“Palmira è libera“. Questo il titolo riportato dalle più importanti testate giornalistiche mondiali il 28 marzo scorso.
A dieci mesi dalla conquista della città da parte dell’Isis, l’esercito siriano, forte dell’aviazione russa, è riuscito a strappare Palmira dalle mani del califfato.
All’indomani dalla liberazione, però, si devono fare i conti con le distruzioni e i danni operati dalle milizie dell’Isis. Le prime notizie sono allarmanti: il museo depredato, statue, colonne mozzate e i templi principali – quelli di Bel e Balashim – pesantemente danneggiati.
La città, patrimonio mondiale dell’Unesco, è solo una delle tante vittime di questa guerra che, da più di quattro anni sta distruggendo la Siria con milioni di vittime e sfollati. Tra questi, parlando di Palmira e del suo patrimonio archeologico, è doveroso ricordare l’ex direttore dei servizi archeologici Khaled Asaad. Il Professor Assad che non volle abbandonare la sua città neanche davanti alla violenza della guerra, fu rapito e tenuto in prigionia per più di un mese nel tentativo di estorcergli informazioni riguardanti eventuali reperti nascosti.
Il 29 agosto scorso Kaled Assad è stato pubblicamente decapitato in una delle piazze della città che tanto amava e per la quale ha sacrificato la sua stessa vita.
Palmira ha da raccontare una storia millenaria che è sopravvissuta al tempo e che rischia di scomparire davanti alla barbarie del fanatismo religioso.
Una storia che va oltre i suoi meravigliosi monumenti, una storia che parla di popoli e di uomini che hanno trasformato una piccola oasi in una metropoli multiculturale del deserto.
L’insediamento dell’oasi, incentrato intorno alla fonte Efqa, è attestato già nel XIX secolo a.C da fonti cuneiformi e più tardi nella Bibbia sotto il nome Tadmor e Tamar, dove si parla della città come colonia fondata dal re Salomone.
Il periodo di maggior sviluppo è quello che va dal I secolo a.C. al III d.C.: grazie alla sua posizione geografica, punto d’incontro tra est e ovest , sulla via più breve tra l’Eufrate e la costa siriana, Palmira fu la più importante città carovaniera dell’intera area, esercitando il controllo del commercio tra Mediterraneo e l’india e toccando l’apice della prosperità a partire dalla conquista romana (64 d.C.).
Il nucleo principale della popolazione era costituito da genti aramaiche e da una forte componente definita come araba ( in senso culturale e non etnico) e con il tempo vi si insediarono greci, romani e persiani. Il sistema tribale delle componenti aramaiche e arabe continuava a permanere nell’organizzazione cittadina, anche a molti secoli di distanza della sedentarizzazione degli stessi.
Verso la seconda metà del II secolo d.C. la città venne divisa in quattro quartieri ciascuno chiamato secondo il nome di una tribù e dotato di un santuario. Le varie tribù, ciascuna con le proprie tradizioni e culti, mostrano a loro volta di aver subito, in misura varia, gli influssi delle culture con le quali erano venuti a contatto.
Il frutto più visibile di questo melting pot culturale è la religione palmirena, il cui pantheon poteva vantare divinità aramaiche arabe, fenicie, persiane, greche e romane.
Testimonianza di questo vivacissimo orizzonte religioso sono i numerosissimi templi della città e le 3.000 epigrafi con dediche, statue ed ex voto alle divinità palmiree e di “adozione”.
La divinità massima del pantheon palmireno era Bel, un dio venerato dalla tribù dei Bene – Kohennabu. La radice “bel” significa “signore” ed è la stessa radice di “Baal”, il dio semitico della tempesta più famoso di tutta il Levante e citato continuamente nelle tavolette cuneiformi e nella Bibbia. Per questa divinità nel 32 a.C. fu eretto il tempio più importante della città che costituiva il vero cuore della vita religiosa cittadina, un santuario intertribale dove affianco a Bel veniva prestato culto a numerose altre divinità.
Bel era a capo di una triade divina costituita da Yarhibol e Aglibal probabilmente manifestazione dello stesso Bel. Il dio aveva anche una sposa Ishtar/Astarte altra divinità famosa del Levante .
L’altro tempio principale della città era quello dedicato al dio Baalshamin, di origine fenicia e che godeva di un particolare fama a Palmira.
Una divinità di particolare interesse è il cosiddetto “Dio Anonimo” “colui il cui nome è benedetto e non si può pronunciare”. Nel diffondersi del suo culto si è voluto vedere lo sviluppo di un culto monoteistico. Accanto alle divinità di origine semitica veniva anche adorate quelle greche e romane spesso associate alle divinità indigene attraverso un forte sincretismo religioso.
Questo è il panorama culturale e religioso di Palmira, dove ogni uomo sia esso arameo, “arabo”, greco o romano poteva professare la propria religione liberamente.
L’Isis ha cercato di condannare alla damnatio memoriae questo passato incompatibile con un fanatismo religioso e una visione distorta di quello che è l’Islam.
Bisogna ricordare che l’archeologia non serve solo a riportare alla luce meravigliosi reperti e monumenti, ma soprattutto serve a ricostruire la storia che va oltre la contemplazione artistica e ci racconta il nostro passato, senza il quale sarebbe impossibile capire il presente. I templi, le statue e le epigrafi di Palmira sono essenziali per raccontarci la sua storia e quella degli uomini che le hanno realizzate, con lo scopo di conservare la loro memoria attraverso i secoli.
La storia è il ricordare ed è l’unico mezzo per andare oltre il tempo e realizzare quel desiderio di immortalità connaturato nell’uomo.
Eleonora Serra
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