La cultura musicale italiana ha in sé un elemento che rappresenta l’ormai proverbiale croce e delizia: l’opera. Purtroppo il pubblico italiano (di questo secolo come dei precedenti) tende a canonizzare solamente i compositori che hanno fatto dell’opera lirica il nucleo principale della propria attività artistica e quindi se da un lato viene glorificata la santa schiera dei Bellini, dei Donizetti, dei Rossini, dei Verdi e dei Puccini, dall’altro si tendono a dimenticare quei compositori che – pur avendo avuto significative escursioni nell’universo operistico – hanno preferito legarsi alla musica strumentale: Martucci, Sgambati, Dallapiccola, Pizzetti, Mortari, Bossi, Petrassi, sono nomi ormai quasi dimenticati dal grande pubblico italiano. Gli unici che sono riusciti a mantenere una discreta popolarità sono Nino Rota – che molti si sorprenderanno di trovare qui, ritenendolo solo un compositore di musica da film – e Ottorino Respighi, ma anche lì se si decide di andare oltre i Pini di Roma (ad esempio, il Trittico botticelliano) non si trova altro che pianto e stridore di denti.
È quindi una grande soddisfazione notare che finalmente un grande direttore italiano come Gianandrea Noseda abbia deciso di incidere le più significative pagine di Respighi, Dallapiccola, Wolf-Ferrari, Petrassi, Rota e in particolare di Alfredo Casella.
Il lavoro del M° Noseda sull’opera di Casella, forse la figura di spicco tra i compositori italiani dell’Ottanta, merita grande attenzione non solo per l’effettiva molte (ha infatti inciso la quasi totalità delle composizioni per orchestra di Casella), ma soprattutto per la strepitosa levatura artistica e per la pronfoda lettura data dal Maestro. L’esempio forse più efficace è il cofanetto dell’integrale delle Sinfonie pubblicato dall’etichetta Chandos Records, contenente nello specifico le tre Sinfonie e le due suite orchestrali dall’opera La donna serpente.
Si tratta di composizioni di ampio respiro e con un’impronta carattersticamente europea, a cominciare dalla meravigliosa Sinfonia n.1 in si minore op. 5 che, nonostante sia stata scritta da Casella a soli diciotto anni, testimonia sia la sua innegabile maestria nel gestire una tale compagine orchestrale sia la sua natura di compositore onnivoro, nei cui geni era intessuto il sinfonismo. Basti pensare al tema principale del primo movimento (Lento, grave), trafitto da inquietudini e nostalgia, con un sapore russo (che Casella conosceva benissimo attraverso lo studio delle opere del Gruppo dei Cinque) tanto spiccato da ricordare da vicino Rachmaninov, accentuato ancor più dalla squisita musicalità di Noseda. Già in questo primo esperimento sinfonico si ode netta e distinta la voce di Casella e del suo pensiero che riesce brillantemente a fondere quella cantabilità tutta italiana con una concezione del suono tipica della civiltà strumentale mitteleuropea.
Molto più interessante la monumentale Sinfonia n.2 in do minore op. 12 (di cui si parlerà in un successivo articolo), che a un sentire europeo ancor più acuto somma un’orchestrazione formidabile, in cui sono numerosi i riferimenti ai maestri del passato – ad esempio alla Sinfonia n.4 di Brahms – ma mostra in modo chiaro e inequivocabile la rapida maturazione artistica del compositore. Con la Sinfonia n.3 op. 63, però l’atmosfera cambia drasticamente e di questo il M° Noseda ce ne dà una percezione netta già dall’oboe solo che apre il primo movimento (Allegro mosso). È vero che anche qui sono tangibili le inquietudini del compositore e che ogni tanto affiorano sbuffi di tenebre, ma nell’ultima Sinfonia, composta a quasi trent’anni di distanza dalla seconda, traspare una luminosità tipicamente italiana, una dicotomia che pervade molte delle composizioni caselliane di questo periodo. La bacchetta di Noseda, così come aveva sapientemente evocato il Tartaro nelle prime due sinfonie, adesso ci guida attraverso molte e tormentose avventure dell’anima in un viaggio sempre più orientato verso la luce (terzo movimento, Scherzo) e che si conclude in quell’aggraziata e gioiosa vivacità del Rondò finale.
Tuttavia, tra le opere proposte in questo cofanetto, sono senza dubbio le Suite per orchestra n.1 e 2 da La donna serpente op. 50 a mostrare l’acme della tecnica orchestrale di Casella e il M° Noseda non solo le dirige in modo straordinario, ma va a esaltare ora le atmosfere oniriche o dionisiache ora la squisita cantabilità tipica del Casella maturo (per non dire di Casella tout court). In questa particolare versione risultano irresistibilmente affascinanti i quadri meditativi delle suite (in particolare il secondo movimento della Suite n.1).
Pensando alle precedenti edizioni discografiche e registrazioni, anche quelle storiche, mi riesce difficile riuscire a stabilire un efficace termine di paragone con ciò che ha creato il M° Noseda. Ascoltando queste esecuzioni viene naturale pensare «Questo è Casella»: sanguigno, dalle sonorità ora aggraziate ora ruvide, in eterno conflitto tra il dionisiaco e l’apollineo. È proprio l’attento e ragionato studio della partitura l’autentica forza del M° Noseda: l’essere riuscito a riportare alla luce il Casella più autentico e genuino. In questo modo ha fissato un nuovo standard e un nuovo canone su come debba essere pensato ed eseguito Alfredo Casella, cosa che renderà questo cofanetto un’incisione di riferimento per esecutori e studiosi.
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