L’eleganza delle muse di Boldini in mostra a Roma

Grandi fiori viventi che il desiderio odora e coglie” così Giovanni Boldini amava definire le donne. O meglio le protagoniste di balli, feste, salotti che lui ha raffigurato per tutta una vita. Mondano, brillante e ammirato, dopo un esordio italiano, Boldini ebbe il culmine del suo successo nella Parigi della fin du siècle, all’alba dell’elettrizzante secolo breve. È proprio qui che “La notte, carica di follie e di peccati, prepara le sue insidie famose”, scrive Edmondo De Amicis, uno scrittore contemporaneo a Boldini, descrivendo l’ambiente in cui l’arte del pittore ferrarese prendeva forma. Dopo aver studiato a Firenze e viaggiato molto, scelse di stabilirsi proprio nella capitale francese facendosi conoscere in poco tempo, tanto che tutti volevano essere ritratti da lui. Qui rappresentava la vita moderna e scintillante attraverso i volti dei suoi protagonisti che sublimava su tela.

La mostra in corso al Vittoriano di Roma è una delle più ricche esposizioni degli ultimi tempi che raccoglie le sue tele più rappresentative, includendo anche lavori di artisti con cui il pittore aveva collaborato come Federico Zandomeneghi e Telemaco Signorini. I quadri di Boldini sono essenzialmente ritratti su commissione che non rinunciano alla precisione del dettaglio lasciando però l’impressione del momento in cui la musa del pittore era in posa. A cavallo fra i macchiaioli italiani e l’impressionismo francese, lo stile di Boldini si discosta dalle correnti dell’epoca e si avvicina alla fotografia. I dipinti, di cui molti a pastello, sono dei veri e propri attimi congelati che si ricollegano all’istante precedente e anticipano il successivo. Quella di Boldini è la ricerca dell’attimo fuggente, la stessa che forse Marcel Proust chiamerà “la ricerca del tempo perduto”. Infatti, la società di riferimento non cambia e corrisponde all’alta borghesia. Non sarebbe difficile immaginare Boldini aggirarsi fra le pagine di Du coté chez de Swann a dipingere la raffinata nobildonna di mondo Odette de Crécy.

I nastri, i riccioli, le gonne delle belle e piccanti ballerine del Moulin de la Galette e di altri balli palpitavano là vicino, descrivevano arabeschi di voli di farfalle sulla folla” scrive la moglie del pittore, Emilia Cardona, descrivendo uno scenario tipico della Belle Epoque. E, da buona giornalista della Gazzetta del Popolo, lo definisce “il pittore del gesto, o meglio del respiro del gesto, di quel fremito che aleggia attorno ad una mano quando si è appena posata e non si è ancora appesantita nella dimenticanza di se stessa”. Sposatisi soltanto tre anni prima della morte del pittore (nel 1931), la Cardona raccoglie tutte le sue memorie e l’interminabile amore per la Ville Lumière. Di Parigi Boldini amava la mondanità e il dinamismo, tanto che oltre ai ritratti di donna troviamo moltissime tele di interni di locali e ambienti della città (Innamorati al café, A teatro) specie di mercati e piazze che sono raffigurate attraverso il binomio della precisione del naturalismo di Zola in letteratura e l’impressione fuggente di Renoir in pittura. Tuttavia, gran parte del repertorio comprende corpi e volti femminili.

Innamorati al café

 

A teatro

 

Come muse, le donne sono per l’artista italo-francese una fonte di ispirazione talmente forte che non abbandonerà mai. Ma i loro ritratti sorvolano l’astrazione e la mitologia e piuttosto si calano profondamente nella realtà, anticipando pienamente la modernità novecentesca. Fra le prescelte del pittore abbiamo Madame G. Blumenthal e Donna Franca Florio. Ad ogni modo, tutte le nobildonne ritratte si distinguono per qualche particolare (basti vedere i quadri Il cappellino azzurro e La tenda rossa). Osservando i vestiti, i gioielli, le forme sinuose rappresentate, non è difficile catapultarsi con la mente nei farsi e nelle sere festose della Belle Epoque parigina.

La tenda rossa

 

Menzione a parte va fatta per alcuni capolavori esposti. Primo fra tutti Portrait of a lady che si distingue per grazia e candore. L’opera realizzata per l’esposizione universale del 1889 (e premiata durante la stesso evento, ndr) raffigura in una sinfonia di bianchi la perfezione simmetrica di una donna, macchiata da un enorme ventaglio nero tenuto con delicatezza dalla mano destra della raffigurata. Lo stesso gioco cromatico appare all’inverso nel ritratto di Madame Veil Picard, giornalista scozzese accusata dal marito di adulterio. Qua l’armonia di grigi scelta da Boldini arriva a toccare il nero per contrastare nettamente con il bianco della pelle della protagonista. Rimanendo sulle stesse tonalità, sciarpa bianca e cappello nero sono gli accessori con i quali Boldini ritrae questa volta un uomo e un grande maestro: Giuseppe Verdi.

Madame Veil Picard

Catalizzato nella sua cifra stilistica, Boldini racconta lo splendore di un’epoca attraverso l’eleganza delle sue protagoniste, materia prima per ogni sua opera d’arte. Innamorato della vita e delle sue manifestazioni, la sua arte è restata un punto di riferimento più all’estero che in terra natia. Sarà possibile ammirarla nell’omonima mostra fino al 16 luglio presso il Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, a Roma.

Alessio Foderi
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