Marcantonio Lunardi tra azione civile e videoarte

Marcantonio Lunardi è un videoartista lucchese che, con un personalissimo linguaggio, indaga la società, la condizione attuale dell’uomo e il suo rapporto con la tecnologia e i mass media. I video di Lunardi, che ci appaiono avvolti da atmosfere surreali, mettono in scena la realtà contemporanea che inevitabilmente ci spinge a immedesimarci con i protagonisti che la abitano.

Dopo aver esposto le sue opere in numerose città del mondo e partecipato a diversi festival di cinema sperimentale e videoarte, lo scorso autunno si è svolta una sua personale alla Galleria Passaggi di Pisa e il mese passato ha presentato alcuni dei suoi lavori nella sua città, al Lucca Center of Contemporary Art. Dal 4 marzo è approdato a Taipei per una mostra antologica al Kuandu Museum of Fine Arts.

Marcantonio Lunardi

Marcantonio Lunardi

Prima di approcciarti alla videoarte, hai lavorato come documentarista e le tue opere sono ancora legate a quel linguaggio: mantengono lo stesso legame con la realtà e affrontano temi sociali e politici. Quando e come hai capito che il video sarebbe stato il mezzo ideale per esprimerti?

«Ho iniziato a utilizzare il video dopo gli scontri di Genova del luglio 2001 quando mi sono reso conto che le fotografie che scattavo non riuscivano ad avere la sintesi narrativa che io cercavo. L’attenzione al video è stata una conseguenza delle relazioni umane che avevo sviluppato in quel periodo. C’era la necessità di documentare e si avvertiva chiaramente il bisogno di produrre materiale che rappresentasse una narrazione storica di quello che stavamo vivendo. Si poneva in maniera forte il problema della credibilità. All’epoca il clima che si era creato rendeva difficile raccontare i fatti come si erano svolti e si svolgevano. Quando l’anno successivo, nel 2002, si tenne il social forum a Firenze con numeri eccezionali, tramite l’informazione istituzionale molti politici e intellettuali presero posizioni che demonizzavano l’intero movimento. Tra molti di noi c’era la paura che potesse risuccedere qualcosa che non volevamo più vedere. Così ho lasciato la mia macchina fotografica per uno strumento diverso. Poi ho iniziato ad approfondire le tecniche video e infine mi sono formato come regista documentarista».

Tra i tuoi primi lavori vi è la Trilogia della decadenza, composta da Laboratoire Italie (2011), Suspension (2011) e Last21days (2012), dove ti scagli contro la controinformazione politica e la manipolazione massmediatica. Ti consideri un videoartista militante?

«No, mi considero un videoartista e come altri videoartisti mi occupo delle tematiche sociali e politiche del mio paese e della mia epoca. Questo non fa automaticamente di me una persona militante se per militante si intende schierato partiticamente o ideologicamente. Il mio impegno civile invece lo ammetto e anzi lo rivendico. Penso che tutte le persone che fanno attività intellettuale in un determinato momento storico abbiano una responsabilità in questo senso. Io non so cos’è l’alchimia che tiene in piedi l’equilibrio tra la mia azione civile e la mia creatività. La prima intuizione riguardo un nuovo progetto, di solito, mi viene da una sollecitazione esterna legata all’ambito politico o civile ma poi sento di dovergli dare un forma estetica. Ed è per questo che nelle mie opere c’è una precisa cura per la fotografia, le luci e i movimenti camera. Guardando il mio lavoro voglio che si abbia l’impressione di una costruzione esteticamente curata e che il contenuto giunga a destinazione anche attraverso stimoli emotivi. Anzi spesso il contrasto tra l’estetica e il contenuto contribuisce a rafforzare il messaggio che voglio comunicare».

Le persone che prendono parte ai tuoi video non sono attori professionisti ma gente comune, spesso amici e familiari. Come mai questa scelta?

«Prima di mettere mano alla videocamera faccio una specie di casting insieme ai miei collaboratori, specialmente con mia moglie che si occupa di curare la fotografia dei miei film. Parliamo delle impressioni che ci suscitano i personaggi che sto costruendo e piano piano diamo loro un volto. Quando si sono delineati il ruolo e le caratteristiche psicologiche dei personaggi ci confrontiamo ed è quasi naturale riconoscere le caratteristiche nella presenza scenica e nella personalità dei nostri amici. Alcuni di loro non hanno mai fatto esperienza attoriale, altri invece sì ma loro non devono recitare, devono solamente interpretare sé stessi o una parte del loro carattere. Del resto, nelle mie opere ho scelto di usare la presenza umana in maniera simbolica, limitando le azioni e annullando completamente gli aspetti verbali. Loro sono vivi e tutto in loro è movimento ma sono di fatto congelati in un atto che diventa la chiave interpretativa del loro personaggio. Ed è la stessa chiave interpretativa con cui opero le mie scelte riguardo ai miei attori».

M.Lunardi, New World

M.Lunardi, 370 New World, 2014

In 370 New World (2014)  indaghi sul senso di smarrimento e alienazione che la crisi economica ha portato alla popolazione italiana e sul rapporto dell’uomo con la tecnologia. Cosa ti spinge a trattare questi temi?

«Ci siamo dentro fino al collo. Quella che si vede trasportata sullo schermo non è altro che la mia sofferenza. Ci siamo chiesti spesso perché quest’opera abbia riscosso così tanto consenso e la risposta è che in qualche modo le persone si rispecchiano nel mio sentimento di disagio. Quando costruivo questo film stavo emotivamente male perché in quel periodo mi capitava spesso di incontrare persone colpite dalla crisi che si erano viste distruggere la loro attività lavorativa e il loro equilibrio umano. Guardandoli riuscivo a riconoscere la tristezza che trapelava dal loro linguaggio corporeo, ma al tempo stesso intuivo anche una forma di orgoglio estrema che imponeva loro una grande dignità esteriore. Un po’ come guardare qualcuno che rimane in piedi nonostante i colpi ricevuti. Questa sensazione mi contagiava perché era la stessa condizione emotiva in cui io stesso mi trovavo. Così non ho fatto altro che raccontare quello che vedevo liberandomi da quel disagio attraverso la sua rappresentazione. Mettere sullo schermo le mie ossessioni, fissarle in immagini così come altri le fissano in parole o in suoni, è una forma di catarsi. Mi libero dai miei incubi dando loro una forma e una vita autonoma: dopo averlo fatto posso osservarli a distanza e solo allora posso continuare il mio percorso».

M.Lunardi, New World,

M.Lunardi, 370 New World,2014

In alcuni video sono presenti delle citazioni, come nel titolo di Antrophometry: 154855 (2015) tratto dalle opere di Yves Klein, o nell’uso delle candele all’interno dei televisori in The Idol (2015). A chi ti ispiri?

«Prevalentemente a fotografi, pittori e cineasti. Citazioni dirette delle opere di videoarte del passato nel mio lavoro sono possibili per il semplice fatto che tutto ciò che vediamo va a costituire il bagaglio culturale di cui ci si avvale nel momento di creazione. Trovo interessantissimo il lavoro di Artavazd Pelechian, Frederick Wiseman, Aleksandr Sokurov, Andrei Tarkovsky. Per i colori e gli aspetti surreali penso ad autori come Lech Majewski. Per le luci sono affascinato da Edward Hopper e dai fiamminghi ma anche da Peter Suschitzky e Luca Bigazzi. Non ho riferimenti ad ambiti specifici: alimento il mio immaginario di apporti molto diversi e condivido le impressioni con mia moglie che è una grande consumatrice di cataloghi fotografici. In un caso ho fatto un esperimento di ricostruzione collettiva di un immaginario visivo. Attraverso i social media ho chiesto ai miei amici di suggerirmi pittori e fotografi dopo aver spiegato loro la base emozionale su cui costruivo l’opera. Questa è stata un’esperienza che mi ha arricchito moltissimo perché mi ha permesso di confrontarmi con persone di formazione molto diversa dalla mia. Alla fine credo che oltre al background personale sia molto importante anche cercare occasioni per imparare dagli altri e dalle loro esperienze».

 

M.Lunardi, Anthropometry

M.Lunardi, Anthropometry: 154855, 2015

Hai iniziato a lavorare nel campo della videoarte da pochi anni, dal 2011, raggiungendo un notevole risultato nel panorama internazionale e nazionale. Te lo aspettavi?

«La percezione che ho riguardo al mio lavoro è di assoluto e costante ritardo. Non mi rendo mai conto del tempo trascorso: appena ho finito un’opera, quella stessa opera mi sembra vecchia di anni. Ho iniziato un percorso video in un ambito diverso perché avevo un’urgenza personale prima che professionale e così vado avanti. Cambiare è stato faticoso e solo adesso faccio qualcosa che mi gratifica pienamente. A parte questo, se ripenso alle mie prime opere, a me sembrano lontanissime, anche perché in termini contenutistici lo sono veramente. A livello progettuale non costruisco quasi mai un’opera sola alla volta. Credo di perdere la nozione del tempo perché in realtà il mio lavoro è sempre legato al presente e il presente è qualcosa che trascorre in modo estremamente veloce».

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

A cosa stai lavorando adesso?

«In questo momento sto portando avanti tre progetti. Lo so, è caotico ma la mia immaginazione funziona così a dispetto di ogni sforzo di disciplina. Un lavoro verte sull’impossibilità di accedere alla cultura nelle sue varie forme. L’altro riguarda il racconto per tableaux vivents dell’Europa che io ho visto nel periodo della crisi greca poiché, per una serie di circostanze fortuite, mi sono trovato a lavorare proprio ad Atene nei giorni caldi in cui si decideva di un’eventuale grexit. L’ultimo lavoro sarà legato alla presenza degli stranieri nella società occidentale nonostante che sia in corso un processo di separazione nei loro confronti, un processo che tende a limitarne i diritti nel momento stesso in cui cerca di sfruttarne il lavoro. Sto anche concludendo il mio primo lavoro di animazione dedicato ai fatti di Parigi del 13 novembre 2015. Il futuro è fatto di sperimentazione: non lo conosco ancora».

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

M.Lunardi, The Idol, 2015, Foto © Riccardo Bonuccelli, askthepixel.net

Sito web dell’artista: www.marcantonio.eu

Mariateresa Giacalone

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