Lei, gonna fino alle caviglie, camicetta rigorosamente bianca e capelli lunghi ma acconciati in uno chignon, sedeva davanti ad un gruppo di ragazzette con i pantaloni lunghi o delle gonne appena sopra il ginocchio ed i capelli a caschetto che la guardavano cercando di comprendere la sua diversità, ma lei non capiva loro. Se ne stava seduta a fissarle quasi come se rinnegasse la loro esistenza. Accadeva così il primo giorno, puntualmente. Mano a mano che si andava avanti con gli anni le cose, secondo lei, peggioravano sempre di più . “Di questo passo dove andremo a finire?” si chiedeva in continuazione senza mai trovare una risposta.
Dalla bocca le uscivano solo rimproveri e frasi piene di disgusto. Una donna non dovrebbe indossare i pantaloni o guidare la motocicletta, quelle sono cose da uomini. Non sopportava sentire le ragazze cantare quell’orribile canzone di Sylvie Vartan “Comme un garçon” e perciò le intimava di stare zitte o avrebbe preso provvedimenti disciplinari. Le ragazze cercavano di far comprendere alla loro professoressa rigida che il mondo stava cambiando, che le idee del passato si stavano sgretolando lentamente, ma lei non ne voleva sapere proprio niente e voltava la testa verso la finestra, immaginando anche lei, con incoerenza, un mondo diverso. Non poteva dare loro ragione, altrimenti gli insegnamenti della sua famiglia e quelli che lei aveva cercato di trasferire alle sue alunne sarebbero svaniti per sempre.
Un pomeriggio, passeggiando per il centro, venne attirata da una musica anni ’70 che stranamente le piaceva. Decise di seguire le note che la portarono in una casa piena di donne come lei e di ragazze con i capelli a caschetto ed i jeans. Una in particolare, scorgendola da lontano, si staccò dal gruppo per andarle incontro; era la sua alunna più insolente che però l’abbracciò stretta, la prese per mano e la introdusse in quello che era uno dei primi consultori di Parigi. Lei era molto restia, ma in realtà nessuno la costrinse a fare quel passo che le fece varcare l’ingresso dell’edificio. Vide donne che ridevano e scherzavano, altre parlavano dell’amante, altre ancora dei problemi al lavoro con il capo e lei problemi a casa col marito ed i figli, altre ancora fumavano le sigarette in piena libertà. Lei iniziava a non essere più infastidita da tutto questo, anzi, più andava avanti e più ne veniva attratta. Stette tutto il giorno a sentire talmente tanti racconti da dimenticarsi i primi. Fece tanti primi tiri e a tutti seguì un colpo di tosse; capì che le sigarette forse erano l’unica cosa lì dentro che non avrebbe fatto parte della donna emancipata che sarebbe diventata. A lei piaceva l’idea di starsene dentro quella stanza a ballare musica così allegra, a parlare con coloro che sarebbero diventate le sue nuove amiche, a fumare e a bere magari anche un goccetto di liquore. Verso sera però le vennero in mente tutti gli insegnamenti che lei stessa aveva elargito. Divenne nervosa. Capì di essersi comportata in maniera incoerente e che il giorno dopo sicuramente la sua alunna insolente avrebbe raccontato tutto alle altre che, di conseguenza, non avrebbero avuto più rispetto di lei. Una professoressa come lei in un posto del genere, a contatto con persone del genere? Non avrebbe mai dovuto lasciare che accadesse. Spense la sigaretta che teneva in mano solo per figura e si affrettò verso la porta pensando di aver sprecato una giornata in cose futili e frivole. Scese le scale che aveva salito qualche ora prima con diffidenza e un briciolo di curiosità. Le scese di corsa e la sua alunna cercò di fermarla afferrandole la mano ma non ci riuscì. Il giorno dopo la professoressa non si presentò a scuola. Nessuno la vide più a Parigi e dopo un anno si fede strada la notizia che se n’era andata in un paesino a nord della Francia ad elargire e tramandare tutti gli insegnamenti che lei stessa aveva appreso.
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