In questi giorni di freddo non c’è cosa migliore di andare in un museo, al caldo, a vedere qualcosa che stimoli la nostra intelligenza, per esempio a Pisa, a Palazzo Lanfranchi, dove ancora per pochi giorni, (fino all’11 marzo) potrete immergervi in una mostra sul tempo.
Come si sa il tempo è variabile, inafferrabile, diseguale, misterioso e tiranno, ma è l’essenza della vita stessa. Noi viviamo nel tempo e ne siamo dominati: a volte è amico, molte volte nemico, ma è il nostro inseparabile compagno.
Attraverso i lavori di undici artisti contemporanei, la mostra Il Tempo e le opere indaga questa astrazione, che fin dall’inizio del suo percorso sulla terra l’uomo ha cercato di afferrare, sondare e misurare.
Vi avverto, non è una mostra facile, bisogna guardarla lentamente, con curiosità intellettuale e con il desiderio di capirla.
Il tempo è personale, ognuno lo vive e lo avverte in modo diverso e gli artisti in mostra riescono, con le loro opere così particolari e stimolanti, a offrirci ciascuno la propria inusuale riflessione sul tempo.
Le opere presenti affrontano con diverse sensibilità i grandi temi che ne scaturiscono: la memoria, il tempo interiore, la storia e gli eventi, l’assoluto temporale, la ricorrenza, i tempi musicali.
La mostra inizia al primo piano, con un’opera molto bella di Roman Opalka che ha lavorato tutta la vita sul senso del tempo che passa, trascorre sul nostro corpo e lo cambia. In modo quasi ossessivo, a partire dal 1965 ha dipinto ogni giorno una progressione numerica sulle tele, registrando la sua voce che pronuncia il numero dipinto e fotografando il suo volto sempre nella stessa identica posa. Il suo lavoro è terminato nel 2011, quando è morto, e il titolo Opalka1965/11 riassume tutto questo.
Le immagini del volto dell’artista che invecchia sotto i nostri occhi, i numeri accostati a formare una trama grafica di raffinata eleganza e la voce che scandisce lentamente i numeri trasformano la stanza in una sorta di luogo sacro, dove il corpo e l’opera di Opalka celebrano il senso della vita e della sua fine inevitabile. Basterebbe anche solo quest’opera per venire a vedere questa mostra.
Per indagare il tempo musicale e la sua potenza pervasiva e ipnotica perdetevi poi nel video In Sol Maggiore/In Sol Minore di Mariateresa Sartori. Guardatelo e riguardatelo, ascoltando la bellissima colonna sonora composta da due brani di Vivaldi e Mozart, mentre le immagini tratte dal film Heimat di Edgard Reitz si ripetono circolarmente sullo schermo: il tempo e il suo continuo ritorno.
In una parentesi storicizzata si ammirano alcune opere grafiche di Giorgio Morandi e Lucio Fontana. Di Morandi è presente una serie di acqueforti con le famose bottiglie, i soggetti più amati e indagati per tutta la vita, ripetendoli fino a trasformarne l’oggettività in una dimensione totalmente concettuale di atemporalità. Le opere di Fontana testimoniano invece l’inizio della sua ricerca spazio-temporale, quando il taglio, il buco della tela crearono una dimensione nuova, infinita, la quarta dimensione.
Del 1972 è l’opera di Fabio Mauri, Il televisore che piange: un vecchio televisore con uno schermo vuoto vi fissa, come sottofondo solo un pianto dirotto. Mauri, convinto sostenitore della responsabilità etica dell’arte, con quest’opera s’interroga sull’uomo, sul dolore che dal vissuto personale si trasforma in dramma esistenziale universale.
Al piano superiore, nelle ampie stanze del sottotetto, Claudio Costa indaga il tempo primitivo dell’umanità, raffigurando ossa di animali giganteschi e attrezzi dell’inizio della storia dell’uomo.
Dalla parte opposta si trova un’opera site specific, creata da Federico de Leonardis accostando più elementi: Acquasantiere (Essere Mare), Linea II e Ossa di Shelley (Marina). Gli strumenti del lavoro umano e i reperti naturali usati, acqua, sale e marmo, sono portatori di memoria, tracce del tempo passato.
Nella stanza successiva Francesco Jodice indaga sul tempo assoluto, quello che scorre indifferente sopra la vita e le tragedie dell’uomo, e lo fa mixando immagini dell’ultimo secolo: guerra, frame di film famosi, immagini pubblicitarie, musicisti, Black Panter, tutto mescolato (rimontato) in un’analisi critica della civiltà occidentale.
La mostra si chiude in una sala a piano terra, dove in una stanza oscura un video coinvolgente, Un ritorno, degli artisti gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio, indaga il tema dell’altro e dell’inconscio attraverso la ripresa di una seduta di ipnosi regressiva simultanea. E’ un viaggio alla ricerca del tempo precedente la loro nascita, il tempo irraggiungibile e misterioso del concepimento.
La mostra, curata da Massimo Melotti con il patrocinio della Regione Toscana e della Scuola Normale Superiore, resterà aperta al Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi fino all’11 marzo, dal lunedì alla domenica dalle 9 alle 19.
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