Anche la Settantaduesima edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia si è conclusa.
Il Festival del cinema di Venezia si riconferma, ancora una volta, una kermesse di prestigio internazionale, che ospita autori, registi, attori, nonché fotografi, giornalisti proveniente da tutto il mondo. Per dieci giorni il Lido si è trasformato nel tempio del cinema, tra autori emergenti, divi attesissimi, registi di prestigi, merito anche dei tanti appassionati di cinema che hanno riempito numerosi le sale.
La giuria, presieduta dal regista messicano Alfonso Cuaron, ha assegnato il Leone d’oro come miglior film a Desde allá di Lorenzo Vigas, il Leone d’argento per la miglior regia a Pablo Trapero per El Clan, la Coppa Volpi per la Migliore interpretazione maschile a Fabrice Luchini per L’hermine e infine la Coppa Volpi per la Migliore interpretazione femminile all’attrice italiana Valeria Golino, protagonista di Per Amor Vostro di cui è anche produttrice.
Importanti i nomi dei registi italiani in concorso al Festival, anche se, fatta eccezione per la Golino, quest’anno il nostro paese torna a casa a mani vuote, non smentendo i pronostici e le voci di corridoio che non davano nessuna pellicola italiana tra le favorite in lizza per il Leone d’Oro.
Questa edizione si è distinta per la notevole qualità dei film presentati. Un bel messaggio per un’arte destinata crescere, evolvere e mutare forme e messaggi al mutare dei tempi, senza smettere di parlare il linguaggio universale dell’uomo.
Anche se l’Italia torna a casa senza premi, ciò non toglie che il nostro paese ha portato sul grande schermo pellicole interessanti, capaci, nel bene e nel male, di far parlare di sé.
Tra i nomi del cinema nostrano, ha esordito a Venezia, con la sua prima opera, l’assistente alla regia di Sorrentino, il siciliano Piero Messina con il film l’Attesa.
Il film, ben accolto in sala, è la storia di un’attesa, quella che vede protagoniste una madre, interpretata da un’intensa Juliette Binoche e una fidanzata, la giovane Lou de Laageche che, un prossimità della Pasqua, imparano a conoscersi, sullo sfondo di una maestosa villa di Caltagirone, chiusa nel suo lutto funereo.
Il film deve molto alle interpretazioni femminili, soprattutto a quella della Binoche che si conferma un’attrice di primo piano, capace con la sola mimica del volto di trasmettere l’intensità di una madre che attende il ritorno del proprio figlio e di tingere del suo mondo interiore lo spazio che la circonda.
Piero Messina, nella regia, si dimostra debitore allo stile di Sorrentino, con un gusto stilistico onirico, raffinato e intellettualmente complesso. L’Attesa è un film che non vuole nascondere allo spettatore la verità, quanto condurlo lentamente attraverso la sua accettazione. Unica pecca: la storia a volte si rivela troppo fragile e prevedibile, nonché a tratti lenta nel suo svolgimento. Ma per essere un lavoro di esordio, Piero Messina ha tutte le carte in regole per sorprenderci.
Altro film italiano in concorso è stato A bigger Splash, firmato da Luca Guadagnino, regista di Melissa P. ed Io sono l’amore. Remeke del film La piscina (1969) di Jacques Deray, Luca Guadagnino ambienta il suo thriller in una Pantelleria bellissima, che ospita una coppia straniera. Lei una cantante rock di successo, Tilda Swinton, lui fotografo e documentarista, interpretato da un promettente Matthias Schoenaerts.
La tranquillità della loro vacanza è bruscamente interrotta dall’arrivo dell’suo ex, Harry, un bravissimo Ralph Fiennes e da sua figlia, o presunta tale, interpretata da Dakota Johnson. Dall’incontro di questi quattro personaggi, circondati da una Pantelleria da cartolina, si dipana la storia tra non verità non dette, rancori inespressi e passioni celate, con un finale che lascia un po’perplessi e che cade nel luogo comune, fastidioso agli italiani, di un paese pizza e mandolino, troppe le figure ridotte a macchiette divertenti e dove anche le forze della giustizia si lasciano imbrogliare dall’adorazione per la prima star di turno.
Guadagnino, può contare su un cast stellare, in particolare Tilda Swinton, al secondo lavoro col regista, nelle vesti di una star che deve tenere a riposo la voce, muta, per quasi tutto il film, dal meglio di sé, mentre Ralph Fiennes, nei panni di un uomo sopra il limite, eccentrico e spregiudicato è strepitoso (da Coppa Volpi, a mio parere).
Ciò che stona nel contesto di un film, nel suo complesso ben costruito e registicamente valido, è proprio l’immagine di una Pantelleria, costruita quasi ad hoc per attrarre i turisti stranieri, dove il dramma dell’immigrazione clandestina e dell’accoglienza dei profughi emerge ma appena sullo sfondo, lasciando l’amaro in bocca..
Veniamo ora a due italiani in concorso a Venezia nella sezione Orizzonti, spazio riservato a film rappresentativi di nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale, con particolare attenzione nei riguardi degli autori emergenti.
La sezione Orizzonti si rivela sempre tra le più interessanti del Festival e anche quest’ anno gli Italiani hanno presentato lavori diversi e originali, capaci di riscuotere successo in sala.
Tra questi Arianna, film dell’esordiente Carlo Lavagna. Storia intensa e delicata per trattare un tema tabù quello dell’androginia o dell’intersessualità (la sessualità e il sesso hanno fatto da protagonista in questa edizione del festival: the Danish Girl, Spotlight, Anomalia).
Carlo Lavagna presenta un film audace e ben riuscito, merito anche della protagonista, un’androgina Ondina Quadri, perfettamente calata nei panni di una giovane ragazza alla ricerca della propria identità, all’interno di una microcosmo familiare che l’ha scelta per lei.
Il film è tornato a casa con due premi: La Giuria della Federazione dei Critici Cinematografici Europei e del Mediterraneo (FEDEORA) ha assegnato il premio come miglior attrice proprio a Ondina Quadri e quello per la miglior scoperta italiana ad Arianna di Carlo Lavagna, regista giovane che ha saputo imporre con garbo e decisione un tema difficile a un grande pubblico.
Concludiamo con un altro film della sezione Orizzonti: Pecore in erba del regista Alberto Caviglia.
Si tratta di mockumentary, ovvero di un falso documentario, incentrato intorno alla misteriosa quanto inspiegabile scomparsa di un tale Leonardo Zuliani, il bravo Davide Giordano, nei panni di star nazionale, nota presso il pubblico per l’impegno (a modo suo) nella lotta in difesa dei diritti civili.
Il mito di Zuliani viene alimentato dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto e da tante piccole interviste, che vedono intervenire personaggi noti nel nostro panorama televisivo e culturale: Corrado Augias, Vittorio Sgarbi, Mara Venier, Tinto Brass, Enrico Mentana, Aldo Cazzullo e molti altri.
Il risultato? Un film esilarante, alternativo, tutto italiano, complice una caratteristica Trastevere, nato per far ridere, ma in un modo intelligente, attraverso una satira dissacrante e per nulla banale che sfata luoghi comuni, stereotipi e falsi buonismi. Un film riuscito che sono certa conquisterà il pubblico italiano.
Dopotutto il cinema è anche questo divertimento, intrattenimento, evasione e Venezia ne è la prova. Il Festival è un tempo sospeso, in cui le giornate sono scandite dalle proiezioni di film, luogo in cui si fa e si parla di buon cinema, di un cinema che fa bene perché allarga gli orizzonti, apre la mente e spalanca la fantasia.
Biancamaria Majorana
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