L’Orzo Bruno, il locale che senza dubbio alcuno ha contribuito e continua a contribuire alla storia della birra artigianale a Pisa, sarà presente alla seconda edizione di BeeRiver. Questa è una importante novità poichè solitamente di rado il locale partecipa a festival o altri eventi, e quindi abbiamo colto l’occasione per intervistare Rosa Gravina, mastro birraio, e Giuseppe Granello due dei proprietari dello storico locale. Una lunga e piacevole chiacchierata in cui si è spaziato dalla loro storia, all’importanza della cultura brassicola, fino alle caratteristiche delle birre artigianali.
Buonasera Rosa, ci raccontai come e cosa è cambiato nella vita dell’Orzo dall’anno di apertura, il 2003, fino ad ora.
«Dal 2003 sono cambiate le birre, specialmente nell’uso delle materie prime dato dai cambiamenti climatici. Oggi le birre sono molte di più, le nostre prime tre birre, come qualcuno ricorderà, sono state la Martesana, la Gorgona e la Valdera Rossa. A Natale del2003 abbiamo creato la nostra prima birra stagionale, la Montemagno, che poi, dopo petizioni organizzate dai nostri clienti, è diventata una di quelle “fisse”. L’iter si è riproposto il Natale successivo con la Yeti. Nel 2014, sulla scia, dei nuovi luppoli molto amari e aromatici abbiamo creato la Wombat. Negli ultimi anni il nostro impegno va a migliorare le produzioni che già abbiamo, dando ad esempio la possibilità di spillare la Valdera Rossa a pompa, spillatura più adatta alla sua natura, ma per fare questo abbiamo dovuto cambiare qualche tratto organolettico della birra. Inoltre da circa due anni, proponiamo una birra stagionale, di una durata circa mensile, creando così stili di nicchia, come l’ultima Gose al sale marino. Facciamo questo perché a noi piace l’idea, e la consideriamo una nostra caratteristica, facciamo in modo che la birra non rimanga in spillatura per più di due o tre giorni al massimo, in modo da non cambiare le caratteristiche strutturali della birra stessa».
Dopo il successo della scorsa edizione di Beeriver e l’apertura di innumerevoli localitematici, possiamo affermare che c’è un forte aumento della cultura brassicola a Pisa. Quanto e come un locale storico come l’Orzo ha influito in questo risultato?
«Noi abbiamo fatto si che la cultura si divulgasse, per la nostra scelta di produrre birra solo in fusto, rendendola così fruibile ad un vasto pubblico. Birra non di nicchia, ma di qualità, raccontata e spiegata in termini semplici, un mondo che all’inizio era nuovo anche per noi, che con gli stessi semplici termini trasmettevamo con passione ai clienti».
Ora “siete sulla bocca di tutti” perché di recente avete alzato i prezzi. Perché? Cerchi di spiegare ai nostri lettori, l’importanza che quest’azione comporta per la riuscita di un buon prodotto.
«E’ stata una scelta obbligata. Oltre all’inflazione dal 2003 l’accisa sull’alcool è più che raddoppiata. Noi abbiamo alzato lo stretto indispensabile, infatti abbiamo diversificato il prezzo in base anche al costo della birra, non alzandole tutte in modo analogo. Senza contare che noi forniamo un bicchiere piccolo da 33 cl e la nostra media è di oltre 50 cl, cosa introvabile in altri locali (in quasi tutti la media è 40 cl). Tredici anni fa, il nostro prezzo era un prezzo concorrenziale con altre birre artigianali, oggi, rispetto al panorama, è sempre ancora molto più basso».
A Pisa nel 2003 a produrre birra artigianale e ad avere un locale che la vendeva eravate quasi gli unici. Come vi comportate oggi con la notevole crescita di concorrenza? Quale pensate sia il vostro punto di forza?
«La concorrenza ci sprona a migliorare, quindi ci dà forza. Il nostro punto di forza è il nostro impianto ormai storico, e l’idea che tutti i lavoratori del pub partecipano e conoscono la routine della produzione, sapendo di conseguenza spiegarla e descriverla. Inoltre nella nostra storia influisce il fatto che da sempre siamo rimasti fedeli alla nostra linea di produzione, senza concedere il nostro prodotto ad altri e senza “montarci la testa” cavalcando la scia favorevole del momento».
Dei famosi quattro ingredienti base utilizzati nella preparazione della birra (acqua, malti, luppoli, lieviti) quale pensate sia il più caratteristico e quello che connota maggiormente le vostre birre? Ce n’é uno che ama particolarmente?
«Dipende dalla birra, non siamo degli estremisti che desiderano esaltare un ingrediente in particolare, ogni stile ha la sua peculiarità. Nella Wombat si esalta il luppolo, nella Martesana il lievito (tra l’altro l’abbiamo cambiato da poco) e nella Montemagno la miscela dei malti».
Parliamo di manifestazioni. Voi non partecipate spesso a tante di queste, forse anche per mancanza di tempo, o altro. Come mai quest’anno avete deciso di far parte della “squadra” di Beeriver? Ci saranno anche le vostre magiche birre in bottiglia? Ci sarà una nuova nata per la fiera?
«No le bottiglie non ci saranno, perché non abbiamo l’impianto di imbottigliamento. Porteremo sicuramente due stagionali, l’ultima nata la Elas (una Gose al sale marino), pensiamo di riproporre la nostra India Pale Ale scura. Di preciso non abbiamo ancora deciso quanti fusti portare, magari non tantissimi perché comunque siamo qui vicini in città. C’è da aggiungere che di solito diciamo di no alle manifestazioni perché non abbiamo bottiglie da vendere e non abbiamo nemmeno in cantiere l’idea di comprare un imbottigliatore perché adesso il mercato è estremamente saturo, e inoltre noi non ci consideriamo dei venditori».
Beeriver è una grande sfida dei birrifici in Toscana, in particolare tra Pisa e Lucca, dove si “sfidano” tre birrifici per provincia. Quali conosce e quali preferisce? Quale pensa sia il loro punto di forza? Apprezza il fatto che la manifestazione dia la possibilità di far conoscere e promuovere dei birrifici locali?
«Si ne conosciamo qualcuno, alcuni meglio di altri. Conosciamo molto bene il Bruton. La Petragnola è un birrificio anch’esso storico, all’inizio compravamo il farro da loro. Penso che l’impronta locale sia molto importante, perché penso sia bello per la gente di qui poter assaggiare prodotti fatti da birrifici del territorio».
Quanto in una manifestazione come BeeRiver il conoscitore, l’amante e il curioso possono beneficiare a livelli diversi del festival e conoscere nuove birre? E perchè è importante che il pubblico ci sia e sia numeroso?
«In linea di massimo, auguro a tutti di potersi divertire! Penso che sia giusto saper riconoscere un prodotto di qualità, ma ora bisogna stare attenti a non andare troppo dietro alla moda, perché le mode finiscono e se si segue le mode c’è sempre chi se ne approfitta».
Ora aprono molti birrifici artigianali, tanti giovani fanno Homebrewing, sembra un mondo ormai votato al successo…Da birraia esperta che consigli e avvisi potrebbe dare a persone che vorrebbero fare di questo mondo il loro lavoro?
«Beh, di fare bene i conti, il mercato ora è moto denso ed è un settore difficile, molto più difficile di prima. Ora oltre a curare il prodotto c’è bisogno di creare e saper gestire anche il marketing; ormai se vuoi fare questo devi tener presente che saper fare la birra è solo una piccola parte del lavoro».
Nonostante i birrifici artigianali italiani siano ottimi, e stiano riscuotendo molto successo, anche a livello di riconoscimenti a concorsi internazionali, l’Italia è ancora indietro nella produzione delle materie prime. Di cosa pensa ci sia bisogno per sviluppare una buona coltivazione di malti e soprattutto luppoli puramente italiani per rendere le birre davvero a km0? Potrebbe essere un progetto possibile creare degli ingredienti particolari sul nostro territorio?
«Non penso sia impossibile. Da un punto di vista climatico si potrebbero trovare delle zone, anche se il clima sta influendo negativamente anche in Nord Europa. Gli ingredienti che si producono sono peggiorati nella qualità e spesso non si riesce a produrre tutta la gamma di prodotti. Ma essenzialmente credo che manchi un’idea culturale, servirebbe un’accordo tra birrifici, ci vuole un’idea collettiva.
Dario Soriani
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