«Siena mi fe’, disfecemi Maremma»: il mito di Pia de’ Tolomei

Pia de’ Tolomei, un nome che tutti associamo immediatamente a Dante e a quel quinto canto del Purgatorio in cui fa la sua apparizione la gentildonna senese. È anche il titolo di una delle opere meno conosciute (e rappresentate) di Gaetano Donizetti, su libretto di Salvadore Cammarano; dato che odiernamente ci si rimanda solo al collegamento dantesco, può apparire molto insolito il fatto che la sventurata Pia sia stata scelta come soggetto per un melodramma del 1837 e, oltretutto, può destare ben maggiori perplessità la scelta da parte di un teatro – in questo caso il Teatro Verdi di Pisa – non solo la scelta di rappresentarlo, ma addirittura di consacrare la serata d’inizio di stagione a un personaggio che può apparire quantomeno vetusto e inconsistente.

In realtà, anche se forse in modo poco appariscente, si tratta di una figura molto presente nell’arte (italiana, ma non solo), delineabile in pochi tratti e per questo estremamente efficace e potente, tanto da poter essere direttamente sovrapponibile al topos della fanciulla la cui morte è causata dall’avversa società.
Questo è un albero particolarmente generoso e uno dei suoi frutti più noti è senza dubbio la Giulietta di shakespeariana memoria, il cui dramma ricorda infatti le linee essenziali di quello della Pia (sebbene con una differenza sostanziale: mentre per Giulietta l’ostacolo è avversione tra le due famiglie, per Pia lo è il fatto che la senese è già andata in sposa a un altro uomo, un matrimonio che sancisce la pace fra due contrapposte famiglie). 

A onor del vero, il ritratto tramandatoci da Dante è sicuramente intenso ma fin troppo stringato (Pg, vv. 130-136):

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

«ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma»

“Malinconia o Pia de’ Tolomei” di Eliseo Sala

ad ogni modo tanto bastò ad accendere la fantasia dei letterati. Dante non svela quale sia il peccato da cui Pia si deve purificare (la colloca semplicemente nel secondo balzo dell’antipurgatorio, tra coloro che sono periti di morte violenta e si sono pentiti solo in fin di vita), ma parteggia per lei, e noi con lui: è immediata la simpatia per la povera anima che preferisce far riferimento all’uomo che l’ha uccisa non come assassino ma come marito. Questo è l’unico dettaglio certo fornitoci dal «gran padre Dante», ossia che l’abbia uccisa (o fatta uccidere) lo sposo; sul come e sul perché non c’è univocità: secondo alcune fonti Pia de’ Tolomei fu defenestrata, secondo altri strangolata oppure lasciata morire d’inedia, i moventi più diffusi sono o il sospetto di adulterio oppure il desiderio del marito, Nello de’ Pannocchieschi, di sposare un’altra donna.

Da queste trame fosche, come già detto prima, l’ingegno dei letterati ha tratto forte ispirazione: un primo lavoro basato sulla vicenda di Pia de’ Tolomei si trova già nelle Novelle di Matteo Bandello (che fu, peraltro, uno dei primi narratori della vicenda di Romeo e Giulietta), intitolata Un senese truova la moglie in adulterio e la mena fuori e l’ammazza; riappare poi nel 1822 nel poemetto in ottava rima La Pia de’ Tolomei: leggenda romantica di Bartolomeo Sestini, opera estremamente importante perché è proprio da questo poemetto che Cammarano ha cavato il libretto dell’opera di Donizetti. 

Oltre al testo sestiniano, a ulteriore conferma di quanto questo personaggio avesse colpito l’immaginario del pubblico ottocentesco, è bene ricordare anche la tragedia Pia de’ Tolomei (1836 indicata anche come La Pia) di Carlo Marenco, il poemetto Pia de’ Tolomei di Giuseppe Moroni (1873), e un omonimo romanzo e poemetto rispettivamente di Carolina Invernizio (1879) e di Giuseppe Baldi (1889).

Gaetano Donizetti

Quale aspetto di questa vicenda può spiegare questo florilegio di opere eponime della senese Pia? La sua duttilità. Sestini ambienta sì la vicenda in epoca medievale, addirittura la contamina con una delle trame narrate nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (più precisamente quella di Ginevra, contenuta nei canti IV-V-VI), ma la riempie con il sentire caratteristico della sua epoca, rendendola un’opera effettivamente romantica: il forte contrasto tra l’ambientazione maremmana, cupa e terribile tanto da ricordare lo stesso Inferno dantesco, e l’angelica (ma sensuale) Pia de’ Tolomei, la vicenda che scaturisce da un cortocircuito emotivo, vale a dire l’amore non corrisposto, Pia che rifiuta l’amante Ghino, questi che per vendetta fa credere a Nello che la sposa lo tradisce mostrandogli un incontro notturno tra questa e il presunto amante (che si scoprirà essere il fratello), l’immancabile rimorso di Ghino quando scopre che Nello ha intenzione di uccidere Pia, l’altrettanto immancabile morte dell’eroina (durante una notte di tregenda, per giunta) che però prima di spirare perdona tutto e tutti, Sestini elimina anche ogni possibile riferimento a un secondo fine del consorte (ossia le seconde nozze), chiudendo il sipario su un Nello devastato dalla sua incapacità di trasformare l’amore in un gesto di salvezza, i sentimenti esaltati quasi al limite, le tinte a tratti orrorose, insomma questa Pia de’ Tolomei è un poemetto quasi gotico.

Anche Cammarano modifica ulteriormente il “colore” della vicenda, pur basandosi sull’opera di Sestini: appare evidente la ripresa di alcune tematiche dal Romeo e Giulietta di Shakespeare (ad esempio, il contrasto tra le due famiglie, appena accennato in Sestini), ma non trascura di porre l’accento anche sul contesto storico-politico, con riferimenti piuttosto puntuali alla situazione nazionale coeva. Anche l’atmosfera che si respira è assai meno goticheggiante, ma molto più italicamente luminosa; inoltre, rispetto al finale di Sestini, quello di Cammarano è molto diverso: in Sestini la morte di Pia ha un sapore tragico, disperato, mentre in Cammarano questa porta quasi a un “lieto fine”, poiché è gravida di un sacrificio politico che ristabilisce quel patto tra i Tolomei e i della Pietra violato dal fratello Rodrigo, inoltre ha un forte valore morale, poiché costituisce il castigo per il marito Nello, che l’ha ingiustamente incolpata d’adulterio, e per il fratello che non ha rispettato il patto. Si arriva ad avere una Pia che è divenuta sostanzialmente una santa, alleviata quindi del peccato per cui Dante la destina al Purgatorio. 

Pagina manoscritta del Preludio dell’opera “Pia de’ Tolomei”

Si tratta di un’evoluzione del personaggio femminile molto rilevante e, per di più, di fortissima attualità. A quanti, scorrendo la lettura fornita da Cammarano, non è balzato in mente l’osceno termine «femminicidio», oggi tanto di moda? La Pia de’ Tolomei ritratta dal librettista partenopeo è incolpevole, pura, condannata dalle passioni sbagliate degli uomini, dalla cieca vendetta di Ghino e dall’amore smisurato di Nello che si trasforma in smisurata vendetta. In questa veste, il mito di Pia de’ Tolomei è tutt’altro che superato e – anzi – può raccontarci ancora molto.

lfmusica@yahoo.com

Luca Fialdini
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