Nel 2016 il rapporto con l’io passa inevitabilmente attraverso la nostra immagine social. I selfie oramai sono all’ordine del giorno, sono entrati talmente tanto nelle nostre abitudini da non poter più dire di essere stati in un posto in mancanza di un selfie che lo dimostri. Lo stesso termine dal 2013 è anche arrivato ufficialmente sui nostri vocabolari. Ma cosa si nasconda dietro a questa pratica e che conseguenze possa avere è fonte di discussione. Da soli o in compagnia, davanti ad uno specchio – o meno – l’autoscatto 2.0 è oggi un fenomeno di massa.
Pochi sanno che uno dei primi selfie è stato scattato da Anastasia Romanov, figlia dello zar Nicola II, ed era appena il 1913. La giovane zarina non fece niente di diverso rispetto a quello che facciamo noi oggi. In ginocchio su una sedia, davanti ad uno specchio e via con lo scatto. Voleva inviare la foto ad un suo amico e detto fatto.
Ma l’uomo è da sempre legato alla sua immagine, fin dai tempi più antichi, quando le macchine fotografiche non erano neanche lontanamente immaginabili, si riconosceva al pittore la magia più incredibile: rendere eterne le sembianze degli uomini. Gli artisti erano paragonati a Dio per la loro capacità di rende presente chi non c’era più.
Non fu dunque un caso che nella storia dell’arte uno dei generi più fortunati fu proprio quello del ritratto, tanto che gli stessi artisti cominciarono a farsi degli autoritratti per rendere durevole anche il loro volto, come Frida Kahlo, Van Gogh o Leonardo. Questo desiderio di rimanere e di esserci ha dato i natali al nostro odierno selfie.
Bisogna tenere presente che gli psicologi moderni attribuiscono a questo fenomeno un accezione propriamente negativa, volti a colmare le lacune della nostra autostima e riproponendo la nostra immagine sui social. E’ nel selfie che gli studiosi individuano il bisogno di esserci e piacere agli altri ogni qual volta il nostro ego lo chieda o si senta messo in disparte.
Statistiche hanno dimostrato che da quando questa pratica ha preso piede gli interventi di chirurgia estetica sono aumentati vertiginosamente proprio perché non ci si riconosce nell’immagine che si vede.
La reazione davanti a una foto è del tutto normale dal momento che ciò che noi vediamo normalmente allo specchio viene invertito dalla macchina fotografica insieme a tutte le nostre asimmetrie, facendo sì che non ci si riconosca nella foto e che quindi per noi sia brutta. Ma non tutto il male vien per nuocere e come ogni teoria che si rispetti c’è chi controbatte. Affermando che, in alcuni casi, e neanche troppo raramente, il fenomeno del selfie aiuta i giovani ad essere più estroversi, Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione e di Psicologia delle nuove tecnologie della Comunicazione all’Università del Sacro Cuore di Milano, pone l’accento su una questione non trascurabile: la condivisione sui social del selfie. Questo particolare infatti è alla base della differenza che consiste tra un autoscatto e un selfie e ci permettere di indagare sul perché dandoci dei dati certi. Secondo gli studi del professore il 39% lo fa per far sorridere gli altri, il 30% per vanità, e il 21% per raccontare un momento della loro vita tenendo presente che le donne sono più attive rispetto al sesso maschile. Se dunque abbiamo provato a dare una risposta, con qualche dato, alla questione psicologica, è sicuramente curioso l’episodio della blogger Mehreen Baig. La ventiseienne londinese era arrivata a scattarsi più di 50 selfie al giorno quando sulla sua pelle sono comparse delle imperfezioni e i tanto odiosi pori dilatati; un volta appurato che non si trattasse di una questione alimentare, il dermatologo le ha dato una notizia sconvolgente: era colpa dei troppi selfie, o meglio della luce HEV (high energy visible) quella emessa dagli smartphone quando ci si fotografa, che unita alla luce solare e allo smog avevano stressato la pelle. La giovane incredula si è rivolta a più medici che sorprendentemente le hanno confermato la prima diagnosi.
Se tutto ha avuto inizio dalla pittura oggi come oggi è difficile credere in un ritorno, questa difficoltà è stata buttata al vento da un giovane artista siciliano che ha fatto del selfie una delle sue fortune. Stiamo parlando di Giuseppe Veneziano, che con la sua serie selfie con iphone, esposti al MiART, ha riproposto le icone della storia dell’arte (e non solo) rendendole vittime dell’autoscatto e molto di più. Divertente e dissacrante è il giusto anello conclusivo di questo argomento così complesso e contemporaneo. Insomma: si selfie chi può.
Eleonora Greco
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