Il ritorno (Vozvraščenje, Andrej Zvjagincev, 2003)
Film estremamente lirico quello che segna l’esordio del regista Andrej Zvjagincev nel 2003. Il ritorno si è aggiudicato il Leone d’oro alla sessantesima edizione della Mostra del cinema di Venezia ed è purtroppo ancora poco noto agli appassionati di cinema.
Ambientato nel Nord della Russia si propone come una metafora sul rito di passaggio verso la maturità e come una riflessione sui rapporti di attaccamento tra il mondo degli affetti familiari.
Il ritorno sottolinea quello del padre dopo 12 anni di misteriosa assenza. I figli adolescenti Andrej e Ivan lo accolgono con sentimenti contrastanti, scatenati dal profondo senso di abbandono che li ha dominati durante gli anni trascorsi. Tra rabbia e ricerca di attenzione i ragazzi sono costretti a seguire il padre verso un misterioso viaggio di pochi giorni per andare a pescare mentre la madre non riesce a opporsi con le sue paure alla decisione dell’uomo.
Il viaggio è caratterizzato da insidianti prove a cui Andrej e Ivan sono sottoposti a contatto con la natura selvaggia per raggiungere il luogo sconosciuto. Questo si rivela ben presto una landa deserta, carica di alienazione, di vuoto e di silenzio, composta da ampi spazi e dall’onnipresenza di due elementi primordiali: acqua e terra.
Ben presto la temporalità si perde, attraverso lunghe panoramiche e silenzi lo spettatore viene completamente avvolto in questo habitat enigmatico e poetico e anche il tempo della narrazione si arresta negli scontri tra padre e figli fino alla tragedia.
Il ritorno del padre non è un riavvicinamento al mondo degli affetti, la riproduzione di un movimento che si è arrestato da anni, ma una liberazione. Questa figura incomprensibile, talvolta meschina, anaffettiva, violenta non è altro che il dicitore di un viaggio iniziatico.
La sua missione inconsapevole diventa la crescita dei figli, la loro perdita di innocenza. Se nell’incipit del film Ivan non riesce a tuffarsi perché terrorizzato e per smuoversi dall’immobilizzazione è necessario l’intervento della madre salvifica, a contatto con il padre e la sua rabbia invece riesce ad ottenere una sua autonomia.
L’acqua ha un ruolo fondamentale durante l’intero corso del film come nella cinematografia del regista russo Andrej Tarkovsky, diviene metafora. A differenza del regista di Solaris dove l’acqua allude allo scorrere del tempo e della mente, Andrej Zvjagincev interpreta il lago come un luogo di nascita e di morte dove il tuffo ha un duplice significato: lasciarsi andare alla vita ma anche alla possibilità di una caduta, di una sfida con la morte. La tragedia che ha colpito Vladimir Garin, l’attore che ha interpretato Andrej, morto affogato nello stesso lago dopo pochi mesi dalla fine delle riprese del film rafforza indubbiamente questo concetto.
Francesca Lampredi
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