I primi della lista (Roan Johnson, 2011)
Roan Johnson, londinese di nascita ma cresciuto a Pisa, dedica il primo dei suoi lungometraggi alla città adottiva, con la quale ha stabilito un rapporto intenso.
I primi della lista narra un episodio che vede coinvolto come personaggio principale il celebre Pino Masi.
Noto da tutti i pisani nativi e di adozione come un’apparizione, anima ancora le piazze più suggestive della città: quella delle Vettovaglie, cuore pulsante della vita pisana, ma anche Piazza Dante e la suggestiva dei Cavalieri. Pino Masi non canta più le sue canzoni di lotta proletaria, come La ballata del Pinelli, che lo hanno reso celebre negli anni ’60 e ’70 consacrandolo cantore del movimento Lotta Continua, ma canti della tradizione popolare, come O sole mio.
In cambio di pochi spiccioli, Masi allieta le serate estive di turisti e coppiette, creando una suggestiva atmosfera “all’italiana” accompagnato dalla sua chitarra classica. Riserva invece agli studenti piccoli aneddoti sulla sua collaborazione con Fabrizio De Andrè, rievocando così un’epoca assai lontana e ormai smarrita. Pino Masi possiede ancora quell’aura di anarchismo che l’ha portato alla scissione da Lotta continua, oltre alla struggente malinconia di un personaggio che non è mai stato completamente compreso, ma a cui i pisani sono sicuramente legati. E viceversa, anche il cantautore con la città ha un intenso rapporto filiare, sebbene non nativo: pisano d’adozione, il Masi è nato infatti nella suggestiva provincia di Trapani.
L’episodio narrato nel film è riportato da Renzo Lulli che all’epoca del fatto frequentava ancora il Liceo. Sono gli anni di Lotta continua, precisamente il 1 giugno del 1970 quando il ragazzo accompagna l’amico Fabio Gismondi ad un provino per suonare con il Masi, allora mito della sinistra extraparlamentare e sovversiva e fondatore del Canzoniere pisano.
Suggestionato da alcune voci Pino Masi decide di fuggire nella notte per il sospetto di un colpo di stato programmato a breve tempo, che farà di lui uno dei “Primi della lista” della repressione. Il Lulli e il Gismondi decidono di seguirlo in un viaggio di equivoci che porta i protagonisti verso la Jugoslavia e poi in Austria, in una situazione al limite del surreale.
Il cantautore pisano assume una posizione ambigua che il regista non ama svelare: esso ci appare come una figura dicotomica, un millantatore in preda a un delirio di paranoia ma anche come un sensibile profeta, dove alcuni picareschi elementi rimandano a quello che veramente avverrà a distanza di pochi mesi, il golpe di Junio Valerio Borghese nel dicembre dello stesso anno.
I primi della lista nasce in un periodo difficile, l’attore protagonista Francesco Turbanti – contattato durante la scrittura dell’articolo – lo definisce «un’odissea, una bella avventura dalla gestazione lunghissima. Roan Johnson ha dovuto affrontare diverse problematiche per realizzare il suo lungometraggio. Ci sono stati notevoli rallentamenti dovuti ai tagli del governo Monti che hanno colpito anche i finanziamenti del film. Io e Cioni abbiamo svolto 5-6 provini ma questa problematica ha avuto anche un aspetto positivo, ha dato qualcosa di più a questo film, ci ha fatto crescere dentro e ci ha fatto conoscere meglio».
Attraverso un riso amaro, Roan Johnson riprende la tematica dell’equivoco tipica della commedia all’italiana, narrando un racconto al limite tra la leggenda metropolitana e la ricostruzione di un’epoca passata, spesso fin troppo idealizzata, che né il regista né i suoi giovani attori hanno vissuto. «Il fatto che Roan Johnson appartenga a un periodo successivo ai fatti narrati ne I primi della lista è forse un buon ingrediente per la riuscita del film – commenta sempre Turbanti – perché riesce ad avere uno sguardo ironico, distaccato, in grado di trasmettere bene il contenuto». In effetti Roan Johnson riesce nella sua operazione, costruendo una commedia fresca, dotata di una certa leggerezza pur trasmettendo la tensione dell’epoca e rinunciando a qualsiasi idealizzazione e pesantezza.
Roan evidenzia anche un aspetto interessante, che può collegare questo film al suo ultimo, appunto Fino a qui tutto bene. Anche in questo film è protagonista la città pisana ma ciò che ulteriormente li accomuna è la storia: un altro periodo di tensioni. Non siamo più nei violenti anni di piombo ma nel periodo di una delle più disastrose crisi economiche che ha investito l’occidente e l’Italia.
In entrambi i film il peso della storia incombe sui protagonisti e sulle loro vite, ma non riesce ad affondarne le speranze, la genuinità, la vivacità. Inoltre la mitica leggenda narrata da Renzo Lulli che porta i tre personaggi ad oltrepassare i confini di un’Italia che ben poco offre, crea un efficace parallelo con la nostra epoca di cervelli in fuga. Come in ogni suo film, Roan Johnson riesce perfettamente a calibrare la velata amarezza dei tempi con uno spiccato ottimismo di rivalsa.
Interessante il lavoro che il regista ha compiuto con gli attori esordienti Paolo Cioni e Francesco Turbanti, perfetti nei ruoli di Lulli e Gismondi, che, insieme alla presenza di un vivace Claudio Santamaria, donano al film brillantezza e ne garantiscono la riuscita.
Francesco Turbanti inoltre sottolinea l’importanza della documentazione sui fatti per calarsi nel personaggio di Lulli, «sul set ho conosciuto tutti e tre i protagonisti della vicenda narrata da Roan. Ho strinto maggiormente rapporto con Renzo Lulli, era divertente ascoltare le sue storie e non solo. Quando vuoi interpretare un personaggio di un’epoca distante è fondamentale la documentazione, lo studio di quei tempi. La mia non era una ricerca di somiglianza, non volevo apparire più simile possibile al vero personaggio ma avvicinarmi alla comprensione di un periodo storico che non ho vissuto. Altri racconti fondamentali per ricostruire l’atmosfera dell’epoca sono stati proprio i miei genitori, che hanno vissuto molto la fine degli anni sessanta».
Il lavoro sul set de I primi della lista ha immerso nella pisanità i suoi figli adottivi ma anche regalato un buon ricordo ai suoi ospiti. Francesco Turbanti ha apprezzato il piccolo mondo antico che questa città toscana offre: «Io ho studiato a Roma ma mio fratello e alcuni miei amici hanno scelto Pisa per il loro percorso di studio. Per chi come me è grossetano è certamente la meta più vicina. Ogni volta che ci sono venuto mi sono sempre sentito davvero ben accolto».
Francesca Lampredi
- “Il cinema dipinto”, l’arte pittorica e cinematografica di Enzo Sciotti - 22 Settembre 2017
- L’anarchia antifascista di Giannini e Melato nel classico della Wertmüller - 21 Agosto 2017
- I Rhapsody con il loro tour d’addio alla Festa dell’Unicorno - 22 Luglio 2017