Musa: privilegio o condanna?
Cosa ci viene in mente subito quando pensiamo a Beatrice? Dante Alighieri. E a chi spontaneamente colleghiamo la figura di Laura se non a Petrarca? Per non parlare di Irma Brandeis, studiosa dantesca, il cui nome probabilmente non ci direbbe nulla se vicino non si aggiungesse Clizia, la donna a cui Montale dedicò parte delle proprie poesie. Così potremmo continuare con innumerevoli esempi per ritrovarci sempre a legare inscindibilmente un certo personaggio (le più delle volte femminile) al poeta, artista o pittore che sia. come se ci ponessimo sempre dal punti di vista dell’autore, senza mai provare a comprendere quello della persona rilegata al ruolo di “musa ispiratrice” e privata quindi della propria indipendenza.
È dunque arrivato il momento di cambiare prospettiva andando a riscoprire figure autonome, liberate dal rispettivo artista e dalla funzione di “fonte di ispirazione” che ha rappresentato spesso la loro condanna.
Uno degli esempi forse più lampanti è quello di Camille Claudel, nata nel 1864 nella regione della Champagne. Fin dalla giovinezza viene notata per la sua bravura e destrezza nella scultura, tant’è che riesce a sviluppare uno spiccato interesse verso la figura umana, che coglie non certo nel suo bello ideale, ma nel suo aspetto più umile e dimenticato (i suoi personaggi sono infatti vecchie e ragazzi poveri). Quando arriva a lavorare per Rodin, che si era già affermato da tempo, non fa altro che accentuare il suo estro artistico. Il famoso scultore infatti nota subito Camille, alla quale spesso affida alcuni particolari delle proprie opere, come mani o piedi. Nonostante la storia d’amore che nasce tra i due, la scultrice continua a lavorare indipendentemente: infatti, così come per Rodin Camille funge da fonte di ispirazione, lo stesso vale per lei, che ritrae il suo amante in numerose opere. Una volta respinta da Rodin, il quale non vuole rinunciare alla moglie Rose Beuret nonostante le illusioni di una possibile vita insieme nate nel cuore di Camille, questa cade in uno stato di forte depressione sentendosi spiata dall’amante e con la paura costante che le proprie opere potessero essere da lui copiate. Inizia così a frantumare costantemente le nuove sculture fino alla reclusione in un ospedale psichiatrico, dove rimarrà fino alla morte, venendo così costretta a interrompere la propria attività artistica. Nonostante la sua estenuante ricerca di indipendenza artistica e sebbene alle sue opere sia stata dedicata una sezione del Musée Rodin a Parigi, oggigiorno Camille viene individuata sempre insieme a Rodin: si provi solo a digitare il nome di lei su Google e inevitabilmente compariranno voci come “Rodin e Camille, travolgente storia d’amore” o anche semplicemente “Cammile Claudel e Auguste Rodin”. Proviamo a fare la prova contraria, cercando solo Auguste Rodin e non otterremo lo stesso risultato.
Continuando con la nostra riscoperta di donne condannate a “muse”, troviamo Alma Mahler Schindler, che nel 1902 va in sposa al famoso musicista e compositore Gustav Mahler. Questo, come nel caso di Auguste Rodin, è già molto noto al tempo e ricopre cariche prestigiose come la direzione del Wiener Staatsoper: insomma una figura al dir poco “invadente” per una donna che prova a dedicarsi al campo della composizione musicale. Infatti, nonostante Alma riesca a portare a termine 14 Lieder, per canto e pianoforte e in cui ritroviamo un idealismo più naturale e aperto paragonato a quello vigente all’epoca, e cerchi in tutti i modi di dedicarsi a questa sua attività, è costretta a interrompere la sua arte obbligata a ricoprire il ruolo di moglie devota lasciando il posto a suo marito. E’ importante notare come non le sia mai stata data reale occasione di confronto con Gustav: egli prova addirittura un certo fastidio verso l’eccessiva attenzione data da parte di Alma alla musica e le propone il matrimonio a una condizione: che smetta di comporre. Così iniziamo a trovare Alma soltanto tra le note di Mahler, il quale le dedica per esempio la sua Ottava Sinfonia.
Rimanendo in Francia, presentiamo ora la pittrice Jeanne Hébuterne nata nel 1898 a Parigi. Forse il suo nome non dice nulla a molti, ma basterà citare Amedeo Modigliani e cambierà la reazione generale. Da sempre le viene riconosciuta per il suo viso e i suoi lunghi capelli una bellezza a dir poco rara, tant’è che inizialmente posa come modella per il pittore giapponese Léonard Tsuguharu Foujita. Presto però sente il desiderio di dedicarsi alla carriera artistica e decide di iscriversi all’Académie Colarossi, dove conosce Modigliani. Questo, colpito dalla ragazza, la ritrae in numerose sue opere così da renderla il suo principale soggetto. Anche in questo caso nasce tra i due una storia tormentata e Jeanne è pronta a seguire il suo amato ovunque, fino a Nizza dove stanno qualche tempo con la speranza di un miglioramento della salute di Modigliani, affetto di tisi e dipendente dall’alcol. Illudendosi di poter iniziare una vita con Amedeo quantomeno più tranquilla e stabile di come era iniziata, Jeanne abbandona qualsiasi tipo di ambizione che l’aveva spinta a intraprendere la pittura con serietà. Siamo davanti all’ennesimo esempio di talento abbandonato per lasciare libero spazio a quello di un altro ricadendo nella duplice trappola della musa: essere ricordata per un aspetto che non riguarda un merito personale e ritrovarsi inevitabilmente legata a qualcun’altro perdendo così una propria individualità.
Detto ciò è bene specificare che non si intende portare avanti una causa necessariamente al femminile, ma, come anticipato all’inizio, analizzare figure note per un “ruolo etichetta” molto invadente, se così si può dire. Ciò nonostante, la condizione sociale che le donne si trovavano e, purtroppo, si trovano molto spesso ancora oggi ad affrontare, ci ha portato inevitabilmente a nominare soprattutto donne. Infatti per queste, soprattutto in passato, è sempre stato difficile non solo trovare una propria autonomia lavorativa e sociale, ma anche farsi riconoscere meriti che uscissero dalle mura domestiche o che andassero oltre la semplice bellezza fisica. Questo vale per il campo artistico, ma anche per qualsiasi altro ambito. Si pensi, per citare un esempio, a Marie Curie, che dedicò un’intera vita alla ricerca scientifica arrivando a compromettere persino la propria salute, ma nonostante ciò inizialmente non le venne riconosciuto il Nobel per la fisica. Infatti venne premiato, per la scoperta e l’analisi della radioattività naturale, solo il marito, suo collaboratore, che però, conscio dell’enorme valore del lavoro portato avanti da Marie, protestò finchè non vide riconosciuto il premio anche alla moglie. Siamo nel 1903.
Con questo percorso vediamo come ancora oggi tendiamo a ragionare e a giudicare per categorie, tendendo a condannare molti personaggi a precisi ruoli o addirittura, come nel caso delle “Muse”, a determinati individui altrettanto noti. Con questo modo di procedere si tende però a banalizzare molte personalità che potrebbero tranquillamente valicare questi recinti in cui si ritrovano confinati. Il pericolo è che molto spesso si tende a seguire tali ragionamenti rigidi e settoriali non solo nei confronti di personaggi storici, ma anche di persone a noi contemporanee, ritrovandoci quindi ad essere complici di molti talenti abbandonati. Cosa sarebbe successo se ad Alma Mahler Schindler fosse stato permesso di continuare a investire nella carriera musicale e non fosse stata obbligata a seguire il ruolo molto meno sconveniente di “angelo del focolare”?
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