Shinichi Wakasa e la pittura Yamato.

L’artista giapponese ospite di Lucca Comics si racconta

Anche quest’anno rivivevano, al Lucca Comix and Games, le straordinarie e surreali atmosfere da MANGA e ANIME, universi affascinanti dove il segno vive alla ricerca della parola più intima, rivelando un’antica arte visiva che si esprime in una narrazione senza tempo, senza età. È in questo clima dalle tinte così profondamente idealiste e sublimi che ho avuto il piacere di incontrare il giovane artista Shinichi Wakasa, pittore nativo di Hiroshima e grande esponente di un’arte che conserva tutta la simbologia e il fascino delle più antiche tradizioni nipponiche, senza rinunciare alla forza espressiva e alla grande energia delle tinte contemporanee.

I concetti sono tra i più vetusti ma l’arte dimostra, ancora una volta, di non conoscere il tempo, grande nemico di qualsiasi materialità: l’opera di Wakasa è fatta di grande sentimento e di profonda gratitudine verso le più antiche tradizioni popolari, accogliente e visionaria come una di quelle storie intonate dalla voce calda, rauca e grave della nonna preferita, la stessa che, nonostante gli anni, continua a guardarci con una grande luce negli occhi: è la luce del pop più contemporaneo, sempre che sia dato averne uno.

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tre opere di Wakasa esposte in San Francesco, a Lucca

Shinichi Wakasa lavora ogni giorno per creare un nuovo stile di pittura giapponese, è un ragazzo brillante, gentile e disponibile. Ha vinto numerosi premi e il numero degli acquirenti delle sue opere cresce sempre più. Attualmente risiede e lavora a Hiroshima.

Wakasa parla della sua pittura come di un punto d’incontro tra l’antica pittura Yamato, sviluppatasi come genere indipendente in Giappone dopo il periodo Heian (794-1192 d.C. ca.) e i nuovissimi elementi Kawaii (carino, grazioso), tipici della cultura giapponese contemporanea.

Che cos’è la pittura Yamato?

Ci sono varie interpretazioni con riferimento alla “pittura Yamato”. Una è relativa al periodo storico in cui il genere trova il suo maggior sviluppo, ed è quello precedente il periodo Edo; l’altra fa riferimento alla tipologia di produzione artistica, contrapponendola alla pittura moderna e contemporanea. Volendo analizzare un aspetto in particolare, ad esempio, nella pittura occidentale è molto forte il concetto di prospettiva e di rappresentazione prospettica, questo parametro di ricerca è del tutto assente nella “pittura Yamato”, non se ne tiene conto.

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Qual è la sua opinione in merito?

Si dice che la pittura occidentale rappresenti le cose per come appaiono alla nostra vista, mentre nella pittura giapponese è più importante l’aspetto simbolico, perfino l’ordine di grandezza degli elementi rappresentati è dato da una determinata gerarchia ideologica: le cose più importanti hanno una dimensione maggiore rispetto alle altre, che restano, pertanto, elementi relegato allo sfondo. Per quanto si dica che la pittura occidentale prediliga un aspetto naturalistico e realistico, in realtà poi la visione rischia di apparire frammentaria, si osservano pochi elementi per volta e soltanto in un secondo momento si ha una limitata visione d’insieme. Per i giapponesi invece cambia il modo di vedere le cose, di vivere la vita e concepire la fisicità degli elementi, cambia pertanto la raffigurazione grafica che predilige una lettura molto più profonda e idealista.

Una domanda sugli sfondi: la pittura giapponese tradizionale predilige sfondi chiari, vedo che lei invece fa uso di oro e nero, come mai? Lo sfondo oro è ripreso dall’arte medievale italiana?

 Sì, effettivamente gli sfondi chiari nell’arte giapponese tradizionale sono tanti. Che siano chiari o come i miei, sono lì per dare seguito all’intuizione di uno spazio solo apparentemente vuoto, è uno spazio che non esiste ma che lascia libera la mente di chi osserva, nell’immaginare qualcosa.

Lo sfondo dei miei quadri è quasi sempre riempito da una tinta piatta, qualche volta un motivo grafico astratto; questo è per far intuire l’esistenza di uno spazio infinito.

Uso il nero e l’oro piuttosto che il bianco, tradizionalmente associato all’idea dello Zen, del rilassamento e dell’equilibrio interiore, perché se da una parte esisteva la tradizione Zen della concentrazione e del rilassamento, idea molto pacata, dall’altro con gli eventi storici legati alla signoria feudale, è comparso un elemento più forte, una rappresentazione che si affianca alla potenza di questi signori feudali e che li rappresenta. Quindi l’uso che ne faccio è principalmente per due motivi: il primo, per testimoniare quel tipo di cultura che c’è stata, in secondo luogo per dimostrare che quella caratteristica è in parte viva ancora oggi. Nella società contemporanea ad esempio possiamo individuare alcuni elementi che spiccano sugli altri come l’usanza, tra le studentesse di Tokyo, di truccarsi molto pesantemente, facendo uso di ceroni scuri che le facciano sembrare superabbronzate piuttosto che i motociclisti o altre sottoculture che esistono. Quindi nelle mie opere sottolineo questi aspetti evidenziando la continuità temporale tra alcuni fenomeni culturali. Infine devo dire che i colori molto accesi mi piacciono, per questo li uso! Per quanto riguarda l’arte medievale italiana, è possibile che ci sia un’influenza, dal tardo medioevo ci sono stati contatti tra il Giappone e l’occidente, erano in voga oggetti che rimandavano all’arte medievale italiana: quindi sì, i rimandi non sono da escludere.              

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I due ideogrammi presenti su ogni opera di colore nero e rosso, a cosa fanno riferimento?

 L’ideogramma nero realizzato a mano è la firma dell’autore insieme al timbro rosso è, nelle mie opere, un puro simbolo estetico, storicamente la funzione era un’altra: grazie alla firma, che variava nell’arco temporale della produzione artistica di un pittore, era possibile individuare il periodo cronologico al quale fare riferimento, senza scomode imprecisioni filologiche, a un cambio stilistico faceva riferimento un cambio di firma.

Io ho sempre usato il mio vero nome, mai cambiato!

Tra le opere esposte oggi qual è quella che la rappresenta maggiormente e che vorrebbe farci conoscere?

L’opera che ritengo più rappresentativa è “Shika”: il soggetto rappresentato è un cervo-daino, in lingua giapponese Shika, che si trova già a partire dal periodo Ya-Yoi (preistorico), era un’epoca in cui non era ben definito il concetto di divisione temporale: non c’era una suddivisione in giorni, mesi, anni; la società agricola necessitava di alcuni punti di riferimento che indicassero la fine del periodo dedicato alla raccolta piuttosto che il suo inizio, il cervo assumeva un significato particolare in quanto, con lo scorrere delle stagioni, le sue corna crescono(primavera-estate), hanno il loro maggiore sviluppo in autunno fino a cadere(inverno) quindi le popolazioni dell’epoca associavano i vari periodi legati all’attività di coltura dei campi, alla crescita delle corna di quest’animale che presto divenne simbolo di una sacralità indiscussa, superando il suo essere semplice animale, assunse il significato iconologico di una divinità. Ancora oggi in alcune regioni nipponiche il cervo-daino è considerato un animale sacro! Nell’immaginario comune giapponese lo Shika è comunque sopravvissuto nella qualità di simbolo divino. Mi sono interessato all’iconografia di questo animale in quanto elemento di continuità tra generazioni del passato e del presente, e l’ho attualizzato conferendogli un’ aspetto molto pop, contemporaneo. Un aspetto che mi interessa trasmettere è quello riguardante la cultura che, per quanto influenzabile dal potere politico, nasce dalla tradizione popolare e sopravvive a qualsiasi altra forma di potere che voglia opprimerla. Nonostante le persone, in quanto tali, dovrebbero nutrire una sensibilità artistica di base, è poi l’ambiente nel quale si ritrovano a vivere che può influenzare irrimediabilmente il loro pensiero e la loro percezione delle cose. Viviamo in un periodo storico in cui internet ed i nuovi media semplificano e incentivano la condivisione impersonale di contenuti da un luogo all’altro del pianeta, si rischia di perdere pertanto il piacere della condivisione nel senso di crescita, della realizzazione unica di un’opera, sia essa una copia da un dato originale, conserverà sempre un carattere di unicità. Attraverso le mie opere vorrei trasmettere un senso di unicità, ogni osservatore potrà leggerle in maniera unica, in relazione alle idee, ai concetti che in lui si accendono a partire da un’immagine.

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S.Wakasa, Shisha

Come mai la scelta di esporre le sue opere qui al Lucca Comix and Games?

La richiesta è giunta da uno degli organizzatori, ho accettato per  una ragione ben precisa: nelle mie opere c’è molto della cultura giapponese, quando espongo in Giappone mi interfaccio con un pubblico  giapponese che mantiene il punto di vista della mia stessa cultura, venendo qui in Italia ho voluto cogliere l’occasione per raccogliere le opinioni e le reazioni di un pubblico occidentale, che potesse farmi omaggio di un punto di vista culturale nuovo.

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Progetti per il futuro? Tornerà ad esporre in Italia?

Purtroppo non ho ancora progetti in corso, vorrei tanto poter ripetere un’esperienza come questa, spero comunque che possano esserci nuove occasioni, se qualcuno vorrà propormi un nuovo progetto ben venga!

I miei migliori auguri per il futuro.

Farò del mio meglio!

S.Wakasa davanti ad una sua opera

S.Wakasa davanti ad una sua opera

Ci auguriamo di poter vivere una nuova occasione di confronto con una personalità artistica tanto valida, non soltanto per la qualità delle opere, ma anche per la sua grande (e, ahimè, rara) capacità di raccontarle, accompagnandoti lungo un sentiero che ha tutto il profumo dei mandorli in fiore. All’orizzonte si intravede già la città.

Un ringraziamento speciale va anche al Dott. Valerio Ricci che ha reso possibile la comunicazione tra Shinichi e me, interpretando, a dovere, ogni singolo concetto espresso dall’artista.

Tuttomondo-immagineprof-GiuliaGiulia Buscemi

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2 comments to “Shinichi Wakasa e la pittura Yamato.”
  1. Ciao Giulia,
    complimenti per l’intervista e grazie per il credit.

    Volevo farti notare però che (solo nel titolo) hai invertito le sillabe ed è diventato Wasaka invece di Wakasa.

    • Ciao Valerio, grazie ancora una volta a te per l’infinita pazienza, oltre che per il grande lavoro(non semplice) di traduzione e contestualizzazione. Ti ringrazio tanto per avermi fatto notare l’errore, anche se rileggendo il titolo dell’articolo mi sembra di vedere proprio “Wakasa”, ad ogni modo chiedo venia per qualsiasi altro eventuale errore di trascrizione! Un buon lavoro!!

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