L’innominabile Macbeth e la superstizione sul grande schermo

Il 23 Aprile 2016 si sono celebrati i 400 anni dalla morte del più celebre drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare.

La sua grandezza e genialità del “bardo” sono date soprattutto dalla totale comprensione dell’animo umano, al punto da rendere le sue celebri tragedie ancora oggi dotate di una forte attualità.  I personaggi di Shakespeare non sono altro che archetipi immutabili.

Una delle più conosciute tragedie shakespeariane, oltre a Romeo e Giulietta e Amleto, è Macbeth che come queste ultime è stata adattata in numerose versioni cinematografiche, oltre a essere la protagonista di una misteriosa superstizione che ha colpito soprattutto le rappresentazioni teatrali, oltre che il grande regista Roman Polanski.

Sulle temibili conseguenze della messa in scena di quest’opera scherza un simpatico episodio della serie Black adder. Il perfido maggiordomo del principe George tormenta i teatranti pronunciando a ripetizione il nome Macbeth, al fine di provocare il goffo rituale di questi che cercano di scacciare la maledizione con la sciocca filastrocca: «Hot potato, orchestra stalls, Puck will make amends!». Infatti secondo la leggenda Macbeth non deve mai essere nominato. Tuttavia questa credenza non ha limitato gli adattamenti cinematografici che sono numerosi.

Macbeth  è stato composto tra il 1605 ed il 1608. William Shakespeare prende ispirazione dalle cronache di Raphael Holinshed sul re di Scozia che reinterpreta liberamente nella costruzione di un complesso dramma; esso vede come tematiche  principali il desiderio di potere e l’assassinio. Infatti il protagonista Macbeth, valoroso combattente per il re di scozia Duncan, dal momento in cui incontra le tre streghe che gli preannunciano il futuro di re è disposto a tutto pur di fare in modo che si compia la profezia. Alimentato dalla moglie commette azioni al di là di ogni morale a danno di persone a cui era inevitabilmente legato.

I primi adattamenti cinematografici della tragedia shakespeariana risalgono al cinema muto. Si hanno otto versioni, la cui più celebre è sicuramente quella di John Emerson del 1916, che vede la presenza di Erich von Stroheim come assistente alla regia. Il film della durata di 80 minuti è andato perduto, eccetto la sequenza del duello tra il re di Scozia e Macduff.

macbethTra le più originali e interessanti interpretazioni del dramma si hanno quelle di Orson Welles e di Akira Kurosawa. Pur provenendo da due contesti geografici opposti – America e Giappone – entrambi hanno guardato a Shakespeare come ad una rappresentazione di un’umanità primordiale.

Orson Welles ha voluto realizzare la sua versione nel 1948. Il film è girato con un budget estremamente basso, al punto di dover ricorrere a scenografie di carta. Ciò nonostante il regista di Quarto portere costruisce uno scenario primitivo animato da personaggi-archetipo. Il plot viene utilizzato per rappresentare una lotta ancestrale: quella tra paganesimo e cristianesimo. Infatti le Tre streghe sono sostituite da un unico personaggio inventato che allude alla religione monoteista, appunto The Holy Father, e le croci celtiche diventano onnipresenti sul set.

macbeth2Akira Kurosawa intitola la sua versione il trono di sangue. Il regista giapponese dichiara di aver voluto dimenticare Shakespeare per realizzare la storia del suo paese. Il film è girato nel 1957, si avvicina alla versione di Orson Welles proprio perché anch’esso presenta un unico personaggio profeta, che in questo caso è uno spirito panico. L’operazione di Kurosawa è interessata a evidenziare la ciclicità del male. Per questo elimina dalla trama anche Macduff, con lo scopo di far terminare il film con lo stesso atteggiamento adottato da Macbeth all’inizio. Il regista giapponese ambienta il suo film in un Medioevo evanescente. Il linguaggio espressivo di Kurosawa è caratterizzato dall’adozione di campi lunghi. Anche nelle scene più cruenti, i primi piani sono del tutto banditi per rendere le scene più vicine possibile ai suggestivi spettacoli di teatro Nō.

macbeth3Se Orson Welles e Akira Kurosawa puntano la forza del loro linguaggio sull’eternità dei temi shakespeariani, rappresentando un’umanità atavica, Roman Polanski è sicuramente il regista più fedele al testo originale. La sua versione di Macbeth nasce in un periodo molto drammatico per il regista: sua moglie, Sharon Tate è stata uccisa dalla setta di Charles Manson il 9 Agosto 1969 proprio mentre il regista è in Inghilterra a girare questo film, che esce nelle sale due anni dopo. Ciò che colpisce è sicuramente l’analisi spietata che Polanski fa dell’assassinio. Rappresenta un medioevo carico di brutalità nella descrizione del microcosmo del contado e dominato dalle tenebre. Colpisce il linguaggio cruento, la violenza, il sangue e i corpi nudi che abbondano in grado di creare un’opera inquietante ma assolutamente efficace.

macbeth4L’ultimo adattamento cinematografico di Macbeth  è quello di Justin Kurzel. Il regista australiano ha scelto un cast tutto internazionale con Michael Fassbender come protagonista e la splendida Marion Cotillard nei panni della spietata moglie. Justin Kurzel è conosciuto dal pubblico per Snowtown, con cui ha vinto l’AACTA Award nel 2011 come miglior regia. Questo film sembra costruire con Macbeth un dittico sulla rappresentazione del male. Snowtown rappresenta i lati oscuri di un microcosmo suburbano, dove nasce il rapporto malato tra il sadico, John e il sedicenne Jamie che conduce quest’ultimo a essere iniziato come collaboratore e omicida. Mentre l’adattamento shakespeariano descrive il male all’interno di un universo mitico che però non perde la sua fisicità. Ciò che accomuna questi film oltre alla tematica è il virtuosismo della rappresentazione omicida. L’eccesso di sangue, di corpi agonizzanti serve per comprendere il peso, l’azione, la condanna. La messa in scena oscilla tra rappresentazioni materiche, violente e scene estremamente liriche dove i corpi degli attori sembrano perdere la loro consistenza, immersi nella nebbia, per sottolineare un’interiorità lacerata ai limiti della follia.

Francesca Lampredi

 

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