C’è stato un grande italiano che chiamò una sua opera intrisa di filosofia, pensieri, invenzioni e rivoluzione, “immenso scartafaccio”, cone evidente falsa modestia. La raccolta delle Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi contiene 4526 pagine autografe, compilate dal luglio 1817 al dicembre 1832, ma ordinate e datate solo dal 1820.
Che lo definisse scartafaccio fa intendere la sottile ironia di cui il poeta fosse dotato. Eppure i denigratori non si peritarono a definirlo “il gobbo triste”, per la sua disillusione di fronte all’inganno esistenziale e la presenza fisica senza dubbio gracile e delicata. Tuttomondo dedica il numero di settembre al Conte Giacomo Leopardi nel 220° anniversario della sua nascita, avvenuta il 29 giugno 1798, in Recanati, oggi provincia di Macerata nelle Marche. Il poeta non ebbe una vita lunga e morì, lontano dalla sua non troppo amata terra di origine, a Napoli, il 14 giugno 1837, alla falde del Vesuvio. Tanto è ritenuto grande poeta e pensatore dalla critica mondiale, tanto è stato fatto odiare (per la verità insieme all’altro grande scrittore Alessandro Manzoni) agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Io personalmente, prima di recuperare un vero amore per il pensiero leopardiano, ho iniziato a temere la recita a memoria dei suoi versi fino dalle scuole elementari. Poi sono cresciuto e ho letto da solo i suoi testi, senza la mediazione pedante di maestri, maestre, professori e professoresse che cadenzavano a casaccio i versi dell’Infinito e del Pastore errante.
Il materialismo di Leopardi era l’attaccamento alla vita e l’odio per le promesse scadenti delle ideologie accademiche e delle mediazioni religiose ammuffite. Che sia stata coltivata nella divulgazione la vena pessimistica del pensiero leopardiano invece di quella ironica è un problema del sistema educativo italiano e della generale vulgata. C’è bisogno di un vero studio e di un recupero largo, anche per comprendere meglio la sua vita terrena, i suoi gusti raffinati a tavola, il vero rapporto con le donne, l’eredità che lascia non solo per il pensiero filosofico, ma come inventore dei neologismi e di stile di scrittura, perfino come ispiratore di opere musicali contemporanee. Del tutto irrisolta appare la questione sul perché le sue Operette morali non siano considerate come fonte identitaria e linguistica degli Italiani, al pari di quanto concesso ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
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