Riglione: periferia centrale o centro periferico?

Intervista a Massimiliano Bacchiet, autore del libro Riglione. Questa centrale e laboriosa borgata

Massimiliano Bacchiet è nato e vive a Pisa, si è laureato in Scienze Politiche con una tesi sul sindacalismo nel primo del Novecento. È funzionario in un ente pubblico, nella sua vita ha dedicato molto tempo alla passione politica, attualmente è attivo in varie realtà associative tra cui la Biblioteca Franco Serantini e l’Anpi. Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani e, come si legge sulla quarta di copertina, «ha voluto dedicare la sua prima pubblicazione alla su’ Riglione».
La prima presentazione a Riglione del 18 marzo è stata un vero successo con una straordinaria presenza di pubblico. Il volume sarà nuovamente presentato il 24 aprile al Teatro Rossi Aperto in occasione della Festa della Biblioteca Franco Serantini, l’11 maggio all’SMS e il 3 giugno in occasione della festa di Riglione per il Giugno Pisano.

 

Massimiliano, partirei dal titolo: Riglione. questa centrale e laboriosa borgata. Come mai, dato che oggi centrale non è più e, anzi, probabilmente è ormai un “paese dormitorio”?
«Riglione è stata una centrale e laboriosa borgata. “Centrale” rispetto agli altri paesi e frazioni in quanto sede di servizi, attività assistenziali (pensiamo alla Società di Mutuo Soccorso, alla Croce Verde, poi Pubblica Assistenza), qui avevano sede le associazioni, i partiti e gruppi politici e qui si sono svolti i fatti più importanti: il primo sciopero delle tessitrici nel 1873 e  i moti del 1898 – quando a Pisa fu dichiarato lo “stato di assedio” – vedono Riglione teatro di rivolte popolari con assalti ai forni del pane. Sempre a Riglione fu posta la lapide a Giordano Bruno e venivano svolte conferenze, dibattiti e comizi politici (pensiamo al comizio anticlericale del Luglio 1912 che vide la partecipazione di oltre duemila persone). Qui si organizzò la prima resistenza alle scorribande fasciste e nel 1921 gli Arditi del Popolo assaltarono la caserma dei carabinieri; qui è stato posto il monumento ai caduti della prima guerra mondiale e qui si svolgevano le parate del regime fascista. Riglione è stata successivamente sede del locale Comitato di Liberazione Nazionale e in questa “centrale borgata” furono alzate le barricate nelle giornate dell’attentato a Togliatti.
Una “centralità” che non sembra emergere tra i paesi vicini, almeno tra quelli della cintura pisana.
Riglione è stata anche “laboriosa” in quanto sede dei primi opifici tessili come la Bolaffi de Veroli e la Giacomo Nissim, delle fornaci Orsini e Del Punta (poi Pacciardi e successivamente Pampana), delle falegamerie e delle numerosissime attività commerciali che animavano il piccolo corso centrale».

Come mai un libro, molto documentato, dedicato esclusivamente a Riglione? È il primo o ne esistono altri?
«Ho provato a raccontare la storia d’Italia attraverso gli eventi riglionesi che sono riuscito a ritrovare e ricostruire, e – forse – per questo possiamo affermare che non siamo di fronte al classico libro di storia locale. Ho raccontato le biografie dei “senza volto”, donne e uomini che hanno fatto un pezzo di storia d’Italia e che stavamo dimenticando; ho raccontato gesta, eventi e idee che, sebbene maturate all’ombra di un campanile, guardavano al mondo alle sue grandi trasformazioni sociali, politiche ed economiche. Se esistono altri libri su Riglione? Direi che sono stati pubblicati molti opuscoli limitati a particolari occasioni o eventi. C’è stata un’interessante pubblicazione di Ramiro Torrini del 1928, in occasione del duecentesimo anniversario della venerazione della Divina Pastora, ma si tratta di uno studio rivolto essenzialmente alla chiesa. Con il mio libro provo invece a raccontare la vita sociale e politica del paese attraverso l’attività dei gruppi repubblicani, anarchici, socialisti, cattolici, comunisti. Uno sguardo all’intero panorama riglionese, alle attività produttive, all’associazionismo, al mondo che si è articolato intorno alla chiesa, alla dittatura fascista, al passaggio del fronte durante la seconda guerra mondiale fino alla rinascita democratica».

Tornando al concetto di centralità a cui fai riferimento fin dal titolo: Riglione è “condannato” a essere per sempre periferia? E in cosa può tornare a essere centro, ammesso sia possibile?
«Premesso che la periferia ha tutta una serie di vantaggi soprattutto in questi anni, il ruolo di “centralità” da me evocato si riferisce alla questione sociale. Logicamente l’aver perso questo ruolo dipende da una serie di trasformazioni sociali ed economiche che hanno investito la nostra società e che non possono essere governate  localmente: i tempi di vita e di lavoro impongono fretta e corsa, e la grande distribuzione ha soppiantato le molte botteghe paesane che erano anche un momento di incontro e di vita comune. L’associazionismo e la politica, altri due straordinari strumenti di socialità, sono in crisi, e con loro il motore principale, che è il volontariato: la domenica i nostri nonni, con il lavoro volontario, costruivano le case del popolo o i circoli Acli; noi la domenica ci riposiamo, guardiamo la TV, passeggiamo negli outlet (minuziosamente ricostruiti nella forma del borgo) e sistemiamo il nostro giardino. Per tornare ad essere centrali, forse, basterebbe uscire di casa e riprendere possesso delle strade, delle piazze, dei bar e dei circoli». 

Tre cose curiose e in breve di Riglione che non si sanno.
«Uno. La prima piazza Garibaldi di Pisa è stata quella di Pisanello dove, quattro mesi dopo la morte dell’eroe dei due mondi, fu innalzato il primo monumento a lui dedicato nel comune di Pisa (siamo nel 1882): una incongruenza toponomastica sanata nel 2002 quando la piazza Garibaldi di Pisanello è divenuta piazzetta.
Due. Nel 1885 la giunta comunale deliberò per la costruzione di un cimitero unico tra Riglione ed Oratoio. Contro questa deliberazione vennero presentati reclami congiunti dai parroci delle due distinte parrocchie e da diversi abitanti. Le opposizioni e le manifestazioni coinvolsero la Prefettura, che intervenne sul Comune affinché ciascuna delle parrocchie avesse appositi e distinti cimiteri. Erano gli anni nei quali riglionesi e oratoiesi non volevano dividersi neppure il camposanto.
Tre. Riglione è stato uno dei più importanti centri di sviluppo e aggregazione del movimento anarchico. Il gruppo riglionese, fondato nel febbraio del 1912, prese – unico in tutta Italia – il nome di Demolizione: un nome, un programma».

Massimiliano Bacchiet

Cosa si può fare oggi per migliorare Riglione? Intendo sia la prospettiva dell’amministrazione comunale che quella dei cittadini.
«Spegnere le tv, staccare per un attimo Facebook e uscire di casa riappropriandoci degli spazi di socialità. La cura del bene pubblico, a mio avviso, è la prima ricetta per risolvere molti dei problemi della nostra società, a partire da quello della solitudine e da quello della sicurezza.
Non appartengo alla categoria di quelli che delegano le colpe allo Stato, al Comune, al Sindaco, ai politici disonesti, agli “altri” in generale. È vero, in questi anni l’amministrazione non ha certamente favorito la frequentazione di  spazi di socialità, ma è altrettanto vero che se i cittadini non riempiono questi luoghi con idee e partecipazione, i dovuti interventi istituzionali si renderebbero vani».

Che lavoro è stato fatto per reperire tutte le fonti? Qualche parola, quindi, sul “dietro le quinte” del libro.
«Le fonti principali sono di natura archivistica e documentale, ho visitato molti archivi: la Biblioteca Serantini, l’archivio della Parrocchia S.S. Ippolito e Cassiano, l’Archivio di Stato, il Casellario Politico Centrale a Roma e l’archivio storico della Camera di Commercio di Pisa. Molte notizie sono state quindi reperite da vecchi manifesti, volantini, lettere, carte di polizia, questionari delle visite pastorali, fascicoli di aziende; poi un’attenta lettura dei giornali d’epoca e raccolta di memoria orale, senza dimenticare le epigrafi e quindi la memoria scolpita nel marmo».

In cosa è unico Riglione, “Gallaccio” a parte?
«Forse proprio in quell’elemento di “centralità” del quale abbiamo parlato prima e che oggi è andato a smarrirsi. Ma al di là di individuare elementi di unicità, io ho cercato di riportare l’attenzione sulla questione della memoria. Viviamo in una società globalizzata che ci spinge però alla continua ricerca e difesa delle nostre radici, delle tradizioni e dei vecchi valori: con questa pubblicazione spero di aver dato un piccolo contributo.
I personaggi come il “Gallaccio” poi stanno a pieno titolo in questo mondo e danno, a loro modo, anche un senso di identità: i Gatti Mézzi l’hanno già cantata e chissà che qualcuno prossimamente non scriva anche questa storia».

Francesco Bondielli
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