Questo mese vogliamo raccontarvi di quella che fu la prestigiosa dimora dei Venerosi Pesciolini conti di Strido, dei suoi celebri ospiti e delle peripezie di un preziosissimo tesoro, per tanto tempo ignorato, conservato al suo interno.
I Venerosi furono, dal XIV secolo, una famiglia dedita alla mercatura. In questo secolo cominciarono ad esportare in Provenza una varietà di olive delle colline pisane dette les Picholines (da Peccioli) da cui, dopo varie modifiche, ne derivò il nome di famiglia Pecciolini e poi Pesciolini. Caduti in disgrazia all’indomani della cessione di Pisa ai d’Appiano nel 1410, si ritirarono nelle campagne volterrane conducendo una vita molto grama. Solo tra il XVI e il XVII secolo si stabilirono nella loro storica dimora di famiglia da dove tornarono a gestire le loro redditizie attività di mercanzia intrattenute dai porti dell’Europa Occidentale fino all’Oriente.
Ai bagliori del XVIII secolo, la dimora cominciò a risplendere architettonicamente trasformandosi in un signorile palazzo occupando l’isolato che oggi va da Piazza del Carmine alla via Cottolengo.
Alla facciata in pieno stile classico che dà su Corso Italia, si contrappone un parco in stile romantico nonché altre fabbriche quali un casino (casa signorile di campagna, spesso adibita a luogo di raduno per battute di caccia) ed un “belvedere in forma di torre antica” come ci tramanda Girolamo Roncioni che rappresenta i nostri occhi in quanto non esistono più molte testimonianze del passato.
Fu l‘architetto pisano Alessandro Gherardesca a rimodellare fra il 1825 ed il 1828 le proprietà dei Venerosi Pesciolini ed il grande spazio verde annesso facendo mutare quest’ultimo nel suo più grande capolavoro, come ci definisce il Catasto Leopoldino Salvatico, in “un poetico giardino paesistico inglese creando quadri e prospettive animate da statue e capitelli e altri resti monumentali […] un laghetto con ponte in marmo sormontato da un Tabernacolo pure in marmo del celebre scultore del Medioevo Civitali, e che racchiude una Sacra Immagine di Luca della Robbia”. Il tutto purtroppo è oggi non più esistente.
Da questo momento in poi, si poté dare inizio alle feste scintillanti che ricordano fra i loro più celebri ospiti il conte russo Alessio Orloff, il pittore Salvator Rosa, i fratelli Giuseppe Maria e Francesco Melani (pittori e architetti molto attivi ed apprezzati in Pisa nella prima metà del XVIII sec.), Johann Sebastin Bach e nelle serate invernali della seconda metà dell’Ottocento anche le figlie di Alessandro Manzoni, Vittoria Giorgini e Matilde che risiedevano nella vicina via del Carmine.
Una volta ceduto l’immobile al nuovo proprietario, il conte Lodovico Rosselimini, si accorse che la piccola statua marmorea custodita dal 1817 all’interno del tempietto gotico che sovrastava la collinetta del giardino era di mano michelangiolesca: si trattava infatti (secondo alcuni) del poco conosciuto San Giovannino e la sua fulminea vendita al Museo di Berlino ne superò di gran lunga la spesa sborsata per acquistare l’intero palazzo, ovvero un milione di lire. Scolpita dal grande artista tra il 1495 e il 1496 per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, la piccola statua suscitò da subito grandi dibattiti intorno all’attribuzione destinati a trascinarsi fino a questi ultimi anni nonché il fiorire di un gran numero di pretendenti poiché della piccola statua ne esistevano diverse copie sparse in tutto il mondo. Sparito dalla sua sede berlinese nel 1946, del San Giovannino non si seppe più nulla per riapparire sulla scena dopo molti anni in Spagna, ad Ubeda completamente distrutto dalla furia della Guerra Civile spagnola del 1936. Il Professor Francesco Caglioti è infatti convinto che il San Giovannino esista ancora e che uno dei pretendenti dimenticati sia veramente quello conservato per anni nella Capilla de El Salvador di Ubeda in Andalusia.
I Rosselmini Guadagni, terminando la loro esistenza senza figli, vollero comunque abbracciare con affetto paterno come se lo fossero davvero, i bambini orfani e le persone non autosufficienti consegnando la loro grande dimora alla Casa della Divina Provvidenza detta poi del Cottolengo.
Daniela Farina
Bibliografia: Alessandro Panajia, I Palazzi di Pisa nel manoscritto di Girolamo Camici Roncioni.
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