LIVORNO – Il 23 aprile, seconda giornata del Fi-Pi-Li Horror Festival 2016 si è aperto nel migliore dei modi con la proiezione di Tutti i colori del buio, thriller psicologico che Sergio Martino girò nel 1972 insieme ad Edwige Fenech, George Hilton, Ivan Rassimov e Susan Scott. La visione del thriller ha preceduto l’interessante dibattito tra Alessio Porquier – il direttore del festival labronico – e il regista romano.
1964: Sei donne per l’assassino di Mario Bava. 1970: L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento. 1972: Tutti i colori del buio di Sergio Martino. Il giallo all’italiana è un labirinto estremamente impervio nel quale date, filoni e correnti rischiano di accavallarsi, sovrapporsi e dare un senso di smarrimento al neofita o al cinefilo non interessato. Dario Argento è riuscito a rivoluzionare gli stilemi del genere attraverso le sue trovate visive, più ardite sicuramente della sua scrittura. Il successo dei suoi primi tre film ha scatenato nella cinematografia popolare italiana di quegli anni la rincorsa a “l’animale nel titolo”. Sergio Martino, nel medesimo lasso di tempo, si è mantenuto distante dalla tentazione argentiana e solo in un caso (La coda dello scorpione) si è prestato all’utilizzo di un titolo zoomorfo. Già dal suo primo thriller, Lo strano vizio della signora Wardh, era possibile vedere in lui un regista pratico e quadrato, sensibile a tentazioni psichedeliche e a rimandi al cinema di Michelangelo Antonioni o Roman Polanski; seguendo la sua presenza nel campo del thriller è possibile ammirare un regista abile nel tradurre un testo di Edgar Allan Poe (Il gatto nero) con Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave e i deliri onirici di Tutti i colori del buio.
L’esperto cineasta ha raccontato che per lui il cinema «era quasi tutto. Si andava al cinema anche da soli all’età di 7-8 anni. Si entrava nei film a spettacolo iniziato e poi si rivedeva il film dal principio, un’usanza tutta italiana, come raccontava Cassola ne La ragazza di Bube. Il cinema per me è anche una possibilità di viaggiare con la mente. In un’espressione sola era l’incanto: consentiva a un ragazzo di poter viaggiare con la fantasia e l’immaginazione».
Sergio Martino è arrivato al thriller quasi subito nella sua carriera e i registi che lui ritiene più influenti nel suo percorso di crescita sono stati Henri-Georges Clouzot e Alfred Hitchcock.
Parlando invece del film appena proiettato, Martino ha raccontato qualche aneddoto interessante: «L’ho girato in una Londra molto efficace ai fini della storia. L’ho girato all’estero perché in quel periodo, oltre ai vincoli dettati dalle co-produzioni, si riteneva poco credibile ambientare dei gialli su territorio italiano. Fortunatamente Dario Argento ha sfatato questo mito. Il sogno onirico della parte iniziale me lo inventai in un set vuoto con un’altalena, la donna incinta, la vecchia vestita da bambola ed era influenzato dal cinema di Polanski».
Su Edwige Fenech e il suo rapporto con i thriller, il regista romano ha ribadito di preferire la Fenech nelle commedie anziché nei thriller, soprattutto per un discorso fisico e fisiognomico: «Se la protagonista avesse avuto una faccia più emaciata sarebbe stata più adatta per raccontare le drammatiche situazioni interiori e le sue visioni, però al tempo la Fenech era elemento indispensabile per il cartellone e mi meraviglio che a distanza di anni la gente indentifichi la Fenech, che io ritengo bravissima nei miei film comici, come un’icona del mio cinema giallo».
Parlando del cinema di oggi, Sergio Martino si è rallegrato per i recenti successi di Lo chiamavano Jeeg Robot, film che lui stesso ha votato per i premi David di Donatello. Tuttavia è cosciente che oggi «i giovani registi di genere devono combattere con un mercato completamente variato e una distribuzione diversa da quella di 40 anni fa».
Se Quentin Tarantino ha già rivalutato Sergio Martino, insieme ai vari Fulci, Castellari, Lenzi molti anni fa, ci auguriamo che la sua presenza al Fi-Pi-Li Horror Festival, serva ai più giovani per recuperare i lavori di un regista sottostimato che ha saputo apporre il suo marchio nel thriller, nella fantascienza, nel film d’avventura e nella commedia.
Tomas Ticciati
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