Revenant – Redivivo (The Revenant, Alejandro González Iñárritu, 2015)
L’ultima opera di Alejandro Iñárritu racconta la storia di Hugh Glass, capo di una spedizione di uomini a caccia di pelli nel Nord Dakota nel 1823. Attaccati dalla tribù indiana Arikara, i superstiti decidono di nascondere le pelli e tornare a piedi al villaggio per sfuggire al controllo indiano. Durante il cammino Hugh viene attaccato da un orso. Creduto in fin di vita dai compagni ed essendo un impedimento al proseguo del viaggio, viene lasciato in compagnia del figlio adolescente Hawk, del giovane Bridger e dallo spietato Fitzgerald. Quest’ultimo decide di abbandonarlo al suo destino di morte e, dopo aver ingannato Bridger e ucciso Hawk, si rimette in cammino. Da qui il film racconta la sopravvivenza disperata e tragica di Hugh e il suo viaggio verso la vendetta. Interpretato da Leonardo Di Caprio, che come sempre si concede senza riserve ai suoi personaggi, Hugh è solo al centro di una natura spietata e meravigliosa. Continuamente messo alla prova da situazioni impossibili, dall’assenza di cibo e dal rischio di congelamento, lotta per la sopravvivenza. Ridotto in fin di vita dal Grizzly, il suo ruolo sembra essere condannato a un mutismo e a un’immobilità spettatoriale atroce, testimone di una natura che si offre in tutta la sua grandezza e che viene indagata fin nella più profonda intimità. Il regista ne cattura l’immensità e la potenza quanto i più invisibili sussurri di quiete. La natura diventa quindi la co-protagonista del film, forza distruttrice e allo stesso tempo rifugio. La vendetta sembra essere la destinazione della sopravvivenza del protagonista, il motore che spinge Hugh ad arrivare al villaggio e a ripartire in fin di vita per uccidere l’assassino del figlio e di se stesso. Una vendetta che nel suo compimento segna la propria autocondanna e la consapevolezza che niente riporta indietro quanto si è perso: la morte di Fitzgerald non regala nessuna soddisfazione. Nel paesaggio innevato la rincorsa di Hugh si ferma.
Iñárritu realizza un film con inquadrature sbalorditive e una tensione costante. Girato con luce naturale e una fotografia impeccabile, restituisce allo spettatore uno sguardo limpido su un mondo perso. Un film incentrato sul valore del rispetto dei popoli, delle minoranze, sulla ricchezza di una natura che stiamo distruggendo e sulla colpa imperdonabile dello sterminio dei nativi d’America. Sull’impossibilità di dominare il corso dell’esistenza e della natura, in cui l’uomo è elemento, ma non dominatore. Realizzato in condizioni fisiche e tecniche precarie ed estenuanti a causa del rischio di congelamento, The Revenant è anche il frutto di un’esperienza professionale di condivisione e fiducia reciproca. Una regia iperrealistica che si mostra allo spettatore in totale sincerità. Penso alla macchina da presa che si appanna e si sporca con gli attori, incurante della rottura del patto di finzione con lo spettatore. Uno tra tutti, il momento in cui Hugh, accasciato sul cadavere del figlio, appanna l’obiettivo della macchina con il respiro rotto dal dolore. L’inquadratura quasi scompare in una dissolvenza in bianco, simbolo di uno strazio impronunciabile ma che, prepotente e feroce, annulla qualsiasi cosa, anche l’immagine cinematografica.
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