“…cosa resterà di questi anni ottanta”
Recitava così, nel lontano febbraio del 1989, una canzone, diventata poi molto popolare, e presentata al Festival di Sanremo.
A distanza di oltre trent’anni, la riflessione potrebbe partire dallo stesso concetto. Cosa resterà di questi anni? e soprattutto, cosa resterà di questo breve, per adesso, ma molto intenso periodo? Cosa resterà di questa esperienza, di questo momento drammatico ma che al tempo stesso ha dato vita a forme, a volte dimenticate e a volte completamente nuove di solidarietà umana e che è riuscito a cambiare stili di vita che sembravano inossidabili, intoccabili e che mai avremmo pensato di voler cambiare?
In poco meno di un mese la collettività si è trovata a stravolgere le proprie abitudini e il proprio stile di vita, trovandosi a far convivere, magari, nella stessa giornata e nello stesso spazio lo smart working e il pane fatto in casa. Le famiglie hanno sperimentato pratiche nuove e futuribili e pratiche antichissime che erano cadute in disuso da tempo.
Una società che viveva di frenesia, nella quale chi proponeva di rallentare e di vivere più lentamente, magari assaporando maggiormente la vita, veniva etichettato come rivoluzionario o utopico, una società dove tutto doveva correre e, non solo i treni o le automobili, ma anche il pasto quotidiano, la stessa società dove perfino ai bambini di pochi anni venivano imposti i tempi e gli orari degli adulti, improvvisamente si è fermata.
Lockdown.
Tutto fermo.
Le strade che non ce la facevano più a contenere le auto si sono svuotate e così pure anche i cieli. Il silenzio è tornato a farsi sentire, spesso in maniera troppo prorompente a cui non eravamo abituati e ci è sembrato surreale, agghiacciante, ma era solo silenzio.
Erano vent’anni che il movimento ecologista lanciava messaggi d’allarme sulla gravità della situazione del pianeta Terra. Ma questo non era bastato a far rallentare la follia dell’uomo verso la distruzione ambientale. In questo mese sono tornati alla ribalta articoli e studi condotti in passato da scienziati ed epidemiologi che prevedevano l’arrivo di una pandemia, scatenata dagli animali (probabilmente pipistrelli). Spiegavano chiaramente il nesso tra epidemie e distruzione dell’ambiente, estinzione delle specie animali, progressiva perdita della biodiversità. Tutti questi elementi, presenti nella società, sarebbero stati la vera causa della pandemia. Ma nessuno ha pensato di prestare sufficiente attenzione e le previsioni non sono bastate a fermare il processo e neppure a rallentarlo.
In questi giorni sono usciti vari video in cui si vede come la Terra – in meno di un mese – si sia liberata da una importante quantità di inquinamento. Monossido di carbonio, diossido di azoto, emissioni di Co2, tutti i gas tossici hanno avuto una forte riduzione già in un solo mese. La Terra è tornata a respirare.
Adesso, si moltiplicano gli articoli e le analisi che cercano di prevedere come potrebbe essere il dopo epidemia. Sono molti gli studiosi che sostengono che la pandemia sia stata un punto di non ritorno, dal quale non è possibile tornare indietro. Molti addirittura vedono la pandemia come spartiacque della nostra storia: prima e dopo il coronavirus. Razionalmente, infatti, è difficile credere che nessuno vorrà tenere di conto di ciò che è stato, difficile pensare che si voglia ripartire esattamente da dove eravamo arrivati, continuando quindi a perpetrare gli errori così come abbiamo fatto finora. Come poter pensare che dopo aver toccato con mano le conseguenze di determinate politiche e atteggiamenti non si voglia porre un rimedio? Cambiare abitudini e stili di vita sarebbe stato complicato fino a un paio di mesi fa perché il sistema era in movimento e andava ad altissima velocità, ma, adesso che tutto è fermo e che comunque dobbiamo riprogrammare e ripartire, studiosi, sociologi, ambientalisti, medici, scienziati provano a indicare strade diverse.
Ne saremo capaci?
Come verrà raccontato sui libri di storia questo periodo? cosa scriveranno, oltre alle quasi 200.000 vittime della pandemia, alle disastrose conseguenze sull’economia? scriveranno come alcuni governi abbiano legittimato l’autoritarismo per combattere l’emergenza sanitaria, come altri governi, invece, abbiano rischiato la catastrofe umanitaria per aver minimizzato per troppo tempo il pericolo dell’epidemia? e cos’altro scriveranno?
E, cosa rimarrà di tutto ciò che abbiamo vissuto nei racconti orali dei protagonisti e cosa, invece, cadrà nell’oblio? Tornando alla partenza “cosa resterà di quest’anno 2020?”
Ma proviamo a vedere che cosa è successo nella società, ai singoli individui alla loro normalità quotidiana e proviamo a immaginare cosa rimarrà nella memoria. Perché potrebbe essere importante capire cosa rimane nelle coscienze e nella memoria? perché magari da questo potrebbero dipendere le scelte future, potremmo capire se, come alcuni sociologi sostengono in futuro avremo un nuovo mondo, una nuova concezione di civiltà.
Le Fasi
Appena è iniziato il lockdown, più o meno la prima settimana di marzo, tutti si sono ritrovati a casa. La prima esigenza è stata l’organizzazione: i figli (dai sei anni in poi) dovevano seguire le lezioni scolastiche (didattica online) spesso almeno uno dei due genitori doveva lavorare da casa in smart working (a volte anche entrambi). Stessa cosa se nell’appartamento convivevano studenti, lavoratori precari, amici.
Passato il primo momento di disorientamento, la prima reazione è stata “siamo tutti chef“. Social invasi da foto con piatti di ogni tipo, dal pane fatto in casa, all’arrosto in crosta, al baccalà ai porri, per non parlare dei dolci, e le dimensioni del fenomeno sono state considerevoli, farina e lievito di birra introvabili per giorni, a volte settimane, in qualsiasi supermercato o alimentare. Siamo poi passati contemporaneamente ad altri due fenomeni: da un lato lo sport dall’altro la cultura. Tutti quanti avevano assoluto bisogno di passeggiare, di fare movimento, attività fisica. Si sono così scatenati corsi online di ogni disciplina immaginabile, e, “passeggiate si, passeggiate no, vicino o non troppo vicino da casa” sono state argomento di discussione su giornali e social per settimane. Per ciò che riguarda il mondo della cultura diciamo che il fenomeno è stato simile: letture e presentazioni di libri online, corsi di strumenti musicali, proiezioni di film, corsi e dibattiti su teatro, musica classica, musica rock. Passano i giorni e arriva la primavera e con lei la Pasqua e il sole. Cominciano così le foto dei giardini, terrazzi, vai con il giardinaggio e perché no, con l’orto. Principianti o esperti non fa differenza, chi ha il terreno intorno a casa e chi non ce l’ha. Piantine di pomodori piantate in vasi sul terrazzo, sopravviveranno al lockdown? chissà. Tutto questo intervallato da polemiche di ogni tipo e naturalmente le solite tesi complottistiche che dall’ 11 settembre del 2001 non ci hanno più abbandonato.
Ci sono stati, però, anche risvolti assolutamente impensati e tante piacevoli scoperte. La solidarietà è una di queste. Si sono accese forme di solidarietà di ogni tipo: dalla semplice consegna a casa della spesa a persone anziane o malate, a forme anche onerose tipo donazioni, “spese sospese” per famiglie in difficoltà, e le innumerevoli iniziative a sostegno del personale sanitario (consegne a sorpresa presso l’ospedale di decine e decine di pizze, torte, creme per le mani e chissà cos’altro). In una società a forte impatto individualistico dobbiamo dire che è sicuramente un aspetto molto interessante.
Le persone sono tornate a camminare per strada, non solo gli appassionati del fisico perfetto, ma anche semplici cittadini che hanno cominciato ad andare a fare “due passi” per strada, o in campagna. Sembra un aspetto insignificante e banale, ma, in una società in cui si sceglieva la palestra, magari un po’ più distante, purché avesse il parcheggio così da poterci andare in auto, per poi entrare e fare un’ora di tapis roulant, ecco, che veder passeggiare le persone per strada o in campagna non è poi così insignificante né trascurabile.
Molti sono tornati a fare acquisti nei negozi di vicinato, quest’ultimi erano dimenticati ormai da tutti, anche se spesso hanno prodotti di ottima qualità, un buon servizio e soprattutto è possibile fare gli acquisti in poco più di dieci minuti, in questi due mesi i negozi alimentari e/o gastronomie specializzate hanno avuto la loro giusta rivincita. Rimanendo in tema di vicini e vicinato, si sono riscoperti i “vicini di casa”, quelli che sembravano esistere ormai soltanto nei film. Qualunque attività commerciale ha predisposto la consegna a casa gratuita: birre, cornetti, torte, pizze, tinture per dipingere pareti, farmaci, piante e fiori, attrezzi per il giardinaggio, e chissà cos’altro ancora. Non stiamo parlando di acquisti e-commerce ma di aziende locali che hanno effettuato consegne a casa dei loro prodotti in maniera totalmente gratuita. E, non possiamo non citare, le feste, i riti e tutti gli appuntamenti virtuali nati sui social e sul web.
Che ne sarà di tutto ciò? cosa resterà? I post si sprecano. Saremo migliori? In molti ne sono convinti. Di sicuro abbiamo davanti a noi due possibilità. Quando si tratta di partire di nuovo, ricominciare, abbiamo sempre la possibilità di andare da una parte o da un’altra.
Riflessioni sparse
Ci piace pensare che si scelga la via che rispetta l’ambiente e la terra, anche perché, come abbiamo già detto, il mancato rispetto dell’ambiente potrebbe essere la causa di nuovi spillover e nuove epidemie, dovrebbe essere, quindi, una scelta obbligata. Ci piace pensare che tutte le aziende, gli uffici, le istituzioni, gli studi professionali che in meno di una settimana e senza nessun preavviso né preparazione sono riusciti a attivare lo smart working per tutti i loro dipendenti, non lo abbandonino in un solo giorno, come se non fosse mai esistito. Perché lo smart working modulato con i giusti ritmi, adattato ad ogni singola esigenza aziendale, potrebbe essere una formula vincente, da replicare nel nostro futuro. Una nuova forma-lavoro che oltre a salvaguardare l’ambiente, facendo abbassare i livelli d’inquinamento, introdurrebbe anche un nuovo stile di vita per migliaia di persone, che si troverebbero a conciliare tempi di vita e di lavoro con maggiore elasticità. Fonti autorevoli in materia assicurano che con il telelavoro non ne beneficia solo la qualità di vita del lavoratore ma anche la sua produttività.
Una grande incognita del dopo epidemia, sarà la mobilità.
La mobilità è un argomento oltremodo sensibile, il rischio che vadano al vento anni e anni di sensibilizzazione al tema degli spostamenti è davvero molto alto. Cominciavamo a parlare seriamente di car sharing, i bike sharing erano attivi in moltissime città e anche il trasporto pubblico per molti utenti era finalmente visto come una valida alternativa. Il sistema ferroviario, migliorato, e le metropolitane nelle grandi città spostavano migliaia di lavoratori. Il rischio, che tutto ciò che era stato fatto per arrivare a una mobilità sostenibile, vada perduto è davvero dietro l’angolo. Il distanziamento sociale farà crollare l’uso dei mezzi pubblici e, il rischio che, anziché diversificare le opzioni – promuovendo anche con incentivi premianti l’uso di mezzi alternativi quali quelli della mobilità attiva – si tenda semplicemente a tornare all’auto privata, magari con un solo passeggero è una delle eventualità più reali e preoccupanti dell’immediato futuro. Uno smart working diffuso e programmato potrebbe compensare solo in parte una errata gestione della mobilità. Un’altra conseguenza del minor uso del trasporto pubblico potrebbe essere quella che alcuni amministratori, anziché scegliere la strada più impegnativa ma sicuramente più sostenibile, di far continuare l’abitudine alle passeggiate nei centri urbani, (che peraltro, è diventata, in questi due mesi, un rituale quotidiano di molti) scelgano deliberatamente la strada più facile, ma al tempo stesso capestra, di abolire le ztl e abbassare (se non addirittura azzerare) il prezzo dei parcheggi, con l’idea di aiutare la ripresa economica della città. Questo farà si, che anche i cittadini che davvero avevano scoperto che passeggiare era un’abitudine gratificante e piacevole e si erano ripromessi di mantenerla nel tempo, quando si ritroveranno di nuovo in una città congestionata dal traffico, desisteranno tristemente dai loro propositi.
Lavoro, mobilità, solidarietà. Grandi temi, temi sui quali si è acceso un riflettore e che sono stati oggetto di dibattito da parte di politici e analisti. Chi sono però i grandi assenti, gli invisibili del dibattito istituzionale? Sicuramente il mondo della cultura e del turismo. L’ultima attesissima conferenza stampa del Presidente del Consiglio (27/4) è stata caratterizzata sopratutto da questi grandi assenti, tanto più visto che parliamo di un paese come l’Italia, appunto, dove la cultura e il turismo dovrebbero rappresentare i motori trainanti del Paese stesso. Nessun accenno è stato fatto, neppure su una probabile riapertura di teatri, cinema e viaggi. Nessun accenno a come e quando settori che vivono di vicinanza e di condivisione sociale possano riprendere le loro attività. Pensiamo ad esempio alla musica, alla danza. Prima di arrivare allo spettacolo, gli artisti lavorano, provando quotidianamente fianco a fianco. Che ne sarà del loro lavoro? Nonostante nella fase del lockdown tutti gli artisti si siano prodigati sul web prestando gratuitamente la loro professionalità per alleggerire la quarantena di tutti e per portare cultura e serenità nelle case, questo non è bastato a far sì che nella fase di allentamento della chiusura qualcuno si ricordasse di loro. Si è parlato di produzione, di aziende, di commercio di esercizi pubblici ma nessun cenno al settore dello spettacolo e del turismo. Così nell’oblio generale, i cantanti e i musicisti, gli attori e i registi, dovrebbero rimanere sui social come qualunque “dilettante allo sbaraglio” e sopratutto senza nessun compenso?
L’altro grande, grandissimo assente era ed è il pensiero lungo. Da anni ormai la politica è una parola con la p minuscola e non è più connotata da pensieri lunghi di ampio respiro che diano modo di sviluppare piani e futuri per le nuove generazioni, pensieri che lavorino oggi per creare il mondo di domani. Purtroppo da anni anche la politica agisce solo sull’immediato, mette toppe in falle che spesso creano altre falle e non si arriva mai a pensare più in là della prossima tornata elettorale che è sempre molto vicina. Dopo la pandemia, tutto ciò diventerà sistema, perché «in questo momento» l’importante sarà l’urgenza, sarà affrontare la crisi, affrontare le conseguenze del lockdown e tutto verrà fatto in nome dell’ hic e nunc. Niente pensieri lunghi e neppure medi, ahimè, «non è il momento, non adesso».
L’ultima, tra queste riflessioni sparse la vogliamo dedicare al famigerato digital divide. Immaginate cosa sarebbero stati questi due mesi senza connessione internet. Che fosse smart working, didattica digitale o semplicemente social per passare il tempo, la connessione internet è stata essenziale e indispensabile. Pensare di non poter disporre liberamente di questo strumento, in questa specifica situazione ha portato di nuovo all’attenzione la situazione italiana relativa alla connessione internet. A questo proposito ricordiamo che il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione nella quale equipara “Internet alla stregua di un diritto fondamentale dell’uomo, ricompreso nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino”. Il divario digitale quindi è sempre più causa di un divario di altra natura: socio-economico e culturale. I dati Istat ci dicono che, in Italia, nel 2019 soltanto il 67,9% della popolazione di 6 anni e più ha utilizzato Internet e il 9,2% non naviga in Rete da casa perché almeno un componente della famiglia accede a Internet da un altro luogo. Per ciò che riguarda i dispositivi necessari come pc e tablet questa infografica è sufficientemente esaustiva. Durante la fase di ripresa dell’attività economica e di ripresa generale del Paese, verranno portate a termine le iniziative prese per eliminare questo grave gap sociale?
E così, sul finire di queste riflessioni sparse, siamo tentati di credere che non ci sarà la rinascita auspicata da molti analisti, che non finirà un mondo per aprirsene uno nuovo e migliore ma il rischio è che si tornerà in fretta, e probabilmente troppo in fretta, a ciò che abbiamo lasciato. Siamo tentati di credere che la memoria corta avrà la meglio e dimenticheremo presto le nuove buone pratiche che avevamo adottato, che dimenticheremo in un attimo che la vita si può vivere anche più lentamente che dobbiamo prenderci cura di noi stessi, dei figli, della casa ma anche del nostro pianeta e tutto tornerà a correre probabilmente più di prima, perché ci convinceranno che dobbiamo recuperare tutto il tempo perduto. Vediamo un futuro fatto di corse allo shopping, corse frenetiche verso una presunta socialità fatta di aperitivi e divertimento, vediamo le strade troppo piccole che torneranno a riempirsi di auto troppo grandi, En & Xanax torneranno a essere i farmaci più venduti dopo gli antinfiammatori e probabilmente la maggior parte di persone penserà che tutto è passato e che è alla fine è andato tutto bene, come scrivevano i bambini.
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