PISA – Palazzo Blu, Disegnare sogni: il cinema di Silvano Campeggi (1946-1969)
Non è la prima volta che su queste pagine parliamo di cartellonistica cinematografica. Lo avevamo fatto diversi anni fa in un articolo riepilogativo su illustratori italiani e internazionali; lo rifaremo prossimamente per parlarvi dell’atteso libro di Enzo Sciotti. Il protagonista di oggi è un decano di questa tipologia di rappresentazione artistica: Silvano Campeggi, detto Nano.
Palazzo Blu di Pisa, dal 1 giugno al 1 ottobre 2017, sta ospitando la mostra Disegnare sogni – Il cinema di Silvano Campeggi (1946-1969). Fortunatamente negli ultimi anni, per non dire mesi, si è visto un aumento esponenziale di mostre di questo tipo: dalla presenza di Sciotti all’ultimo FIPILI Horror Festival di Livorno e Collezionando di Lucca, dalla raccolta dei manifesti della collezione Orsucci esposta a Pontedera all’interno della mostra Tutti in moto, passando per la celebrazione del nostro Campeggi lo scorso anno a San Donato in Poggio.
La mostra pisana, curata da Giorgio Bacci, raccoglie circa 100 pezzi della sterminata produzione di Campeggi, divisa tra bozzetti, foto di scena e manifesti. Come ben spiegato dai pannelli introduttivi – finalmente una mostra di settore con una curatela non inferiore alle “normali” mostre d’arte – Campeggi è stato uno dei primi artisti a rendersi indipendente dagli stilemi legati all’editoria popolare otto-novecentesca, proponendo una visione sempre moderna e accattivante. Per un lungo arco temporale il dipinto cinematografico è stato l’unico mezzo per far conoscere il film alle masse ed era compito dell’artista riuscire a portare la gente in sala solamente tramite un’immagine. Autocitandomi: «Quante volte, solo per un’accattivante scelta visiva, coloristica o di soggetto, siamo stati trasportati entro mondi che ancora dovevano presentarsi davanti ai nostri occhi? Infatti l’arte della cartellonistica cinematografica ha la vincente caratteristica di tentare di instillare nello spettatore delle sensazioni visive che quest’ultimo spera di ritrovare nel film che andrà a vedere. Una tipologia di produzione artistica che potrebbe anche essere letta come l’arte del riporre fiducia in uno sconosciuto (l’artista) il quale ci trasmette, grazie alla sua capacità di rielaborarli in uno spazio rettangolare, i momenti salienti del film su cui è chiamato a lavorare».
Le sale dedicate a Campeggi ci permettono di tornare indietro nel tempo, dall’immediato secondo dopoguerra fino al termine degli anni ‘60. Il suo primo manifesto è Aquila Nera, seguiranno grandi successi mondiali come Casablanca, Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Ben Hur, Quo Vadis. «Da lontano – racconta Campeggi – il manifesto doveva essere una grande macchia di colore, capace di farsi notare subito in mezzo a tutti gli altri». I bozzetti in mostra sono perlopiù realizzati con tempera su carta con colori puri, saturi e brillanti. Campeggi, già allievo di Ottone Rosai, seguiva un iter ben preciso nella sua realizzazione dell’opera: «uno era l’abbozzo del manifesto così come sarebbe piaciuto a me. Uno era così come pensavo che sarebbe piaciuto al direttore. Il terzo sarebbe piaciuto al mio amico portiere della casa cinematografica. […] I manifesti che sarebbero piaciuti a lui, sarebbero piaciuti alla massa del pubblico». Il pubblico, dunque, come stella polare da seguire per una diffusione maggiore dell’opera cinematografica ma allo stesso tempo come una massa di persone che andavano educate alla bellezza. Il contrario di quello che avviene oggi con quegli orribili foto-manifesti adornati da font tipografici rossi in grado solo di abituare al brutto l’ormai sempre più povero (numericamente parlando) pubblico della sala.
I suoi contatti con la contemporaneità e con le avanguardie artistiche sono ravvisabili nel bozzetto de Il figlio di Giuda (film di Richard Brooks del 1960) nel quale – citando la didascalia presente in mostra – «una bruciatura a tempera, carboncino e gessetti colorati è memore probabilmente di Burri (artista che Nano aveva conosciuto di persona)». Altri autori che possono essere visti come influenze e rimandi – a distanza e non – nel suo corpus artistico sono Mimmo Rotella e Andy Warhol.
Da rimarcare l’aneddoto raccontato sul catalogo della mostra riferito al ritratto di Marilyn Monroe riguardante il film Il principe e la ballerina del 1957 e al relativo incontro tra i due quando Silvano Campeggi viene mandato direttamente a Hollywood per ritrarre la bionda diva dal vivo: «Vorrei riuscire ad esprimere pittoricamente tutto il suo fascino […] Generalmente ci riesco dipingendo la modella nuda […] Marilyn non risponde. Sorridendo, incomincia a spogliarsi, sorprendendo tutti, i fotografi, il codazzo di persone che le ruotava intorno […] Rimane molto vicina a me, comincia a chiedermi dell’Italia, se davvero Firenze è piena di artisti […] Inizio a dipingerla. Silenzio assoluto. Solo i clic delle macchine fotografiche […] Il cuore mi batte. Anche lei partecipa a quel feeling che deve nascere tra l’artista e la modella».
Un piccolo dispiacere personale: non vedere elencati nel catalogo, tra i grandi artisti della cartellonistica cinematografica italiana, i nomi di Enzo Sciotti, Renato Casaro e Sandro “Sym” Simeoni. Come spesso succede – volente o nolente – a farne le spese è il cinema (non solo di genere) italiano degli anni ’70 e degli anni ’80; sarà per un’altra volta.
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