Abituati ormai alle varie sfide culinarie televisive, assuefatti da duelli all’ultimo arrosto fra i partecipanti, ignoriamo o ci siamo dimenticati che il vero grande duello avvenne negli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo fra la cucina tradizionale e la cosiddetta nouvelle cuisine. Fu un duello combattuto soprattutto in Francia e in Italia, ed è durato molto. Non ha provocato morti, se non quelle di alcuni locali, ma ha scatenato fazioni rabbiose l’una con l’altra, ma alla fine ha prodotto qualcosa di buono: un nuovo modo di cucinare, più leggero e rispettoso dei prodotti, caratterizzato da un occhio attento alle ricette tradizionali e alla storia del territorio, dalla curiosità nel ricercare nuovi accostamenti e ingredienti, dall’attenzione alla bellezza della presentazione (senza però gli estremismi tipici di quegli anni), dal rispetto per l’ambiente e da un rinnovato interesse per chi coltiva e produce, riscoprendo prodotti e sapori che sembravano ormai persi.
Certo c’è voluto del tempo! Tutto cominciò tra la fine degli anni ’60 e i primissimi anni ’70 del ’900, quando un gruppo di giovani cuochi francesi decise di dare battaglia alla cucina tradizionale. La ribellione giovanile scatenatasi in quegli anni aveva smosso profondamente la Francia, e la voglia di cambiamento si ritrovava in ogni aspetto dell’esistenza: bisognava cambiare la politica, il modo di vestire e di pensare, l’atteggiamento morale e l’ambiente in cui si viveva, e come poteva tutto questo non influenzare anche la cucina? Così cuochi i cui nomi sarebbero poi diventati famosi, come Paul Bocuse, Alain Chapel, Roger Vergè e i fratelli Jean e Pierre Troisgros, intrapresero una vera crociata contro le cotture lunghe, gli intingoli molto saporiti, le porzioni enormi, le frollature e le salse mayonnaise e béchamel che spesso ricoprivano spesso ogni piatto, insomma contro tutto quello che rappresentava il passato. Anche la cucina era politica!
I nostri rivoluzionari arrivarono a dettare un vero e proprio manifesto della nuova cucina, articolato in dieci comandamenti che raccomandavano inventiva, cotture brevi, prodotti freschi e di qualità, menu alleggeriti, attenzione alla dietetica, eliminazione di salse e sughi ricchi, e infine presentazioni creative attente al colore naturale dei cibi. Spalleggiati dai critici gastronomici Henri Gault e Christian Millau (quelli della famosa guida pubblicata ancor oggi), la cosiddetta Nouvelle Cuisine prese il volo, e arrivò anche in Italia. Primo paladino di questa nuova cucina fu da noi il grande Gualtiero Marchesi, che aveva appreso il nuovo modo di cucinare dai fratelli Troisgros. Marchesi rinnovò la nostra tradizione culinaria, alleggerendo le ricette più classiche, e cuocendo gli ingredienti separatamente per assemblarli poi in modo creativo e elegante. Marchesi credeva, e crede tuttora fermamente, che il cibo debba avere grazia, sia per i nostri occhi che per il nostro stomaco.
Creò così piatti ancora mitici, come il Raviolo aperto, rivisitazione geniale e leggera di uno dei più popolari piatti italiani, o il magnifico Riso, oro e zafferano, che ho avuto la fortuna di assaggiare qualche anno fa all’Albereta, il suo bellissimo ristorante relais in Franciacorta, chiuso nel 2013. In fondo era solo un risotto allo zafferano, ma il più buono che io abbia mai assaggiato, lieve e avvolgente, dal sapore perfettamente equilibrato, e la foglia d’oro leggerissima e adagiata al centro lo rendeva un piatto da sogno, con un’allure quasi medievale: sembrava uscito da un affresco del 1200, dove i tocchi d’oro a freddo ingentilivano oggetti, figure e abiti.
Altri paladini del rinnovamento culinario in Italia furono Ezio e Renata Santini dell’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, e Angelo Paracucchi della Locanda dell’Angelo ad Ameglia.
Spesso però i cambiamenti possono condurre a estremizzazioni, e così molti cuochi cercarono di afferrare la moda del momento, privi però delle solide basi, dell’inventiva e della genialità dei già citati. Capitò così di assaggiare cucine caratterizzate da condimenti leggerissimi e quasi inesistenti, cotture all’acqua, verdurine regolarmente mezze crude, piatti coperti dalle cloche d’argento che nascondevano porzioni minime, belle a vedersi ma molto meno gratificanti a mangiarsi. Insomma, una cucina quasi da clinica ospedaliera, servita in luoghi molto belli, ma spesso con troppa supponenza e sussiego, e quasi sempre a prezzi altissimi. Da qui l’infinita querelle fra gli estimatori e i detrattori di questo nuovo corso, fra chi amava incondizionatamente questo nuovo modo di cucinare e chi invece lo odiava altrettanto dichiaratamente, e voleva tornare alla robusta cucina tradizionale, sostenendo che la nouvelle cuisine affamava gli avventori e li spennava economicamente.
In effetti, in questo qualcosa di vero c’era! Ma ormai, con buona pace dei sostenitori accaniti delle paste ai quattro formaggi e delle lasagnone trasudanti olio e besciamella, il cambiamento era inarrestabile, tanto che certi piatti classici della cucina popolare francese e italiana degli anni ’60 e ’70 oggi sarebbero troppo pesanti e saporiti per il nostro gusto.
Così il duello, con relative tenzoni e varie offese scritte e verbali, alla fine ha prodotto un cambiamento positivo: una maggiore cultura gastronomica, una conoscenza approfondita di vini e vitigni (a fronte della proposta dei vecchi ristoratori, “bianco o rosso?”, senza alcun’altra indicazione) e un’attenzione consapevole alla natura e alla qualità degli alimenti.
Insomma, a parte le esagerazioni del food porn e di troppi talent culinari televisivi, alla fine il mondo del cibo è diventato migliore.
In coda, per ricreare in cucina il duello gastronomico di quegli anni, vi suggerisco due ricette, una ricca e opulenta e l’altra sanissima e austera.
Divertitevi a cucinarle e fatemi sapere quale vi è piaciuta di più.
Timballo di riso alla romana
Del timballo esistono molte ricette, può esser fatto sia con il riso che con la pasta e anche il ripieno può variare (si possono aggiungere piselli, polpettine, mozzarella…) ma è sempre e comunque un piatto classico e gustoso. In questa ricetta sono previsti ingredienti ormai poco usati, ma questo è il divertente: ogni tanto è interessante uscire dal consueto, dà il senso dell’immensa varietà delle cose del mondo e della nostra ignoranza!
Ingredienti
450 g di riso, 500 g di passata di pomodoro, concentrato di pomodoro, cipolla, funghi porcini secchi, 130 g di burro, 100 g di fegatini di pollo, una fetta alta di prosciutto cotto, ½ etto di lingua salmistrata, una salsiccia, poche animelle, 100 g di creste di pollo, tre uova, pan grattato (possibilmente solo mollica)
Per prima cosa preparate un risotto al sugo rosso: fate soffriggere dolcemente la cipolla, aggiungete 450 g di riso, tostatelo, bagnatelo con un poco di vino bianco. Poi aggiungete 400 g di passata di pomodoro e un cucchiaio di concentrato di pomodoro, e poco alla volta il brodo vegetale caldo che avrete preparato precedentemente, lasciando la cottura al dente. Lasciate riposare il risotto, e quando si sarà leggermente raffreddato aggiungete due tuorli d’uovo, amalgamandoli gentilmente. Intanto preparate il ripieno, facendo sciogliere in una casseruola capace 80 g di burro con qualche fettina sottile di cipolla. Aggiungete un cucchiaio ben pieno di funghi precedentemente ammollati e tritati, poi i fegatini, il prosciutto e la lingua salmistrata tagliati a dadini, le animelle e ancora le creste di pollo, che avrete scottato per dieci minuti in acqua bollente e poi tagliato a piccoli pezzi. Aggiungete 100 g di passata di pomodoro, un cucchiaino di concentrato e cuocete dolcemente per una decina di minuti. Prendete uno stampo tondo senza buco centrale, ungetelo con del burro e cospargetelo di pan grattato, rovesciandolo per farne cadere l’eccesso. Con un uovo precedentemente sbattuto coprite tutta la superficie dello stampo e spolveratelo nuovamente di pan grattato; questa operazione un po’ complicata farà sì che cuocendo si formi una bella crosticina che avvolgerà il riso. Nello stampo così preparato aggiungete il riso che farete aderite bene alle pareti, lasciando al centro uno spazio vuoto dove metterete il ripieno che poi coprirete con dell’altro riso. Su questo versate il restante burro che avrete sciolto e dell’altro pan grattato. Accendete il forno a temperatura moderata e mettete dentro il vostro capolavoro, facendo cuocere per circa 50/60 minuti. Prima di servirlo, lasciatelo raffreddare brevemente, e capovolgetelo in un bel piatto da portata, dando dei piccoli colpetti allo stampo per staccarlo. Offrite ad amici dalla mente aperta e dallo stomaco sano.
La seconda ricetta è tratta da “La nouvelle cuisine per tutti”, 1986, Rizzoli
Filetti di pesce con champignon ed erbe al cartoccio
Ingredienti per due persone (già da questo si capisce che la Nouvelle Cuisine non è per tavolate conviviali).
400 g di filetti di pesce bianco (merluzzo o branzino), 200 g di champignon bianchi, uno scalogno, un limone, 10 g di burro, un ciuffetto di erba cipollina, un ciuffetto di prezzemolo, 8 rametti di dragoncello, quattro cucchiai di vino bianco
Tagliate i filetti di pesce a strisce di 3 cm, irroratele con il succo del limone, affettate gli champignon e bagnate anch’essi con il succo del limone. Tritate finemente le erbe. Imburrate due fogli di carta d’alluminio e disponete le fettine di champignon e le erbe tritate su uno dei due fogli, quindi appoggiatevi il pesce, salando leggermente e irrorando il tutto con il vino bianco. Avvolgete con la seconda carta e formate un cartoccetto ben chiuso. Scaldate una padella antiaderente a fuoco moderato, e appoggiatevi il cartoccio, scaldandolo fino a quando il foglio di alluminio non si gonfia. A questo punto, continuate a cuocere a fuoco dolce per quattro minuti. A cottura ultimata aprite delicatamente il cartoccio e disponete il profumato e sanissimo piatto decorandolo con grazia e armonia, perché così richiede la nouvelle cuisine. Con questa ricetta potete invitare amici dall’animo delicato e dalla digestione difficile!
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