Non era bello e non era tenebroso, Carlo Annibale Santorre Derossi, noto come Santorre di Santarosa, conte di Pomerolo, nato a Savigliano in provincia di Cuneo il 18 novembre 1783 e morto nell’isola greca di Sfacteria, l’8 maggio 1825, armi in pugno come soldato semplice per liberare la Grecia. Però chiamarsi Santorre dava un certo fascino da nobile rivoltoso, con nobili sentimenti di liberazione delle nazioni oppresse. All’inizio dell’800 la Grecia fu considerata molto di più che un Paese con una storia e una cultura mirabili; era il riferimento geografico di un valore collettivo, l’idea che la sua liberazione dagli Ottomani fosse l’innesco dell’unità europea fondata sulla fratellanza tra popoli.
L’Europa che aveva assaporato l’unità napoleonica era culturalmente filoellenica perché credeva che solo grandi ideali potessero produrre nuovi equilibri politici. Italia e Grecia, anzi, si vedevano come una cosa sola, un’alleanza mediterranea. Oggi, pare che l’acqua abbia girato a vuoto intorno alle due penisole, e la gracilità mediterranea sia rimasta intatta di fronte agli stati forti dell’Europa continentale.
A combattere per la liberazione della Grecia c’erano figure di belli e tenebrosi, come Lord Byron, cui il nostro Ugo Foscolo assomiglia almeno un po’; ma c’erano anche rivoluzionari e combattenti dotati di minor presenza fisica, ma di altrettanta se non maggiore tempra combattente.
Il paragone estetico tra George Gordon Byron e il piemontese Santorre di Santarosa è impietoso. Né di quest’ultimo si ricorda la vita dissoluta, gli amori incestuosi e le erotiche conquiste bisessuali. Byron ci appare come un dio greco, Santorre sembra l’impiegato del regio catasto sabaudo, un po’ gobbetto. Il conte era ricco di ideali carbonari ma non di terre, castelli e denaro. Aveva fatto il sindaco però. Non offriva salari ai soldati greci, per riunirne le fazioni, né poteva noleggiare intere navi come ebbe agio di fare Lord Byron per combattere il turco marinaio. Il conte piemontese si offrì volontario, e pretendeva un grado da comandante, vista l’esperienza, ma dovette accettare il ruolo di soldato di fila, perché non poté comprare i galloni di ufficiale dell’esercito greco. Trovò la morte nella battaglia di Sfacteria, isola che presidiava la baia di Navarino, strategica base navale turca sulla rotta per l’Egitto. E si sa che i Turchi erano marinai sagaci.
Nel mese di aprile del 1825, insieme a altri 1500 combattenti, Santorre di Santarosa sbarcò sull’isola lasciata incustodita dalle navi turche, che tuttavia fecero presto ritorno la mattina del 26, vista l’invasione delle forze nemiche. Le navi greche si dovettero ritirare lasciando un solo brigantino a recuperare i fanti bloccati sull’isola. Il comandante della flotta turca, Ibrahim Pascià, mise l’assedio senza fretta. Se ne immagina la sadica pazienza. Ordinò lo sbarco l’8 maggio, con effetti devastanti per i resistenti ellenici, morti, feriti, mare e terra rossi di sangue, compreso quello del conte Santorre di Santarosa, morto in circostanze poco chiare. Era un valoroso e famoso combattente, ma si era arruolato sotto il falso nome di Annibale De’ Rossi e non fu riconosciuto; o, forse, non potendo comprare con denaro sonante il salvacondotto dai Turchi fu subito passato per le armi. Il 16 maggio il suo compagno Giacinto Collegno, che si era lanciato con lui nell’impresa greca fino dall’inizio, ritornò nell’isola riconquistata per rintracciare il suo amico, ma non riuscì neppure a trovare il suo cadavere.
Santarosa rappresenta ancora oggi la sostanza vera della presenza italiana all’interno della comunità liberale internazionale che riconosceva alla Grecia un ruolo essenziale per la cultura europea. Ma non ebbe il carisma di Lord Byron né la sua fame letteraria. Italiani e Inglesi avevano idee diverse sulla libertà della Grecia e i malumori interni al fronte filoellenico erano molti. Gli italiani volevano un governo greco forte e indipendente; per i figli di Albione, invece, la questione dell’indipendenza era assolutamente secondaria. Bastava che in Grecia si affermassero i diritti civili. Gli inglesi insomma volevano mettere uno zampino coloniale nella terra liberata ritenendo i greci inadatti ad amministrare da soli la propria terra.
Nel 1869 il paese d’origine Savignano eresse una statua a santorre di Santarosa, nella quale è pur raffigurato come stempiato ma più bello di quanto appare nei ritratti più noti. Qualche anno prima, nel 1861, era stata lanciata una raccolta di denaro per commissionare il monumento allo scultore romano Giuseppe Luchetti Rossi. Nell’occasione il Professore di Quarta Ginnasiale Giacomo Bertini ebbe modo di pronunciare una fervente orazione, di cui si riporta un brano:
«Ne’ quindici giorni che in Navarino tacque il rumore delle armi, aveva il santarosa ripreso l’uso dei suoi studi. Spesso recitava Tirteo; più spesso meditava Tacito e Platone. Assorto in profonda malinconia, scrive il Ciampolini, l’avresti giudicato Bruto nei campi di Filippi, o Catone in quella notte, che fu l’estrema di sua vita. Il giorno 9 nell’isola di Sfacteria combattendo colla bravura della disperazione, poiché il piccolo presidio era stato assalito da grosse truppe dei Turchi venne ucciso il Santarosa alla bocca di una caverna. Il pietoso amico Giacinto di Collegno, presa Navarino, ne cercò il cadavere: il Colonnello Fabrier, che più volte l’aveva salvato dalle mani della polizia, gli innalzò un modesto monumento con questa elegante iscrizione – Al Conte Santorre di Satarosa ucciso il 9 maggio 1825. Così visse e morì il nostro patriottico concittadino; alcuni ricordano ancora, con venerazione, le care sembianze; i fatti della redenzione italiana si collegano con la sua opera; ma spariranno ben presto queste simpatiche memorie».
Resta il monumento che fa un po’ di giustizia estetica ai quadri in cui Santorre è francamente bruttino.
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Il paese d’origine non è Savignano ma Savigliano, in provincia di Cuneo.
grazie, i refusi ahimè sono sempre in agguato