Sabato 14 e domenica 15 gennaio andrà in scena, al Teatro Verdi di Pisa, Die Zauberflöte (Il Flauto Magico), il celeberrimo singspiel composto nel 1791 da Wolfgang Amadeus Mozart. È indubbiamente l’opera più affascinante, più oscura e più densa di significato tra quelle del genio di Salisburgo. Tuttavia, per poter avvicinarsi a una qualche analisi del contenuto dell’opera (che va ben oltre quello della semplice fiaba), bisogna necessariamente parlare del particolarissimo contesto culturale che ne diede i natali e dell’altrettanto particolare “fede laica” di cui l’autore era imbevuto: l’Illuminismo e l’adesione alla Massoneria. Senza un accenno – seppur breve e superficiale – a questi due elementi fondamentali del DNA artistico di Mozart è impossibile comprendere e cogliere le molteplici sfumature della sua penultima fatica teatrale (penultima in ordine di composizione, ultima per rappresentazione).
I celebri viaggi compiuti da Mozart durante la giovinezza avevano avuto il grande pregio di accrescere la sua fama, la sua cultura musicale ma anche di affrancarlo dal provincialismo austriaco, esponendolo all’influenza culturale di Mannheim, Monaco e Parigi e consentendogli di venire in contatto con una società versatile, intellettualmente vivace e aperta alle novità. Insomma, il ragazzo partito colla formazione razionalista e illuminista del padre, arriva poi ad ampliarla e approfondirla arrivando ad abbracciare genuinamente il movimento dell’Aufklärung, un elemento che si radicherà profondamente nella sua concezione artistica e che spiega alcune sue scelte particolari e il suo gusto «sottilmente critico e fondamentalmente aggiornato». Come scrivono Carli Ballola e Parenti nella loro eccellente monografia, Mozart segue attivamente il teatro di prosa e impara a conoscere Shakespeare, Lessing e Schiller, «è il musicista che non solo conosce Metastasio, Fénelon e Le mille e una notte, ma anche I dolori del giovane Werther e le opere di Wieland; il musicista che non solo legge il testo chiave del teatro illuministico francese, Le mariage de Figaro, ma se ne appassiona al punto da sceglierlo personalmente come libretto ideale per un suo teatro di critica e di osservazione psicologica».
È proprio l’uomo e lo studio della sua psicologia che costituisce il focus dell’attività compositiva di Mozart, studio che raggiunge il suo apice nella trilogia dapontiana (Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan Tutte); tuttavia è possibile notare in ogni momento della produzione mozartiana il suo continuo riferirsi all’essere umano e alla sua razionalità, non alla natura. Mozart è profondamente convinto del ruolo dell’illuminista nella società e del suo compito civile, cercando di trovare un equilibrio sulla dicotomia che caratterizza il pensiero illuminista e cioè il contrasto tra uomo naturale e uomo razionale. In questo modo il pensiero illuminista di ricollega alla grande idea rinascimentale dell’utopia. E che cos’è la Zauberflöte, la «favola per la ragione», se non la perfetta espressione dell’utopia illuminista?
Un cammino iniziatico che coinvolge i due poli dell’uomo, quello razionale (Tamino e Pamina) e quello naturale (Papageno), un inno alla sua perfettibilità. In questo piccolo singspiel i Lumi coincidono con le idee di libertà ed evoluzione personale, appare inoltre il Regno della Luna che simboleggia la Notte, quella dell’oscurantismo e del fanatismo, in cui regnano menzogna ed egoismo. L’utopia è proprio il percorso che porta l’eroe Tamino al consapevole esercizio della Ragione attraverso le prove cui lo sottopone Sarastro, quindi attraverso rinuncia (Prova del Silenzio), disciplina e autocontrollo (prove relative ai quattro elementi, Acqua, Aria, Terra e Fuoco).
Ma la Zauberflöte è anche la possente esaltazione del Buon Selvaggio, Papageno, che vive nella «sfera incorrotta dei bisogni primari, tutti naturali e tutti legittimi» e questo elemento chiarisce quale sia effettivamente la grandezza di Mozart in generale e del Flauto Magico in particolare, ossia la capacità di coniugare l’assoluto e l’umano, il supremo e il quotidiano. Come ricorda il filosofo Theodor Adorno, Mozart «non avrebbe riconosciuta la sua grandezza se nei suoi momenti più alti non risplendesse una luce di umanità. L’umanità del distanziarsi dall’essenza umana come per protesta costituisce l’unicità di Mozart» ed è questa precisa consapevolezza che fa proclamare «con voce di perentoria grandezza» a Carli Ballola e Parenti che di fronte a Tamino «la Thaiti di Diderot, gli Uroni di Voltaire e gli Emili di Rousseau scompaiono […] e Die Zauberflöte si pone indiscutibilmente come il capolavoro massimo tra tutti quelli generati dalla cultura dei Lumi».
Luca Fialdini
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