Quando Arnold Newman parlò per la prima volta di quello che sarebbe stato definito come “ritratto ambientato“, le pagine dei calendari segnavano la seconda metà del secolo scorso e da quel momento in poi sarebbe stato davvero difficile resistere alla tentazione di raccontare i soggetti attraverso il loro ambiente.
Newman non accettò mai la definizione data alla sua fotografia: il suo obiettivo era di andare oltre il semplice arricchimento ambientale. Non una mera descrizione estetica, ma la volontà di spiegare, attraverso gli oggetti, la vera anima dei soggetti rappresentati: la persona innanzitutto, al di là del suo ruolo iconografico o istituzionale.
Il fotografo statunitense spiegò che i suoi “ritratti in un ambiente naturale” dovevano assecondare un’esigenza fondamentale: il soggetto doveva essere ritratto in un ambiente familiare, lontano dalle luci fredde degli studi fotografici, andando incontro alla possibilità di sentirsi “a proprio agio”, per ottenere un risultato naturale, il più vicino possibile alla verità.
In questo genere di ritratto, infatti, il contesto definisce il soggetto: ci racconta dei suoi gusti e ci accompagna attraverso i suoi luoghi. La focale si allunga: gli oggetti e lo spazio passano dal secondo al primo piano, aggiungendo un livello di significato che renderebbe superflua ogni spiegazione verbale. La fotografia diventa narrazione autonoma.
Oggi, nell’epoca dei milioni di selfie postati sui social network, sembra che sia sempre più facile sentirsi a proprio agio davanti all’obiettivo. Fotografo e soggetto fotografato coincidono sempre più spesso e la direzione sembra rivolta verso un appiattimento dei contenuti, verso la glorificazione di quella che i secessionisti di fine ‘800 chiamarono “fotografia vernacolare” e che oggi potremmo spiegare come l’innumerevole quantità di gattini, aperitivi e duck-faces formato immagine che invade e compiace il nostro più primordiale istinto social.
Riccardo Bonuccelli, fotografo lucchese contemporaneo, si occupa da anni di approfondire il genere del “ritratto ambientato”.
«La mia direzione – spiega Bonuccelli – è quella del ritratto in senso lato. La società può infatti essere descritta attraverso i soggetti e i loro ambienti presi singolarmente o in una situazione di simbiosi. Sono tutti punti di vista che possono aiutarmi a raccontare la collettività».
L’interesse artistico di Bonuccelli per la fotografia nasce in seguito ad un workshop di Ernesto Bazan seguito nel 2009. Il ritratto ambientato diventa subito il genere fotografico prediletto dal fotografo lucchese, che ne farà presto un obiettivo professionale da sperimentare, stravolgere, migliorare sempre di più.
Il fotografo ricostruisce il suo percorso: «Sono partito col ritratto, poi ho capito che spesso la grande forza del ritratto – come ad esempio quelli di Richard Avedon – risiede nel fatto di raccontare le icone. Mostrando una foto di Malilyn Monroe, questa farà il giro del mondo e la gente accoglierà in maniera molto diretta il senso di quell’immagine. Quando scelgo di fotografare una persona comune, devo poter dire il possibile di quella persona “sconosciuta”: non è una star, un’icona. In tal senso l’ambiente aggiunge significato alla persona ritratta».
Bonuccelli prosegue: «Bisogna scegliere l’ambiente soltanto dopo aver conosciuto il soggetto da ritrarre, per poter descrivere al meglio il suo spirito. In genere queste informazioni vengono fuori in seguito a un colloquio tra il fotografo e il soggetto per conoscere i suoi gusti personali. È importante che il soggetto si senta a proprio agio: quello che ti circonda, ti completa».
Accanto all’attività di fotografo professionista, Bonuccelli affianca numerose iniziative che puntano all’arricchimento culturale del territorio e partono dalla consapevolezza del confronto con una generazione sempre più attenta alle complesse dinamiche dei social network, aspetto che il fotografo ha approfondito in più occasioni, anche durante l’ultima edizione del Festival Internazionale della Fotografia di Lucca.
Sulla scia di questo interesse e spinto da nuove esigenze, il 16 aprile 2016 Bonuccelli inaugurerà il suo nuovo studio fotografico polivalente: un open space di 45 mq che fungerà da ufficio, sala posa, spazio espositivo e sala percorsi: «L’idea di aprire uno studio fotografico nasce dall’esigenza di creare a Lucca un ambiente che non ho mai visto. Vorrei rendere il nuovo ambiente un luogo d’incontro tra la fotografia e le nuovissime tendenze social. Il mio studio sarà uno spazio aperto non soltanto ai clienti, ma anche a chi fosse interessato ad avvicinarsi alla fotografia: tutti sanno come scattare fotografie con uno smartphone, altra cosa però è osservare la realtà con occhio fotografico.
Il mio obiettivo è quello di fornire informazioni basilari su cosa significhi “fotografare”, vorrei incoraggiare la curiosità. La cultura va nutrita, ma prima ancora bisogna conoscerla e quindi apprezzarne il valore».
La curiosità è presupposto imprescindibile per avvalorare l’esperienza e le espressioni artistiche non circolano mai a senso unico. Tra i suoi propositi, Bonuccelli dà largo spazio alla divulgazione della storia di un linguaggio che tutti apprezziamo ma che soltanto in pochi sono capaci di parlare e comprendere correttamente: quello fotografico.
«Lo studio diventerà un luogo social: trovo che sia importante divulgare la fotografia.
Durante la secessione fotografica di fine ‘800, nacque l’esigenza di separare la fotografia artistica da quella scattata tutti i giorni: da qui la definizione di “fotografia vernacolare” – spiega il fotografo -. Con questo mio progetto voglio avvicinare la fotografia alle persone, oggi sempre più vicine alle dinamiche social, quindi a un tipo di fotografia vernacolare. Io vorrei accompagnarle alla scoperta dei livelli successivi, far fare loro un salto di conoscenza. Voglio creare un ambiente aperto dove chiunque può entrare, anche per passare un’oretta.
Metterò a disposizione la mia biblioteca fotografica, con un divanetto per la consultazione. Sto pensando anche di attivare un servizio di donazione: ognuno potrà donare un libro sulla fotografia. Credo molto sulla ricaduta territoriale che quest’iniziativa potrebbe avere, portando arricchimento e crescita culturale. Voglio crederci perché vedo tanto interesse intorno a me. I giovani lucchesi sono molto interessati alla musica, alla fotografia, all’arte e molti approfondirebbero».
Le rivoluzioni in ambito tecnologico lasciano spazio alla sperimentazione artistica, soprattutto quando il linguaggio di riferimento è imprescindibile dagli strumenti meccanici o digitali. Con l’avvento dell’era digitale è cambiato il modo di fare fotografia e anche le modalità di fruizione sacrificano in parte la vecchia stampa fotografica, che un tempo era passaggio decisivo perché una fotografia potesse affermarsi come tale. Oggi sono sempre più numerose le fotografie che fluttuano in un limbo cybernetico, fruibili soltanto attraverso il monitor dei dispositivi elettronici.
Bonuccelli illustra i suoi progetti futuri, e suggerisce un cambio di rotta verso nuovi scenari: «Da un lato sono certo che la stampa non finirà mai di perseguire la qualità dell’opera d’arte.
Parlando di fotografia, credo che quella artistica possa prescindere dalla necessità di stampa. Un discorso analogo è già stato fatto con l’arte pittorica – come vediamo in questi giorni al Lu.C.C.A. con la mostra “La tela violata” – nel passaggio verso la tridimensionalità, si segna una nuova era della percezione.
Prima di Fontana, mai nessuno avrebbe pensato di tagliare una tela. Allo stesso modo, in ambito fotografico, cominciano a prendere piede nuovi progetti di “mostra digitale”, a partire dagli insegnamenti della videoarte. Traducendo idealmente in linguaggio fotografico “la tela violata”, si potrebbe pensare ad una mostra di fotografie visibili su iPad.
Nel passaggio da un’epoca all’altra assistiamo a nuovi cambiamenti, nuove concezioni che devono essere assecondati, senza lasciare spazio alla pigrizia. Oggi un’immagine può essere raccontata passando per un numero molto ampio di media, io arricchisco la mia immagine di un nuovo significato, con la possibilità di introdurre temi che prescindono il contenuto letterale dell’immagine fotografica. Mostrando una fotografia dal cellulare io rifletto sul fatto che l’immagine sia presente a priori nella mente di chi osserva, prescindendo da qualunque tecnica di stampa possa utilizzare. Quello che ti mostro è solo un codice binario: è l’aspetto etereo della fotografia.
Credo che si stia verificando una convergenza dei mezzi di comunicazione visiva dal cartaceo al digitale».
Riccardo Bonuccelli collabora anche con la libreria Ubik di Lucca, dove organizza una serie di salotti fotografici gratuiti: «Ci riuniamo ogni due settimane, affrontando un tema che scelgo personalmente. Il dibattito che segue è sempre molto acceso e interessante, motivo di confronto e stimolo per curiosità sempre nuova. Per me è importante che questi incontri avvengano nel cuore della città: questo contribuisce a mantenere il carattere social».
La fotografia non si esaurisce in un click eseguito sul buon settaggio della macchina da presa: la tecnica è funzionale e necessaria ma non sufficiente per eseguire uno scatto che racconti i soggetti, facendone esperienza e comprendendone la natura.
Il ritratto ambientato prende per mano e accompagna attraverso l’universo interiore della persona, unica e irripetibile. Allo stesso modo, Bonuccelli si propone di guidare i suoi concittadini verso nuove consapevolezze, destreggiandosi tra social e sociale, fotografia e immagine, contribuendo ad accrescere conoscenza e curiosità, facendosi promotore di nuovi progetti rivolti verso la crescita culturale di chi per puro vezzo o per stimolo a migliorare, decida di affacciarsi alla finestra, per scoprire che la fotografia è sempre stata l’immagine del tempo che racconta la sua eterna giovinezza.
Per maggiori info: riccardo.bonuccelli@askthepixel.net
Giulia Buscemi
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