«Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna». Questa frase che richiama l’idea delle muse ispiratrici, pur essendo ormai abbastanza abusata, è sostanzialmente vera: la vicinanza di una donna (un matrimonio, un’amicizia o una scontata ma sempre valida liaison) cambia sempre le carte in tavola; pertanto è più che lecito domandarsi come le donne abbiano influito nella vita e nell’opera dei grandi compositori. Come sempre, la realtà supera di gran lunga la fantasia e se è vero che una domanda del genere va a solleticare romantiche visioni di idilli conviviali, è altrettanto vero che le biografie ci forniscono spunti assai più pittoreschi: da Carlo Gesualdo da Venosa, noto non solo per l’insolita arditezza delle sue composizioni ma anche per aver assassinato la prima moglie – Maria d’Avalos – e il di lei amante Fabrizio Carafa, al sommo Giovanni Pierluigi da Palestrina, che a una devota tonsura preferì la mano della ricca Virginia Dormoli, vedova di un commerciante di pellicce, a Giacomo Puccini, le cui numerose infedeltà condite da mille sotterfugi per non essere scoperto da Elvira sono ormai proverbiali.
In molti casi, però, diverse donne furono delle autentiche muse ispiratrici e influirono direttamente sull’opera dei grandi maestri o ne erano le precise destinatarie. È il caso di molte delle composizioni di Franz Schubert, in cui l’autore trasformava i nomi delle donzelle che intendeva avvicinare in note e da questa manciata di note creava poi il tema principale da cui sviluppava la composizione. A beneficio di chi tra voi intendesse impiegare questa tecnica, naturalmente non si tratta di un’invenzione di Schubert ma risale addirittura a Guido d’Arezzo (colui che ha inventato la moderna notazione musicale e il tetragramma) e per impiegarla basta assegnare ogni lettera dell’alfabeto a una nota della scala: per le lettere da A a L si userà un scala ascendente che parte dalla nota do, per le lettere dalla M alla Z una scala discendente dalla nota si (ad esempio: L-U-C-A diventa sol-la-mi-do).
Molto più pratico fu invece Mozart che per l’amata Aloysia Weber, eccellente soprano tedesco, scrisse scene e arie, come il Recitativo e Aria KV 294 Alcandro, lo confesso… Non so d’onde viene… salvo poi rendersi conto che Aloysia lo stava usando per lanciare la propria carriera e quindi sposare la di lei sorella Constanze. Riguardo alla moglie, è pacifico che Mozart non le abbia dedicato composizioni particolari, ma la biografia di Nissen (di cui però è bene non fidarsi troppo) riporta che Mozart teneva in gran considerazione l’opinione della moglie quando doveva decidere se accettare incarichi e committenze, inoltre compose la magnifica Messa in do minore KV 427, nota anche come Grande Messa, come voto affinché Constanze – che all’epoca non era ancora divenuta sua moglie – guarisse dalla malattia e potesse giungere con lui a Salisburgo per incontrare il padre Leopold. Inoltre si riporta un curioso aneddoto: Mozart compose il Quartetto per archi n.15 in re minore KV 241 nel momento in cui Constanze stava dando alla luce il loro primo figlio, proprio nella stanza attigua, e la leggenda vuole che la caratteristica figurazione melodica del primo movimento rappresenti le grida del parto.
Molti altri casi si potrebbero citare, come Beethoven e la sua celebre «amata immortale», o come Clara Schumann che oltre a essere un affermato compositore e virtuoso del pianoforte fu anche musa di ben due compositori, il marito Robert Schumann e l’amico Johannes Brahms, tuttavia esiste un caso (tutto italiano) che rappresenta forse l’emblema di ciò che possono rappresentare le muse per i compositori: Giuseppina Strepponi. La Strepponi non fu solo la seconda moglie di Giuseppe Verdi, ma anche un soprano di prima grandezza nonché confidente, consigliera e collaboratrice del maestro di Busseto, tanto che per lungo tempo ne curò gli affari. Giuseppina ebbe una straordinaria e costante influenza sull’opera di Verdi da Jérusalem in poi, in particolare su questo rifacimento de I lombardi alla prima crociata, Luisa Miller, Rigoletto, Trovatore, Traviata, Un ballo in maschera e La forza del destino. Quest’ultima, addirittura, probabilmente non sarebbe mai neppure nata senza l’intervento di Giuseppina, che riuscì a convincere l’ombroso consorte ad accettare la committenza (che prevedeva che il compositore si recasse nientemeno che in Russia per la prima rappresentazione). Tuttavia questo elenco di nomi ed eventi non fa comprendere adeguatamente quale fosse il ruolo di Giuseppina nella composizione delle opere di Verdi; esiste però un passo che ce lo chiarisce in modo tanto semplice quanto efficace, tratto da una lettera che la Strepponi inviò a Verdi il 3 gennaio 1853 e in cui si riferisce alla composizione di Traviata che procede a rilento mentre Verdi si trovava a Roma per la prima rappresentazione del Trovatore: «E tu non hai scritto nulla? Vedi? Non hai il tuo povero Livello (NB: nel dialetto lodigiano significa “persona fastidiosa”), in un angolo della stanza, raccolto sulla poltrona, che ti dice questo è bello mago, – questo no – Fermati – ripeti: questo è originale. Or senza questo povero Livello, Iddio ti castiga, facendoti aspettare e lambiccare il cervello, prima di aprirne le caselline e farne uscire le tue magnifiche idee musicali».
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