Nel 1924 nasce la radio italiana. In quest’anno, il governo Mussolini mise insieme il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni con il Commissariato per la Marina mercantile e quello per le Ferrovie creando il Ministero delle comunicazioni. A capo fu messo il padre di Galeazzo Ciano, Costanzo, futuro consuocero del Duce e fondatore dell’EIAR, che in seguito divenne Rai. Mamma Rai.
Il 27 agosto 1924, a Roma, l’URI (Unione radiofonica italiana) nasce dalla fusione tra Radiofono (Società italiana per le radiocomunicazioni circolari) e SIRAC (Società italiana radio audizioni circolari). L’ingegnere Enrico Marchesi lascia la direzione della FIAT per diventare capo del nuovo ente. Il 6 ottobre, precisamente alle nove di sera, la voce di Ines Viviani Donarelli inaugura le trasmissioni radio italiane annunciando il concerto inaugurale, aperto da un brano di Haydn e concluso con Giovinezza, la più tipica canzone del regime fascista. I mezzi sono limitati, i notiziari sono fatti con le sole notizie fornite dall’agenzia Stefani, ma la sede nel bel quartiere romano dei Parioli.
Oggi le stazioni che fanno grande audience sono private: RTL 102.5 conta oltre 7,5 milioni di ascoltatori al giorno, RDS 100% Grandi Successi circa 5,6 milioni, Radio Deejay più di 5. Tra le emittenti della Rai (sempre mamma, ma non più monopolista), Radio 1 raggiunge poco meno di 4 milioni e Radio 2 poco più di 2,6. Radio 3, emittente culturale, è seguita ormai da “pochi intimi”, molto affezionati alla musica classica e ai dibattiti culturali. Io sono contento di stare tra questi pochi.
Il mezzo radiofonico non passa di moda, cambia pelle e si adatta, ma è capace di rinnovarsi del tutto, non solo di rifaris il trucco alla meno peggio. Un modello fondamentale è stato quello messo a punto nel Regno Unito, fondato sui principi «informare, educare, intrattenere». Molti nel mondo ancora lo adottano, anche se le radio private seguono un modello prevalentemente commerciale. Nel secolo corrente, è ancora un mezzo capace di coinvolgere le persone nella comunicazione e nell’interazione sociale, meglio, molto meglio di altri mezzi. In fondo costa poco e può raggiungere milioni di ascoltatori, anche sparsi nel mondo, senza provocare una interazione becera, rabbiosa, inafferrabile e ingovernata, come altri media più recenti sembrano favorire. Senza TV e senza social ormai non possiamo e non sappiamo più vivere, ma francamente io preferisco la radio.
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