opere, senza altri professionisti: per il Flauto Magico ho dovuto trovare il modo di abbreviare l’opera di Mozart da due ore e mezzo a cinquanta minuti, mantenendo comunque una melodia coerente con l’opera stessa!».
Si basa tutto sul sapersi reinventare, quindi.
Ascione: «Sì, per me è stupefacente vedere quanto abbiamo creato partendo solo dalle nostre forze. Non sono tantissime le compagnie che producono tutto artigianalmente, anzi molte hanno a disposizione varie professionalità.
Forse siamo l’unica compagnia non finanziata che lavora totalmente in maniera indipendente, che riesce a vivere facendo questo lavoro e che ha avuto il nostro successo. Per me è un motivo di orgoglio e perché no, anche di vanto! E dobbiamo ringraziare la Fondazione Teseco per l’Arte, che ci ha aiutato mettendoci a disposizione un magazzino in cui riporre le marionette, e finanziandoci con l’acquisto di un palcoscenico; altrimenti sarebbe stato molto più complicato proseguire: mi sento di dire che che senza la Teseco non saremmo quelli che siamo, ma che saremmo stati molto di più se avessimo avuti più finanziatori».
Cavallini: «Concordo, infatti la nostra sfida quotidiana è anche quella del non esser finanziati, del non avere una sede in un teatro, o un insegnante in famiglia. Ci sono anche i casi di chi si è trovato questo lavoro nel retaggio familiare, basta pensare alla famiglia Colla che iniziò nel 1700 e continua ancora oggi, o ai Lupi di Torino. Invece Patrizia e io non abbiamo niente del genere, è stata un’inspirazione giustamente seguita, che ci ha portato a scoprire attitudini e doti nuove e a confermare quelle esistenti. Quello che abbiamo avuto è il frutto delle nostre ricerche e delle continue richieste, come il nostro lavoro: gli ingaggi ce li cerchiamo quotidianamente grazie alla rete, e lavoriamo sia in Italia che in Svizzera, dove per esempio saremo al Festival Musicarte di Ascona col Flauto Magico e al Festival internazionale della Marionetta a Lugano.
C’è anche la volontà di andare in altre nazioni limitrofe all’Italia, come la Francia, ma i nostri spettacoli richiedono l’uso della parola, e per ora stiamo ancora lavorando sulla padronanza della lingua, anche quella è una sfida».
Ha parlato di internet: come vivete nel vostro lavoro il rapporto tra il fare materiale e la tecnologia?
Cavallini: «C’è da dire che sono entrambe forme di tecnologia. Quando Patrizia usa uno scalpello, anche quella è tecnologia! Ma noi non vogliamo, né cerchiamo un eccessivo tecnicismo delle nostre marionette: non usiamo meccanismi per muovere gli occhi o gli arti, perché abbiamo un contatto diretto con le nostre opere. Non vogliamo essere solo dei manovratori, dei tramiti di un meccanismo che ne muove un altro: noi siamo marionettisti, e la migliore tecnologia è quella che non si vede. Poi, anche noi sfruttiamo la tecnologia odierna: è indispensabile per il montaggio musicale e per alcuni effetti scenici, tipo far muovere il mulino del nostro “Don Chisciotte e la Luna”».
Ascione: «Infatti. E poi io credo che la bravura di un manipolatore o marionettista che dir si voglia, è pura solamente quando tu riesci a dare emozioni anche con uno straccio in mano: sul palcoscenico contano solo la velocità di esecuzione e lo spirito di improvvisazione. Si ha successo quando la gente non si accorge che siamo solamente in due! Anche se il vero successo per me è trasmettere un’emozione, dei messaggi veri: noi facciamo teatro per tutti, ma ripartiamo dai bambini. Educhiamo il nostro pubblico alla cultura, all’emozione, alla bellezza del teatro: guai a portare la televisione in teatro».
Ricominciare dai bambini: come e perché?
Ascione: «Io sono molto affezionata e vicina al mondo dei bambini e devo dire che mia nipote è stata più volte fonte di ispirazione per me. E’ anche verso di lei che guardo quando penso al mio lavoro, ai valori che voglio trasmettere. La storia infatti può essere effimera, inventata o inverosimile, ma l’emozione resta. Siamo molto contenti di avere famiglie che ci seguono da diversi anni ormai.
Ai nostri spettacoli i bambini sono rapiti da ciò che vedono, dal buio, dalle luci, dai dialoghi e dai movimenti: la prima volta che facemmo uno spettacolo per la scuola materna ero in dubbio perché Mozart è impegnativo. Invece, partita l’overture è calato il silenzio, i bambini rimasero affascinati: hanno una sensibilità enorme di cui spesso non c’è coscienza.
Abbiamo curato anche laboratori nelle scuole grazie ai fondi del progetto “Scream”, poi Sofi, del Fondo Europeo in collaborazione con la Provincia di Pisa, nei quali parlavamo dei diritti dei bambini. Da sedici anni collaboriamo inoltre con il Comune di Pisa nella rassegna estiva il “Teatrino del Sole” che poi si è allargata alla costa e all’isola d’Elba e continuiamo a fare spettacoli per il circuito scolastico; questo mese saremo anche a In questo mese saremo anche a Pitigliano, Verbania, Vecchiano. Il nostro però non è teatro per fasce d’età, il teatro è per tutti: le tematiche vengono scelte in base alle nostre idee, alla riflessione su quello che ci circonda. Il nostro ultimo spettacolo, “Cenerentolo”, è la storia di Cenerentola al maschile: cosa c’è di più attuale?
Mi sento di dire che il nostro fare teatro è quasi un impegno civile, e ci fa molto pensare il fatto che non sappiamo se il nostro lavoro avrà un’eredità. Per ora in Italia non abbiamo allievi, ma uno studente inglese verrà a trascorrere una settimana in Erasmus per imparare: non vogliamo far morire il teatro di figura».
C’è una vostra opera a cui siete particolarmente affascinati? Che ritenete un vostro grande successo?
Cavallini: «Siamo molto affezionati a tutte le nostre creazioni, frutto del lavoro di mesi. Forse però mi sentirei di affermare che il “Flauto Magico” del 2006 ha dato una grossa spinta al nostro lavoro: l’anno successivo alla messa in scena Carlo de Incontrera all’epoca direttore artistico del teatro nuovo Giovanni da Udine, ci fece produrre, con la sua collaborazione, il “Pétrouchka” di Stravinskij. Per noi fu un grande traguardo, perché fu la prima volta che ci venne commissionata un’opera in seguito ad una nostro spettacolo, inoltre da un personaggio di spessore come de Incontrera.
Ascione: «Io sono molto affezionata all’opera “Azzurra Balena”, che tratta i temi del viaggio, della forza di volontà, della natura, del perseguire un obiettivo. E pensare che a volte basta iniziare nelle cose della vita: io con la mia prima marionetta ho dovuto solo provare e lei è nata. Senza contare che io ho iniziato da zero, ed essere arrivata ad avere i complimenti del maestro Natale Panaro è stata una presa di coscienza importante».
Chiara Lo Re
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