La stella nera di Hollywood: John Waters
Eclettico, scandaloso, stravagante, osceno, visionario, pazzo, oltraggioso.
John Waters è senza dubbio uno dei massimi esponenti del cinema indipendente americano degli anni Settanta. Questo genio sui generis, con i suoi perversi film, ha fatto sgranare gli occhi a milioni di americani, suscitato polemiche e fatto scaturire le ire ai fedeli del “buon cinema”, meritandosi la nomea “padre del trash”.
Nato a Baltimora nel 1946 in una famiglia estremamente cattolica, sviluppa presto una vivace curiosità per gli effetti delle droghe, in particolare l’LSD, e per gli scritti di Sigmund Freud e William Burroughs; tutto ciò lo faranno allontanare dalla vita parrocchiale alla quale era stato educato.
In età adolescenziale, inizia ad interessarsi al cinema: studia i grandi maestri (Fellini, Bergman, Russ Meyer), ma i suoi gusti personali si scontrano con le tradizionali scelte didattiche imposte dall’istituto e dai docenti. Waters rimane affascinato dai film nella “lista nera”: una serie di pellicole considerate troppo violente, crude o erotiche per la visione dei minorenni. È affascinato dalle reazioni del pubblico scaturite dalla visione di quelle immagini, e dal divertimento dopo lo shock iniziale, e da qui nasce il suo gusto per l’orrido e per il cattivo gusto.
In questi anni conosce un ragazzo che vive nel suo stesso quartiere: Hariss Glenn Milstead. Questo ragazzo, che soffre di obesità, attira l’attenzione di John per la sua passione per il travestimento. Milstead, a causa della cultura bigotta in cui vive, cerca di tenere nascosta la propria omosessualità, ma vede in John una persona di mentalità incredibilmente aperta, che riesce addirittura ad apprezzare le sue qualità tanto spesso giudicate “contro-natura”. Nasce una profonda amicizia durerà tutta la vita e da questo legame verrà alla luce un’icona leggendaria: Divine, il Milstead travestito, battezzato così da John Waters, poiché è la sua “divina ispiratrice”.
Waters e Divine lavorano insieme per tanti anni, si trasferiscono a New York, dove inizieranno una serie di progetti a dir poco scandalosi, brutali, osceni, bocciati dalla critica, ma da cui usciranno anche capolavori come Pink Flamingos (1972).
Fenicotteri Rosa (traduzione del titolo originale) rappresenta il film-simbolo di Waters, nonché una pietra miliare del trash mondiale. La pellicola ha potuto riscontrare questo grande successo grazie al passaparola alimentato dalle proiezioni notturne della scena underground di New York e Los Angeles, e grazie anche all’appoggio della comunità LGBT. Sempre accompagnato dalla sua musa ispiratrice, Divine, Waters mette in scena classici temi della vita americana, come la lotta tra gruppi rivali, con stratagemmi visivi surreali, un’ironia pungente e, ovviamente, e una chiara “non-estetica”, dominata dal disgusto. In realtà quella del disgusto fu una pura trovata commerciale da parte del regista, che si rivelò efficace, che gli assicurò oltre ad una vita agiatissima, una fama mondiale.
Dopo Pink Flamingos, Waters sarà ossessionato dalla vana ricerca di produrre un possibile sequel, nonostante abbia portato sullo schermo altri capolavori come Female Trouble (1974) e Desperate Living (1977), con cui ha comunque confermato il suo stile di regia dominato esclusivamente dal trash.
Negli anni Ottanta, dopo diversi anni di silenzio, Waters si allontana dal suo stile iniziale, sperimentando nuovi progetti, concentrati sulla critica alla vita fittizia condotta dalla politica consumistica americana, di cui abbiamo l’esempio calzante di Hairspray. Questo è l’ultimo film in cui appare Divine, che poco dopo le riprese muore prematuramente a causa delle problematiche dovute alla sua obesità. Questo film musicale ha riscontrato un notevole successo, e nel 2007 è stato realizzato un remake sotto la regia di Adam Shankman, con un cast stellare composto da John Travolta, Michelle Pfeiffer, Christopher Walker e Queen Latifah.
Con la morte della sua diva, i toni dell’arte di Waters subiscono un drastico cambiamento, risultando più addolciti, come nel caso di Cry Baby (1990).
Nonostante le numerose censure in tutto il mondo, John Waters si conferma il pioniere di un cinema in cui non ci sono segreti, non ci sono omissioni e non c’è vergogna, ma solo un’immagine cruda e veritiera dell’uomo moderno, vista attraverso frammenti di vita della frivola gente di Baltimora.
Giuseppe D’Agata
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